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Alessandro D’Avenia: con la bellezza anche un non credente incontra Dio

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Gelsomino Del Guercio - Aleteia Italia - pubblicato il 14/09/17
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Lo scrittore noto per i bestseller amati dai giovanissimi racconta la sua fede. E mette (non a caso) Giacomo Leopardi come protagonista del suo ultimo romanzo

«Lo straordinario dono del credente è quello di fare buon uso anche dei non credenti per arrivare alla luce della fede». Alessandro D’Avenia, scrittore di bestseller amatissimi tra i giovani e gli adolescenti (da Bianca come il latte, rossa come il sangue a Cose che nessuno sa) ha scelto la figura e l’opera di Giacomo Leopardi per il suo ultimo libro L’arte di essere fragile (Famiglia Cristiana, 14 settembre).

Come si lega la fede, Dio, l’essere credente ad un celebre poeta che invece non hai fatto entrare la religione nella sua vita?

MICHELANGELO E IL MONDO DIGITALE

D’Avenia fa una premessa. Oggi va rafforzato «l’elemento vocazionale che c’è nella vita dell’uomo. Michelangelo nel suo Giudizio universale ci ha raccontato che Dio chiama l’uomo con un tocco e sulla punta del dito di Adamo segna la sua originalità, cioè la sua origine e anche il suo futuro. Oggi siamo immersi in un mondo digitale e abbiamo risolto quel contatto nel contatto col nostro cellulare».

LA GRANDE POLIFONIA

Forse, prosegue lo scrittore, «dobbiamo ritrovare un elemento più grande che ci restituisca il nostro stare al mondo con una carica che non si spegne mai. Se è vero, come è vero, che ogni vita è una chiamata di Dio ad aggiungere uno strumento alla polifonia del mondo, io sono convinto che quello di cui abbiamo bisogno è capire quale strumento ciascuno di noi sia in questa grande polifonia. Una cosa di cui hanno bisogno soprattutto i ragazzi».



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LA RICERCA DELLA BELLEZZA

In questo contesto come si inserisce la figura di Leopardi, uno dei simboli del laicismo nella letteratura e nella poetica italiana. «Intanto Leopardi non è il simbolo del laicismo, ma della laicità – replica D’Avenia a Famiglia Cristiana – È un uomo che ha approfondito fino in fondo tutti i campi del sapere alla ricerca della verità. Questo riguarda ogni uomo, credente o no che sia».

La ricerca, ciò che rende ancora incompleti i ragazzi, i giovani, gli uomini di oggi, aveva fatto breccia nel poeta di Recanati. «Io in Leopardi ho trovato un gradino fortissimo, direi granitico, di questa ricerca. Lui, come nel mondo greco, è convinto di un fatto: che la bellezza sia sempre la manifestazione del vero e del buono messi insieme e che bisogna indagare per andare a capire quali sono questo vero e questo buono».



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L’UOMO DEL DIALOGO

Tanto che con il cuore Leopardi, sottolinea lo scrittore, «percepisce che c’è questa bellezza, la vuole afferrare, poi con la testa la vuole indagare. Credo che Giacomo Leopardi sia l’uomo grazie al quale credenti e non credenti possono parlarsi andando alla ricerca di senso. Perché c’è una religione della bellezza che tutti possiamo accettare e creare che ci accomuna tutti. Se poi ci porterà a trovare Dio, per me tanto meglio. Altrimenti avremmo fatto qualcosa di bello al mondo, come dice lui stesso».

LA “SEDUZIONE” PRIMA Di TUTTO

Il legame tra fede, bellezza e Dio è cruciale. Spiegava su “La PortAperta”, mensile di Avvenire (febbraio 2016): «Ci innamoriamo e amiamo solo per la bellezza. Nessuno di noi ha desiderato avvicinarsi e conoscere qualcosa o qualcuno senza esserne prima sedotto. Questo principio di attrazione ha il suo fondamento ultimo qui: “Nessuno viene a me se non lo attrae il Padre“».



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L’ATTRAZIONE DELL’AMORE

Tutte le volte che nell’ambito naturale (la grazia delle cose) o soprannaturale (la Grazia, dono di Dio a partecipare alla sua vita) la bellezza ci mette in movimento, «sperimentiamo l’attrazione dell’Amore che ci trasforma, cioè vuole darci la sua forma, la sua essenza, per farsi tutto in tutti, pur mantenendo ciascuno la sua irripetibile identità.

Questa attrazione che Agostino chiamava delectatio victrix (piacere che avvince), in Dante è il movimento “amoroso” che Dio imprime alla creazione: “La gloria di colui che tutto move / per l’universo penetra, e risplende / in una parte più e meno altrove”, in cui “il più e il meno” non indica solo l’oggettiva scala di perfezione dell’essere delle creature, ma anche la loro risposta soggettiva».



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LA GLORIA DI DIO

La gloria è lo stabile e progressivo manifestarsi e comunicarsi della bontà di Dio nel mondo e nella storia, «si mostra come bellezza e si dà quasi senza ostacoli negli esseri privi di libertà (per questo a volte preferiamo cani gatti mari e boschi agli umani), mentre è più o meno o affatto rallentata dalla resistenza delle creature dotate di libertà (in questo senso il massimo del progresso è stato raggiunto una volta per tutte con Cristo)».

L’ “EVOLUZIONE” IN MISERICORDIA

Quando l’azione beatificante (capace di rendere felici), che attira cose e persone verso il loro pieno e duraturo compimento di bellezza, trova un ostacolo, «questa gloria – conclude D’Avenia – non si irrigidisce ma diventa anzi resiliente e prende il nome di misericordia e, lasciandosi ferire, diventa limite imposto al male della e nella storia».

“CRISTIANESIMO COME ANTIDOTO ALLA NOIA”

La vocazione alla fede è dunque «l’invito a fare qualcosa di bello, trasformare quello che potrebbe sembrare un destino in destinazione, in una fioritura, in un’opera d’arte. Più vado avanti più mi rendo conto di questo. Dio non è una cosa che si aggiunge alla vita, è la vita stessa che fiorisce. Se penso a questo, dico: Dio, io senza di te non posso stare. Nel cristianesimo – chiosa D’Avenia – ho trovato l’antidoto per la noia. L’unico che io conosco. Una vita che è affidata totalmente a te e totalmente a Dio».

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