Il percorso archeologico e spirituale nell’ambiente sotterraneo dove l’apostolo, mentre era prigioniero, battezzò i primi cristiani di Romadi Vittoria Prisciandaro
Uno spazio umido, buio, angusto. Sottoterra, puzzolente. Qui il capo della Chiesa di Roma iniziò il suo ministero. È nel carcere dove venivano gettati i prigionieri dei Romani che san Pietro battezza 47 persone, tra carcerati e guardie. Egli converte al messaggio di Gesù di Nazaret sia uomini destinati alla schiavitù o alla morte, sia coloro che li sorvegliano. Nasce dunque in un carcere la prima Chiesa petrina.
Meta di pellegrinaggi sin dall’antichità, la prigione di san Pietro è stata recentemente restaurata. Superata piazza Venezia, alle spalle dell’altare della Patria, dai Fori imperiali si diparte la salita che porta in Campidoglio, denominata via san Pietro in carcere: all’inizio della strada un viottolo acciottolato conduce all’area dove si apre il complesso del Tullianum (denominato anche Mamertino). Una prospettiva insolita per ammirare il Foro romano: dalla balaustra del piazzale si possono infatti quasi toccare con mano i volti afflitti dei prigionieri che i Romani conducono in catene, scolpiti sull’arco di Settimio Severo.
La struttura dove Pietro fu tenuto prigioniero risale a circa 600 anni prima di Cristo, usata come carcere sin dall’antichità, ma in precedenza destinata a luogo di culto, per la presenza di una sorgente d’acqua. La prigione è inglobata in un edificio su quattro livelli: sopra si trova la chiesa di San Giuseppe dei falegnami, datata XVI secolo. Sotto, il complesso composto da due nuclei distinti: il Carcer, l’ambiente superiore, che risalirebbe al periodo di Anco Marzio (640-616 a.C.), da cui il nome Mamertino (da Mars, Marte, che in lingua osca si diceva anche Mamers, da cui Mamertinus) e il Tullianum, l’ambiente inferiore, che risalirebbe all’epoca di Servio Tullio (578-534 a.C.). In mezzo, tra il pavimento della chiesa e la copertura del carcere, nel 1853 fu costruito per volere di Pio IX il santuario del Santissimo Crocifisso. Sopra l’altare, in una teca di vetro, l’immagine del Cristo in croce, una scultura lignea molto venerata dai romani, risalente probabilmente al XV secolo, che era precedentemente esposta sulla facciata in travertino del carcere. Oggi questo spazio viene usato dai singoli che vogliono trattenersi in preghiera, ma anche dai gruppi di pellegrini che vi celebrano l’Eucaristia.
IL MIRACOLO DELLA SORGENTE
Il carcere è posto in un luogo strategico dell’antica Roma, tra la Curia, l’antico tribunale e il Campidoglio, lungo la Via sacra, dove i Romani vincitori passavano di ritorno dalle battaglie conducendo i prigionieri di guerra, che venivano appunto depositati nel carcere in attesa di giudizio.
Nel Tullianum, la tradizione racconta che san Pietro, recluso, avrebbe compiuto un’azione miracolosa colpendo con un bastone la roccia e facendone scaturire l’acqua che utilizzò per battezzare i reclusi e i carcerieri. Il miracolo della sorgente viene ricordato dall’altorilievo in bronzo dorato dello scultore Jean Bonnasieux. Temi – acqua e roccia – che, insieme al riferimento alla necessità della buona condotta e alla sottomissione alle autorità, ricorrono nella prima Lettera di Pietro, facendola ritenere ad alcuni frutto della riflessione sull’esperienza della prigionia.
VISITA TECNOLOGICA
Chi percorre in pellegrinaggio queste antiche pietre riesce a ricostruire, grazie all’aiuto della tecnologia con un tablet fornito all’ingresso, alcuni affreschi che raccontano la vita dei primi cristiani e la loro visione della comunità: suggestiva una delle prime raffigurazioni della Madonna della Misericordia, in un affresco datato XIII secolo, che sotto il suo manto accoglie decine di fedeli; e poi Cristo che, in un insolito gesto, poggia la sua mano sulla spalla di Pietro, quasi a fargli coraggio; quindi Pietro e Paolo, che secondo la tradizione avrebbero entrambi conosciuto questa prigione (cosa poco probabile, perché il carcere era riservato ai barbari e non ai cittadini romani, quale era Paolo).
