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L’ironia di G.K. Chesterton: è la Chiesa ad essere superata dai tempi?

Gilbert K. Chesterton

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Centro Culturale "Gli Scritti" - pubblicato il 08/09/17
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“Potrei trattare la materia da un punto di vista personale e descrivere la mia conversione; ma ho il sospetto che questo metodo renderebbe l’argomento molto più ristretto di ciò che in realtà è. Vi sono molte persone di gran lunga migliori di me che si sono convertite a religioni di gran lunga peggiori”[1]! La penna di G.K. Chesterton sorprende per la sua incisività tagliente che si scaglia contro i luoghi comuni, obbligando a riflettere.

Nel breve saggio Perché sono cattolico[2], Chesterton affronta la critica, sovente rivolta alla chiesa, di essere nemica del progresso, di non essere al passo con i tempi[3]:

Alcuni giorni fa uno scrittore famoso, solitamente ben informato, ha parlato della Chiesa Cattolica come della avversaria delle nuove idee. E’ probabile che non si sia accorto che la sua affermazione non era esattamente ciò che si considera un’idea nuova. E’ una di quelle nozioni che i cattolici si trovano a dover costantemente contrastare, in quanto si tratta di un’idea molto vecchia. Certo è che coloro che ritengono che il cattolicesimo non porta nulla di nuovo, difficilmente dicono qualcosa di nuovo sul cattolicesimo stesso. Come dato di fatto è curioso notare che uno studio approfondito della storia dimostrerebbe il contrario.



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Chesterton non si limita a questa battuta che esige novità da parte di chi guarda alla Chiesa, ma rovescia radicalmente l’assunto, poiché spesso sono le presunte novità ad essere molto meno innovative della sapienza cristiana che non può non essere antica, dato che esiste da duemila anni[4]:

Tuttavia, la persona che ha fatto quell’affermazione sui cattolici voleva dire qualcosa e sarebbe opportuno che lui stesso la comprendesse con più chiarezza rispetto al modo in cui l’ha enunciata. Ciò che voleva dire è che, nel mondo moderno, la Chiesa Cattolica si oppone a molte mode influenti, la maggior parte delle quali si considerano ancora attuali, anche se incominciano ad essere un poco stantie. In poche parole, se voleva dire che la Chiesa spesso si oppone a ciò che il mondo considera, in quel dato momento importante, ha perfettamente ragione. Spesso la Chiesa combatte le mode di questo mondo transeunte, in quanto sa, per esperienza, la rapidità con cui questo mondo cambia. Ma per comprendere esattamente l’argomento è necessario spaziare più ampiamente e considerare l’essenza stessa delle idee in questione, per considerare, quindi, l’idea dell’idea.
Il 90% di ciò che chiamiamo nuove idee sono semplicemente vecchi errori. Uno dei principali compiti della Chiesa Cattolica è far si che la gente non commetta questi vecchi errori, in cui è facile ricadere, ripetutamente, se le persone vengono abbandonate, sole, al proprio destino. La verità concernente l’atteggiamento cattolico nei confronti dell’eresia o, si potrebbe dire, nei confronti della libertà, può essere rappresentata dalla metafora di una mappa. La Chiesa Cattolica possiede una mappa della mente che sembra la mappa di un labirinto, ma che in realtà è una guida per orientarsi nel labirinto. Questa mappa è stata compilata utilizzando conoscenze che, nel mondo della scienza umana, non hanno paragoni. Non vi sono altri casi di istituzioni intelligenti che hanno, con continuità, pensato sul pensiero per duemila anni. E’ un’esperienza che ricopre quasi tutti i campi esperibili e, in special modo, gli errori. Ne risulta una mappa che evidenzia con chiarezza tutti i vicoli ciechi e le strade dissestate, nonché le vie che si sono dimostrate fuorvianti grazie alle testimonianze forniteci da coloro che le hanno seguite.
Su questa mappa della mente gli errori vengono segnati come eccezioni: gran parte di essa è costituita da campi da gioco e terreni di caccia fioriti, dove la mente può spaziare con tutta la libertà che le è propria, per non parlare dei numerosi campi di battaglia intellettuale dove il combattimento è quanto mai incerto e imprevedibile. Ma c’è la responsabilità di segnalare determinate strade che conducono al nulla o alla distruzione, ad un muro cieco o a un precipizio.


