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Perché Gesù usa parabole e non parla più chiaramente?

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Carlos Padilla - pubblicato il 19/07/17
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Ci sono cose che non si leggono nei libri, ma solo nella vitaGesù mi parla in parabole, come faceva con gli uomini con i quali condivideva il cammino. Parla con il cuore. Vuole placare la loro sete, le loro angosce, le loro paure. Soffre per loro, con loro. Parla loro con voce forte e sicura. Le sue parole hanno la vita eterna. Tutti vogliono ascoltarlo.

Gesù parla in parabole. Usa dei racconti per spiegare la vita. Fa esempi concreti, tratti dalla vita quotidiana. Osserva gli uomini nel loro lavoro. Parla dei campi. Dei semi. Del grano che cresce in silenzio. Parla loro della vita stessa per spiegare ciò che è importante.

È un osservatore. Non vive in una nuvola, ma sulla terra. E soffre per i problemi degli uomini. Parla con esempi concreti per chi capisce che Dio agisce nella natura del mondo. Non prescinde dalle cose umne. Anzi. Ha bisogno del quotidiano per rendersi presente.


JESUS OF NAZARETH
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Leggevo su Gesù: “Le sue parabole non hanno una finalità propriamente didattica. Quello che Gesù cerca non è trasmettere nuove idee, ma mettere le persone in sintonia con esperienze che quei contadini o quei pescatori conoscevano nella loro vita e potevano aiutarli ad aprirsi al Regno di Dio”.

Con esempi quotidiani, Dio si rendeva presente nella loro vita. Ed era più facile capire l’incomprensibile. Si può cogliere qualcosa di quello che ci sembra inarrivabile.

Ho bisogno di esempi nella mia vita per veder agire Dio. Nella mia vita concreta, limitata e fragile è nascosta la sua saggezza divina e inaccessibile. Questo mi commuove sempre.

Diceva padre Josef Kentenich: “Non si tratta di dedicare più tempo alla preghiera e trascurare il lavoro con il pretesto di questo bisogno di tempo. No. In realtà possiamo coltivare lo spirito di preghiera in ogni momento, anche in quelli più difficili. Possiamo lavorare nell’apparente superficialità della vita quotidiana ma essere interiormente nel profondo”.

Posso essere profondamente unito a Dio nella mia vita quotidiana. Non devo uscire da me stesso per stare con Dio. Egli è nel più profondo del mio essere. Ed è nell’apparente superficialità dei miei giorni. In quello che faccio, in quello che dico, in quello che soffro.

Quante madri con bambini piccoli rimpiangono i momenti di solitudine della loro giovinezza! Lì, nella loro routine frenetica, tra pianti e risate, Dio parla nel nascondimento.

Forse devo solo guardare la mia vita di oggi per accettare che Dio mi parla nella parabola dei miei giorni. Perché la mia vita è un racconto. E può essere che qualcuno che mi conosce possa utilizzare ciò che mi succede per rendere tangibile Dio in altri sguardi.

È quello che faccio io quando ascolto l’anima di un uomo. Cerco di vedere Dio nascosto nelle pieghe della sua carne. Nella profondità delle sue lacrime. Nel suo sorriso. E allora posso percepire le mani di Dio che agisce e il suo amore che si fa vita.

Mi è allora più facile descrivere come agisce vedendolo operare nel più concreto della vita umana. Nella mia vita. Dove la Parola che ascolto ha una forza nuova. Nei miei limiti che mi parlano di quel mare profondo che non riesco ad abbracciare.



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E posso capire la sua misericordia nelle lacrime di dolore di chi ha perduto. Posso apprezzare la forza del regno nel peccato che mi confessano labbra pentite. Vedo nella mia carne malata la vita eterna che sboccia senza che io possa evitarlo.

E allo stesso tempo vedo che sono gli esempi del libro della vita degli uomini a insegnarmi di più. Molto più di altri libri. Diceva padre Kentenich: “Il libro che ho letto è il libro del tempo, il libro della vita, il libro delle vostre anime sante. Se non mi aveste aperto la vostra anima con tanta franchezza, non sarebbe mai stata effettuata la maggior parte delle scoperte spirituali che effettivamente sono state realizzate. Perché quelle cose non si leggono nei libri, ma solo nella vita”.

Nella mia vita ci sono le parabole più belle. Da ciò che mi accade dovrei essere capace di dedurre come agisce Dio. Dalle cose soggettive che mi accadono comprendo l’agire oggettivo di Dio con ciascuno. Questo mi dà vita.

Dio è concreto. Non mi guarda da lontano mentre mi lancia ordini astratti perché gli obbedisca. Si mette nel mio cuore, nel concreto della mia vita, e agisce. Non lo fa da lontano. Per questo, quando leggo Dio nelle anime, sto leggendo in parabole. In quei racconti che sembrano scritti solo per me.

Gesù insegna ad altri. E con quella vita concreta insegna a me. Dio parla in parabole perché io comprenda. Negli esempi della vita. Lì mi parla.

Mi pone i miei stessi esempi e mi aiuta con quello che vedo intorno a me per sapere come continua ad agire oggi.

Il libro della vita è il più importante. Voglio soffermarmi a leggere le parabole della mia vita, e quelle delle vite che conosco. La sua saggezza è negli esempi concreti. Il suo amore che agisce in modo occulto. Non voglio trascurare quello che la mia vita ha da dirmi.

Gesù dice: “Beati i vostri occhi perché vedono e i vostri orecchi perché odono!” Mi è stato dato il dono di comprendere. A me che ho fede, perché ho creduto. È un dono di cui non sempre sono grato. Lo do per scontato. Rendo grazie a Dio perché capisco alcune delle sue parabole. Non tutte. Cerco solo di interpretarle correttamente, ma a volte non ci riesco.

Non voglio lasciarmi trasportare solo dalle mie intuizioni. Voglio comprendere alcuni dei misteri più profondi, e accettare che altri restino nascosti per sempre. I dubbi accanto alle certezze. La vita è così.

[Traduzione dallo spagnolo a cura di Roberta Sciamplicotti]

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