NEL RICORDO DEI MARTIRI
Il nome di Paolo ricorre comunque da più parti: nella lapide dove sono ricordati i prigionieri cristiani, “martiri santi” che secondo la tradizione sono stati reclusi in questo carcere, tra cui l’arcidiacono Lorenzo, i coniugi Leone e Maria e i loro figli, il sacerdote Eusebio e il diacono Marcello…; o vicino alla colonna a lato dell’altare dove si dice che, «stando legati i santi apostoli Pietro e Paolo, convertirono i santi martiri Processo e Martiniano ed altri 47 alla fede di Cristo, i quali battezzarono coll’acqua di questa fonte scaturita miracolosamente».
La memoria dei martiri e del ministero petrino hanno attirato qui in pellegrinaggio tanti cristiani e numerosi santi, da san Lino a san Filippo Neri, da sant’Ignazio di Loyola a santa Teresa di Lisieux. Pochi mesi fa sono passati anche i reclusi che, durante il recente Giubileo della misericordia, sono venuti a Roma in permesso speciale e hanno incontrato Francesco.
Dal 1500 fino a Pio XII anche i Papi, appena eletti, dopo la presa di possesso nella basilica di san Giovanni in Laterano, hanno percorso l’angusta scaletta che conduce nell’antro scavato sotto terra, accanto all’antica sorgente d’acqua. E si sono fermati in preghiera tra le pietre umide dove fu tratto in catene il primo Pontefice.
INTERESSANTI SCOPERTE DAI RECENTI SCAVI ARCHEOLOGICI
I recentissimi scavi effettuati nell’area del carcere – ultimati nel giugno del 2016 – hanno portato alla luce gli scheletri di un uomo ucciso con un colpo alla testa e con le mani legate (foto a sinistra), di una donna e di una bambina risalenti a circa dieci secoli prima di Cristo, che testimoniano l’occupazione di quest’area già nell’Età del ferro, prima della fondazione di Roma. E poi resti di animali (maiale e pesce) e semi di piante, come il limone più antico del Mediterraneo con tanto di polpa e semi, datato 14 d.C.
UN TESORO DEL BAROCCO
La chiesa di San Giuseppe dei falegnami occupa il livello più alto del complesso del carcere. Fu edificata nel 1546 dall’Arciconfraternita dei fabbri e dei falegnami, costituitasi nel 1540. Alla fine del Cinquecento, la Confraternita decise di rinnovare gli ambienti. Nel 1597 venne incaricato Giovan Battista Montano, architetto e intagliatore milanese, che seguì i lavori fino alla conclusione nel 1602. Per gli ampliamenti si successero Giovan Battista Soria e Antonio del Grande. L’edificio venne modificato nei secoli anche a seconda delle necessità urbanistiche della zona. Le decorazioni barocche la rendono uno degli edifici più suggestivi della capitale; l’interno è arricchito da uno splendido soffitto ligneo del 1560 e da numerose tele, molte della quali si ispirano alla vita di san Giuseppe. Merita sicuramente la visita l’Oratorio (foto), decorato da grandi pannelli pittorici, lavoro di Marco Tullio Montagna fra il 1631 e il 1637, che ricordano scene della vita del patrono dei falegnami: la natività, la fuga in Egitto, Gesù nel tempio, l’adorazione dei Magi, il sogno di Giuseppe.
ORGANIZZARE LA VISITA
Il complesso del Carcere Tullianum e del suo museo si trova in Clivo Argentario 1 a Roma. È gestito dall’Opera romana pellegrinaggi. Info: tel. 06/69.92.46.52 – 06/69.89.63.75 http://tullianum.org.
ORARI E BIGLIETTI
L’orario di ingresso segue quello dell’area archeologica del Foro romano. Fino al 25 marzo: lunedì- domenica 8.30-17.30 (poi 8.30- 19.15). Ingresso consentito fino ad un’ora prima della chiusura.
Biglietto: 10 euro (disponibili varie riduzioni). È possibile anche abbinare la visita del Carcer Tullianum con percorso multimediale all’ingresso al Colosseo, Foro Romano e Palatino a 20 euro.Info: 06/69.92.46.52 – 06/69.89.63.75 http://tullianum.org.
LA CHIESA DI S. GIUSEPPE
Del tutto indipendente dal Carcere Tulliano è la sovrastante chiesa di San Giuseppe dei falegnami. Ingresso libero. Info: http://sangiuseppedeifalegnami.it.