Così facendo, si previene la possibilità che le persone perdano il loro tempo, o le loro vite, in sentieri che si sono dimostrati ripetutamente, nel passato, vani o disastrosi, ma che possono ancora, in futuro, intrappolare ripetutamente i viandanti. La Chiesa si prende la responsabilità di mettere in guardia il suo popolo su queste realtà, e sta proprio qui l’importanza del suo ruolo. Dogmaticamente essa difende l’umanità dai suoi peggiori nemici, quei mostri antichi, divoratori orribili che sono i vecchi errori.

L’universalità della Chiesa – la sua cattolicità, appunto, nel tempo, nello spazio e nell’eternità! – le conferisce quella ampiezza di prospettiva per la quale nessun elemento viene assolutizzato, ma viene visto a partire dall’insieme, che solo pone al giusto posto ogni particolare[5]:

Vi sono stati una gran quantità di movimenti, o, in altre parole, monomanie. Ma la Chiesa non è un movimento bensì un luogo d’incontro, il luogo dove tutte le verità del mondo si danno appuntamento.

Appendice: Piccola antologia di testi di G.K.Chesterton scaricati dal web come invito alla lettura delle sue opere

Da Manalive, il romanzo più autobiografico, in cui Innocenzo Smith fa il giro del mondo per scoprire… l’Inghilterra, entra di nascosto e ruba… in casa sua, sposa di continuo… sua moglie:
Intendo che Dio mi ordinò d’amare un determinato luogo e di servirlo, me lo fece onorare come potevo, anche con le mie eccentricità… Intendo che il Paradiso è in un certo luogo e non dappertutto; è qualche cosa di preciso e non già qualsiasi cosa. E in fin dei conti non sarei troppo stupito se ci fosse davvero un lampione verde, davanti alla mia casa, su in cielo.

Una frase di Chesterton che J.L.Borges amava ricordare:
Tutto passerà, resterà solo lo stupore e soprattutto lo stupore per le cose quotidiane.

Il sorriso dell’uomo come cifra del senso:
La più semplice verità sull’uomo è che egli è un essere veramente strano: strano quasi nel senso che è straniero a questa terra… solo, fra tutti gli animali, è scosso dalla benefica follia del riso; quasi avesse afferrato qualche segreto di una più vera forma dell’universo e lo volesse celare all’universo stesso.
Questo fu il mio primo problema, quello di indurre gli uomini a capire la meraviglia e lo splendore dell’essere vivi.

Scrive Gianteo Bordero nell’articolo on-line “G.K.Chesterton: l’avventura di un uomo vivo” sul rifiuto dell’irrazionalità che contraddistingue il cristianesimo:
Per Chesterton, non è il Cristianesimo – che è fedeltà al reale, al concreto esistente – ma il diavolo ad amare il mistero come tenebrosa e inquietante stranezza, come bizzarra e complicata fantasticheria:
“È superbo e scaltro. Gli piace essere superiore, e ama terrificare l’innocente con cose capite a metà, e far rabbrividire i bambini. Questa è la ragione per cui ha tanta passione per i misteri e le iniziazioni e le società segrete e tutte le cose del genere” (da I racconti di p.Brown, Paoline 1966, p. 409)…
È un’idea che egli porta avanti anche ne La parrucca rossa, quella del diavolo come colui che distoglie dalla realtà, facendo credere in un falso mistero, in un mistero inteso come tenebra oscura:
“Io conosco il Dio sconosciuto -disse il piccolo prete con una inconsapevole imponenza nella sua certezza, alzandosi simile ad una gigantesca torre di granito- Conosco il suo nome: è Satana. Il vero Dio si fece carne e dimorò fra noi. Ed io vi dico che ovunque voi troviate uomini dominati unicamente dal mistero, questo mistero non è che iniquità. (…) Se voi credete che qualche verità sia insopportabile, sopportatela” (da La saggezza di p.BrownLa parrucca rossa, Paoline, 1966, p.669).

