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Elvis quarant’anni dopo: tra vanagloria e fede

Elvis Presley.

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Kévin Boucaud-Victoire - pubblicato il 17/08/17
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Deceduto quarant’anni fa ieri, The King era un fervente cristiano e un uomo diviso tra il successo, il suo stile di vita e la fede.

Il 16 agosto 1977, Elvis Presley si è spento a Memphis, nel Tennessee. Soffriva di più d’un problema di salute: The King è stato ritrovato morto nel suo bagno che aveva assunto parecchio sonnifero. Due giorni dopo 50mila e 100mila persone vengono a rendergli omaggio a Graceland, la sua casa in cui viene allestita la camera ardente prima delle grandiose esequie organizzate il 19 agosto e celebrate dal celebre tele-predicatore Rex Humbard. Se da vivo fu un’icona incontestata, con più di 700 milioni di dischi venduti e 156 concerti oltreoceano (cioè in Europa), la sua morte prematura, a 42 anni, l’ha violentemente innalzato al rango di leggenda.

Ogni anno, più di 600mila visitatori si recano nel giardino di Graceland a rendergli omaggio. «Prima di Elvis non c’era niente», affermava John Lennon, celebre cofondatore dei Beatles, anche lui scomparso prematuramente tre anni più tardi.

Un elemento essenziale della sua vita viene però spesso dimenticato: la sua fede. In effetti, il solo artista che abbia interpretato del gospel a Las Vegas aveva un giorno dichiarato in quella che già all’epoca era chiamata Sin city (“la città del peccato”):

Si scrivono tante sciocchezze, sul mio conto. Si dice che io sia il “King”. Ma per me non c’è che un solo re, Gesù Cristo.

Nato l’8 gennaio 1935 nel Mississipi, Elvis Aaron Presley cresce in una famiglia evangelica. Da piccolo frequenta assiduamente una chiesa appartenente all’associazione mondiale delle Assemblee di Dio, importante rete di chiese pentecostali che conta milioni di fedeli nel mondo. Segue allora con interesse la Scuola domenicale, l’equivalente protestante del corso di catechismo. Il futuro “King”, che vive allora in un quartiere a netta prevalenza afroamericana, si appassiona pure ai canti religiosi, principalmente al gospel. A tredici anni trasloca coi suoi genitori a Memphis, dove vivrà tutta la vita. Elvis continua ad andare in chiesa e a cantare gospel. Se di tanto in tanto la celebrità e le frequentazioni nello show business lo allontaneranno da Dio, egli comunque non perderà mai la fede. Al crepuscolo della sua vita, Gladys Presley, madre di Elvis, si preoccupa per il figlio. Secondo lei il suo stile di vita lo allontana da Dio. Gli spiega allora, piangendo, che il suo successo materiale le importa poco, e che da parte sua avrebbe preferito che avesse consacrato la vita a servire il Signore. Il cantante le promette allora:

Un giorno riporrò tutta la mia fede in Dio, perché amo Dio. Un giorno, mi metterò tutto al suo servizio come tu desideri.

Ma fino alla morte Elvis restò a metà tra le sue convinzioni religiose e il suo modo di vivere.

E che serve a un uomo guadagnare il mondo intero, se perde la sua anima?

Mc 8, 36

chiede un giorno Cristo ai suoi discepoli. È a questo dilemma che si trova continuamente confrontato il King, che subisce gli effetti nefasti di Las Vegas, Hollywood, o ancora quelli della “mafia di Memphis” – epiteto affibbiato al suo entourage, centro di consumo di droga e di alcool. Un affresco restituito perfettamente dal documentario La face cachée d’Elvis Presley. Il predicatore americano Eugenio Jimenez racconta che durante il loro primo incontro, nel 1957, Presley mostrò di voler tornare al Signore, ma ritiene che già allora fosse a un punto di non ritorno. Proprio a partire di là ha inizio nel cantante una battaglia interiore tra il suo modo di vivere, che lo trattiene, e un’aspirazione spirituale profonda. Elvis discute pure, e regolarmente, con suo zio, predicatore pentecostale. Gli capita pure di piangere davanti a Lisa Marie Presley, la figlia che ha con Priscilla Beaulieu, perché si prepara «a incontrare Dio». Durante tutto il corso della sua carriere, the King registra non pochi spezzoni di gospel, facendo esplicitamente riferimento alla sua fede, per esempio Amazing grace, Crying in the chapel, I believe o He touched me.

Sei mesi prima della sua morte, il 16 febbraio 1977, il cantante intona una canzone che evoca l’eternità, in un concerto a Montgomery, in Alabama. Speriamo che l’abbia effettivamente trovata.

[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]

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