Per la Chiesa suor Maria Crocifissa lottò duramente contro i diavoli prima di essere costretta a scriverla. Per la tecnologia è un miscuglio di alfabeti noti alla religiosa, svelati da un algoritmo
La famigerata e terribile “Lettera del diavolo”, avvolte nel mistero e nel silenzio per oltre quattro secoli, finalmente oggi svela il suo atroce significato, grazie a un gruppo di fisici e informatici del Ludum Science Center di Catania.
La lettera fu scritta l’11 agosto del 1676, nella notte da Isabella Tommasi, così si chiamava la donna che prima di diventare suora (Isabella prese i voti e coi voti il nome di suor Maria Crocifissa della Concezione), raccontò alle consorelle del monastero di Palma di Montechiaro, in provincia di Agrigento, che una notte era stata visitata da un gruppo di demoni e, dopo avrebbe vergato quelle parole (Fan Page, 5 settembre).
In quelle righe – che ricordano a prima vista un po’ il greco classico e un po’ l’alfabeto cirillico e che non sono del tutto comprensibili – si parla di Dio e il diavolo. «Forse ormai certo Stige», si legge nella lettera, e Stige è uno dei cinque fiumi degli Inferi secondo la mitologia greca e romana. E poi ancora: «Poiché Dio Cristo Zoroastro seguono le vie antiche e sarte cucite dagli uomini, Ohimé». E infine: «Un Dio che sento liberare i mortali».
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LA VERSIONE DELLA CHIESA
Per la Chiesa di allora, invece, la lettera è l’esito della lotta contro uno stuolo di «innumerabili spiriti maligni» decisi a utilizzare suor Maria Crocifissa – fatta poi beata – come «misero corsiero» per un messaggio preciso: chiedere a Dio di lasciare i mortali ai loro peccati, e di smettere di elargire «Misericordia e Pietà».
LA MINACCIA DEI DIAVOLI
Di non strapparli dalle braccia di Lucifero, insomma. Lotta strenua, a leggere il verbale stilato dall’abbadessa Maria Serafica, che raccoglie le parole della monaca. Sarebbero stati i diavoli a costringerla a firmare la lettera (e lei, eroicamente, si sarebbe opposta scrivendo «Ohimé», l’unica parola comprensibile del documento). Sarebbero stati i diavoli a imbrattarle la faccia di inchiostro, a minacciare di picchiarla col calamaio «ma non lo permise il Signore, perché se ciò succedeva moriva sicuramente, perché era di bronzo».
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I DUE MESSAGGI SEGRETI
Suor Maria Crocifissa ne uscì tramortita, mentre i diavoli le ordinavano di portare subito il messaggio a Dio altrimenti «l’avrebbero castigata severamente». Quelle 14 righe misteriose (custodite nel monastero di Palma di Montechiaro, ma una copia sta nell’archivio della Cattedrale di Agrigento) sono tutto ciò di quel che resta della lotta con Belzebù. C’erano altri due messaggi dei demoni, ma la suora non li scrisse e li portò con sé nella tomba. «Non mi domandate di questo per carità – disse alle consorelle – che non posso in verun modo dirlo, e nemmeno occorre dirlo io, che verrà tempo che il tutto udirete e vedrete» (Vatican Insider, 5 settembre).
LA VERSIONE DELLA SCIENZA
Di tutt’altro parere gli esperti del Ludum Center che sostengono di aver tradotto correttamente la lettera grazie ad un utilizzando un programma di decriptazione. Ma come si fa a tradurre la lingua del diavolo?
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«Abbiamo inserito nel programma – spiega Daniele Abate, 49 anni, responsabile del team e direttore del Ludum – l’alfabeto greco, quello latino, quello runico (delle antiche popolazioni germaniche) e quello degli yazidi, il popolo considerato adoratore del diavolo che abitò il Sinjar iracheno prima della comparsa dell’Islam, tutti alfabeti che suor Maria Crocifissa poteva avere visto o conosciuto. L’algoritmo prima individua i caratteri che si ripetono uguali, poi li compara con i segni alfabetici più simili nelle varie lingue».
“IL DIAVOLO E’ NELLA SUA TESTA”
Secondo Abate l’alfabeto è stato inventato dalla suora con grande cura mischiando simboli che conosceva. «Ogni simbolo è ben pensato e strutturato, ci sono segni che si ripetono, un’iniziativa forse intenzionale e forse inconscia. Lo stress della vita monacale era molto forte, la donna potrebbe avere sofferto di un disturbo bipolare, allora non c’erano farmaci né diagnosi psichiatriche. Certamente – conclude – c’era il diavolo nella sua testa».
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