Da Il pugnale alato, BUR, Rizzoli, 2003, p.292, dove padre Brown racconta come ha avuto la prima intuizione sull’identità del colpevole di un misfatto:
Forse, il suo solo errore è stato di scegliere una storia soprannaturale; aveva l’idea che, essendo prete, avrei creduto a qualsiasi cosa. Molte persone hanno di queste idee.

Da I racconti di p.Brown, Paoline 1966, pp.805-6, sull’importanza di riconoscere il proprio male:
Nessun l’uomo può essere veramente buono finché non conosce la sua malvagità, o quella che potrebbe avere; finché non abbia esattamente compreso quanto poco abbia diritto di esprimere tutti quei giudizi e questo disprezzo e di parlare di “criminali” come se fossero scimmie di una foresta lontana mille miglia; (…) finché egli non ha spremuto dalla sua anima l’ultima goccia dell’olio dei farisei…
Io non cerco di guardare l’uomo dall’esterno, cerco di penetrare nell’interno dell’assassino… Anzi, molto di più, non le pare? Io sono dentro un uomo. (…) aspetto di essere dentro un assassino (…) finché penso i suoi stessi pensieri, e lotto con le sue stesse passioni, (…) finché vedo il mondo con i suoi stessi biechi occhi (…). Finché anch’io divento veramente un assassino.

Da L’innocenza di p.Brown, Il martello di Dio, p.227, sull’importanza di riconoscere il proprio male:
Sono un uomo -rispose p.Brown, gravemente- e perciò ho il cuore pieno di diavoli.

Da The Catholic Church and Conversion, in G.K.Chesterton, Perché sono cattolico, Gribaudi, 1994, p.135:
La Chiesa Cattolica è la sola capace di salvare l’uomo dallo stato di schiavitù in cui si troverebbe se fosse soltanto il figlio del suo tempo.


Da Tommaso Moro, in G.K.Chesterton, Perché sono cattolico, Gribaudi, 1994, p.115:
L’eresia è quella verità che trascura tutte le altre verità.

Da L’uomo comune, San Paolo, Alba 1955, 34:
L’eretico […] non è colui che ama troppo la verità […] ma è colui che ama la propria verità più della verità stessa.

Da San Tommaso d’Aquino, Piemme, Casale Monferrato 1998, 96:
Il Corpo aveva penzolato su un patibolo. Era risorto dalla tomba. Per l’anima non era più possibile disprezzare i sensi, che erano stati gli organi di qualcosa che era più di un uomo.

Scrive Gianteo Bordero nell’articolo on-line “G.K.Chesterton: l’avventura di un uomo vivo” sulla dottrina cattolica del peccato originale in Chesterton:
La dottrina della Caduta (peccato originale) è “l’unica visione lieta” (dall’Autobiografia, p.175) della vita umana, e la più realistica, in quanto ci ricorda che “abbiamo abusato di un mondo buono, e non siamo semplicemente intrappolati in una realtà malvagia” (da Perché sono cattolico e altri scritti, p.136).

Da Ortodossia, p.322, sul peccato originale:
Il paradosso fondamentale del Cristianesimo è che la ordinaria condizione dell’uomo non è il suo stato di sanità e sensibilità normale: la normalità stessa è una anormalità. Questa è la filosofia profonda della Caduta. […] La massa degli uomini è stata costretta ad essere allegra per le piccole cose, triste per le grandi. Nondimeno […] ciò non è nella natura dell’uomo. L’uomo è più se stesso, è più umano, quando in lui la gioia è fondamentale e il dolore superficiale. […] Il pessimismo è tutt’al più una mezzafesta della commozione; la gioia è il lavoro tumultuario per cui vivono tutte le cose. […] La gioia, che fu piccola appariscenza del pagano, è il gigantesco segreto del cristiano.

Da Ortodossia, sull’ottimismo cristiano e la sua differenza dal mito del progresso:
Spesso ho preferito chiamarmi ottimista per evitare la troppo evidente bestemmia del pessimismo. Ma tutto l’ottimismo dell’epoca è stato falso e scoraggiante, per questa ragione: che ha sempre cercato di provare che noi siamo fatti per il mondo. L’ottimismo cristiano invece è basato sul fatto che noi non siamo fatti per il mondo.

Da Ortodossia, sulla differenza fra la ricerca della verità ed una verità derivante dall’opportunismo:
Avendo scoperto che l’opportunismo fallisce, sono stato indotto a considerarlo da un punto di vista più generale, scoprendo così che non può non fallire. Mi sono reso conto che è molto più pratico cominciare dal principio, e discutere le teorie. Vedo che gli uomini che si uccidevano per l’ortodossia dell’ “omousios” (Cristo “consustanziale” al Padre, secondo la formula del Concilio di Nicea contro gli Ariani, n.d.r.) erano molto più sensibili degli uomini che discutono sulla legge per l’insegnamento. I dogmatisti cristiani, infatti, cercavano di costruire il regno della santità, e cercavano, anzitutto, di definire il preciso concetto di santità. Ma i nostri teorici dell’ educazione tentano di istituire una libertà religiosa, senza provarsi a stabilire che cosa sia la religione o che cosa sia la libertà. Se i vecchi preti imponevano una opinione alla gente, almeno prima si preoccupavano di renderla lucida. Solo le moderne folle… possono permettersi di perseguitare una dottrina, senza neppure definirla. Per queste ragioni, e per molte altre, sono giunto a credere alla necessità di tornare ai fondamenti.

Da Le mie sei conversioni, in G.K.Chesterton, Perché sono cattolico, Gribaudi, 1994, p.69:
Almeno sei volte durante gli ultimi anni mi sono trovato nella situazione di convertirmi senza esitazione al cattolicesimo, se non mi avesse trattenuto dal compiere il gesto azzardato l’averlo già fatto.

Da Eretici, sulla differenza fra la debolezza della Chiesa e la forza dell’uomo:
Il signor Shaw non riesce a capire che ciò che è prezioso e degno d’amore ai nostri occhi è l’uomo, il vecchio bevitore di birra, creatore di fedi, combattivo, fallace, sensuale e rispettabile. E le cose fondate su questa creatura restano in perpetuo; le cose fondate sulla fantasia del Superuomo sono morte con le civiltà morenti che sole le hanno partorite. Quando, in un momento simbolico, stava ponendo le basi della Sua grande società, Cristo non scelse come pietra angolare il geniale Paolo o il mistico Giovanni, ma un imbroglione, uno snob, un codardo: in una parola, un uomo. E su quella pietra Egli ha edificato la Sua Chiesa, e le porte dell’Inferno non hanno prevalso su di essa. Tutti gli imperi e tutti i regni sono crollati, per questa intrinseca e costante debolezza, che furono fondati da uomini forti su uomini forti. Ma quest’unica cosa, la storica Chiesa cristiana, fu fondata su un uomo debole, e per questo motivo è indistruttibile. Poiché nessuna catena è più forte del suo anello più debole.

Da L’uomo che fu Giovedì, sull’amicizia:
Non ci sono parole per esprimere l’abisso che corre fra l’essere soli e l’avere un alleato. Si può concedere ai matematici che quattro è due volte due; ma due non è due volte uno: due è duemila volte uno.

Da Tommaso Moro:
Egli è stato “un campione della libertà nella sua vita pubblica e, ancor di più, nella sua morte pubblica. Nella sua vita privata incarna quella verità che non viene colta oggigiorno: la verità che il luogo della libertà è la casa… se gli individui possono sperare di tutelare la propria libertà, devono difendere la loro vita familiare”.

Da What’s wrong with the World, New York, Dodd, Mead and Company, 1910, pp. 190-3:
In ogni età, in ogni terra, in ogni tribú e villaggio, è stata intrapresa la grande guerra sessuale fra la Casa privata e la Casa Pubblica. Ho visto una raccolta di poesie inglesi medievali, divisa in sezioni quali «Canti religiosi», «Canzoni di brindisi», eccetera; e la sezione intitolata «Poesie della vita domestica» era costituita per intero (per intero, letteralmente) dai lamenti dei mariti vessati dalle mogli. Per quanto arcaica fosse la lingua, le parole erano in molti casi precisamente identiche a quelle che ho udito nelle strade e nei bar di Battersea, proteste in favore d’un’estensione del tempo e della conversazione, proteste contro la nervosa impazienza e l’utilitarismo divorante della donna. Di tal genere, dico io, è la lite; non può mai essere altro che una lite; ma lo scopo di tutta la morale e di tutta la società è di far sì che rimanga una lite fra innamorati. […]


Ma in quest’angolo chiamato Inghilterra, in questa fine di secolo, è accaduta una cosa strana e sbalorditiva. Scopertamente, e secondo ogni apparenza, questo conflitto ancestrale è silenziosamente e repentinamente finito; uno dei due sessi s’è improvvisamente arreso all’altro. Verso l’inizio del ventesimo secolo, negli ultimi anni, la donna s’è arresa in pubblico all’uomo. Ha seriamente e ufficialmente ammesso che l’uomo ha sempre avuto ragione; che la casa pubblica (ovvero il Parlamento) è veramente più importante della casa privata; che la politica non è (come le donne avevano sempre sostenuto) una scusa per qualche boccale di birra, ma una sacra solennità davanti alla quale si possono inginocchiare nuove adoratrici; che i ciarlieri patrioti dell’osteria sono non soltanto ammirevoli, ma invidiabili; che la conversazione non è uno spreco di tempo, e perciò (come conseguenza, certo) che le osterie non sono uno spreco di denaro. Tutti noi uomini ci eravamo abituati alle nostre mogli e madri, e nonne, e prozie, che tutte sciorinavano un coro di disapprovazione sui nostri passatempi e sport, sulle nostre bevute e sui nostri partiti politici. E adesso viene la signorina Pankhurst con le lacrime agli occhi ad ammettere che tutte le donne avevano torto e tutti gli uomini avevano ragione; a implorare umilmente d’essere ammessa almeno in un cortile esterno, dal quale possa cogliere sia pure di sfuggita uno scorcio di quei meriti maschili che le sue fuorviate sorelle avevano tanto sconsideratamente dileggiato.

Dall’Autobiografia, pp.80-93:
Il periodo della giovinezza, che è pieno di dubbi e di morbosità e di tentazioni, […] nel mio caso ha lasciato per sempre nella mia mente la certezza della solidità oggettiva del peccato. […] Ciò che chiamo il mio periodo di pazzia, coincise con un periodo nel quale mi lasciavo trascinare, non facevo nulla, e non mi potevo dedicare ad un lavoro stabile. Mi occupavo superficialmente di infinite cose […]. Nel tempo del quale scrivo, si trattava di una filosofia molto negativa e persino nichilista. E benché io non la accettassi completamente, essa gettò tuttavia un’ombra sulla mia mente. […] Quest’atmosfera contribuì anche, benché indirettamente, ad un certo umore di irrealtà e di isolamento sterile, che in quel tempo si impossessò di me e, penso, di molti altri […]. Un dubbio metafisico mi faceva sentire come se tutto fosse un sogno. Era come se avessi io stesso proiettato l’universo dal di dentro, con tutti i suoi alberi e le sue stelle: e ciò è così vicino al pretendere di essere Dio, che è evidentemente ancor più vicino al diventar pazzo […]. Come con gli estremi mentali, così era con quelli morali […]: temo di essermi fabbricato da me la maggior parte delle mie morbosità. Ad ogni modo, la verità è che vi fu un periodo in cui avevo raggiunto uno stato di interna anarchia morale […] e di congestione dell’immaginazione […]. Ad ogni modo, si sappia che ho scavato tanto in basso da trovare il diavolo, e perfino, confusamente, di riconoscere il diavolo.

Dall’Autobiografia, pp.93-102:
Dopo di essere stato per alcun tempo nelle profondità più oscure del pessimismo contemporaneo, sentii un forte impulso interiore a ribellarmi, a scacciare l’incubo e a buttar via l’oppressione. Ma
giacché stavo ancora pensandovi e liberandomene da solo, e la filosofia mi giovava poco e la religione non mi dava un vero aiuto, m’inventai una teoria mistica rudimentale ed artificiosa. Era sostanzialmente questa: anche la sola esistenza, ridotta ai suoi limiti più semplici, è tanto straordinaria da essere stimolante. Tutto era magnifico, paragonato al nulla. La luce del giorno poteva essere un sogno, ma un sogno, non un incubo. […] Di fatto, ero arrivato ad una posizione non molto lontana dalla frase del mio nonno puritano, il quale avrebbe ringraziato Dio per averlo creato, diceva, anche se fosse stato un anima perduta. Ero attaccato ai resti della religione con un piccolo filo di riconoscenza. […] Questo modo di vedere le cose […] aveva una specie di mistico minimum di gratitudine […]. Ma i miei occhi erano ancora rivolti verso l’interno piuttosto che verso l’esterno, conferendo, immagino, alla mia personalità morale, uno strabismo tutt’altro che attraente. Ero ancora oppresso dall’incubo metafisico di negazioni nei riguardi dell’anima e della materia, dall’iconografia morbosa del male, dal peso del mio cervello e del mio corpo misteriosi; ma in quel periodo mi trovavo in rivolta contro di essi, e tentavo di costruire una concezione più sana della vita cosmica, anche se sbagliata per esagerazione. Chiamavo me stesso ottimista, perché mi trovavo così orribilmente vicino ad essere pessimista. […] E il male estremo, allora, era semplicemente il peccato imperdonabile di non desiderare il perdono.

Dall’Autobiografia, p.321:
Mi preoccupavo ancora molto; avrei potuto discendere sempre più ad una specie di compromesso o di resa per pura stanchezza, se non fosse stato per questa subitanea visione dell’abisso che si apre sotto i piedi di noi tutti. Fui sorpreso nella mia stessa sorpresa. Che la Chiesa Cattolica sapesse più di me intorno al bene, era facile a credersi. Che sapesse più di me intorno al male, sembrava incredibile.

Dall’Autobiografia, pp.321-322:
Quando la gente chiede a me, o a qualsiasi altro: “Perché vi siete unito alla Chiesa di Roma?”, la prima risposta essenziale, anche se in parte incompleta, è: “Per liberarmi dai miei peccati”. Poiché non v’è nessun altro sistema religioso che dichiari veramente di liberare la gente dai peccati. Ciò trova la sua conferma nella logica, spaventosa per molti, con la quale la Chiesa trae la conclusione che il peccato confessato, e pianto adeguatamente, viene di fatto abolito, e che il peccatore comincia veramente di nuovo, come se non avesse mai peccato. […] Orbene, quando un cattolico ritorna dalla confessione entra veramente, per definizione, nell’alba del suo stesso inizio, e guarda con occhi nuovi attraverso il mondo, ad un Crystal Palace che è veramente di cristallo. Egli sa che in quell’angolo oscuro, e in quel breve rito, Dio lo ha veramente rifatto a Sua immagine. Egli è ora un nuovo esperimento del Creatore. E’ un esperimento nuovo tanto quanto lo era a soli cinque anni. Egli sta, come dissi, nella luce bianca dell’inizio, pieno di dignità, della vita di un uomo. Le accumulazioni di tempo non possono più spaventare. Può essere grigio e gottoso, ma è vecchio soltanto di cinque minuti.

Dall’Autobiografia, p.322:
M’interessa in modo speciale il fatto che queste dottrine (cattoliche) sembrino tener legata tutta la mia vita fin dall’inizio, come nessuna delle altre dottrine potrebbe fare. Specialmente pare che rendano chiari, simultaneamente, i due problemi della mia felicità di fanciullo, e del mio ansioso meditare di ragazzo. Essi si riferiscono particolarmente ad un’idea centrale della mia vita; non dirò la dottrina che ho sempre insegnato, ma la dottrina che mi sarebbe piaciuto insegnare. L’idea cioè di accettare le cose con gratitudine, ma non di prenderle senza curarsene. Così, il Sacramento della Penitenza dà una vita nuova, e riconcilia l’uomo con tutto ciò che vive, ma non lo fa come lo fanno gli ottimisti e gli edonisti e i predicatori pagani della felicità. Il dono vien fatto ad un prezzo, ed è condizionato alla confessione. In altre parole, il nome del prezzo è Verità, che può essere chiamata anche Realtà; ma significa porsi di fronte alla realtà del proprio essere. Quando il processo vien applicato alle altre persone viene chiamato Realismo.

Da Il mio nome è Lazzaro, scritta per il proprio ingresso da adulto nella Chiesa cattolica:
Dopo un momento, quando chinai la testa e il mondo si capovolse, e uscii là dove brillava, bianca, l’antica via camminai per le strade e ascoltai ciò che dicevano gli uomini, foreste di lingue, come foglie d’autunno non sparse, non ingrate, ma strane e leggere; vecchi enigmi e nuove fedi, non in contrasto ma dolci, come quando l’uomo ricorda con un sorriso i morti. I saggi hanno cento mappe che disegnano universi fitti come alberi, scuotono la ragione con mille setacci che accantonano la sabbia e lasciano filtrare l’oro: per me tutto ciò vale meno della polvere poiché il mio nome è Lazzaro e sono vivo.

Da Ortodossia, pp.219-220:
Nel chiudere questo caotico volume, riapro lo strano libriccino da cui venne tutto il Cristianesimo; e di nuovo sono turbato da una specie di confermazione. L’immensa figura che riempie i Vangeli s’innalza per questo rispetto, come per ogni altro, su tutti i pensatori che si credettero grandi. Il Suo pathos fu naturale, quasi casuale. Gli stoici antichi e moderni ebbero l’orgoglio di nascondere le loro lacrime. Egli non nascose mai le Sue lacrime. Egli le mostrò chiaramente sul Suo viso aperto ad ogni quotidiano spettacolo come quando Egli vide da lontano la Sua nativa città. Ma egli nascose qualche cosa. I solenni superuomini, i diplomatici imperiali sono fieri di trattenere la loro collera. Egli non trattenne mai la sua collera. Egli rovesciò i banchi delle mercanzie per i gradini del Tempio e chiese agli uomini come sperassero di fuggire alla dannazione dell’inferno. Pure Egli trattenne qualche cosa. Lo dico con riverenza: c’era in questa irrompente personalità un lato che si potrebbe dire di riserbo: c’era qualcosa ch’Egli nascose a tutti gli uomini quando andò a pregare sulla montagna: qualche cosa ch’Egli coprì costantemente con un brusco silenzio o con un impetuoso isolamento. Era qualche cosa di troppo grande perché Dio lo mostrasse a noi quando Egli camminava sulla terra; ed io qualche volta ho immaginato che fosse la Sua allegrezza.


Note

[1] G.K.Chesterton, Perché sono cattolico e altri scritti, Gribaudi, Milano, 2002, p.9.

[2] G.K.Chesterton, Perché sono cattolico e altri scritti, Gribaudi, Milano, 2002, pp.9-17. Il saggio è del 1926. Sarà seguito nel 1929 da Perché sono cattolico II, nel quale affronta la differenza fra protestantesimo e cattolicesimo (Id., pp.49-59); ma, come è noto, molti degli scritti di Chesterton affrontano il tema della credibilità della fede cristiana.

[3] G.K.Chesterton, Perché sono cattolico e altri scritti, Gribaudi, Milano, 2002, p. 10.

[4] G.K.Chesterton, Perché sono cattolico e altri scritti, Gribaudi, Milano, 2002, p. 12.

[5] G.K.Chesterton, Perché sono cattolico e altri scritti, Gribaudi, Milano, 2002, p. 17.

QUI L’ARTICOLO ORIGINALE APPARSO SUL SITO GLISCRITTI.IT

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