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Due parole sull’aborto

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Silvana De Mari - pubblicato il 03/07/17
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“L’aborto è un suicidio differito, una donna normale il suo bambino lo mette al mondo, una donna che si odia lo uccide. E il rimpianto arriva”.Certo, anche io ero così favorevole! Era così giusto. Un diritto che nessuna donna si tenesse nella pancia un figlio che non voleva. Anche io tifavo per la Bonino. E poi: tutte le donne morte di conseguenza dell’aborto. Che erano così tante. Bizzarro che in anni di pronto soccorso non ne avessi mai incontrata nemmeno una. Ma proprio nemmeno una. Se i numeri del Partito Radicale erano quelli che erano avremmo dovuto vederne nei nostri pronto soccorso almeno una al giorno e tre complicazioni, almeno. E invece nulla. Che quei numeri fossero orrendamente gonfiati? Ma no. Era un caso. Noi non ne avevamo mai vista una per puro caso. Il fatto è che dato che gli aborti erano vietati, la gente non lo faceva, lo percepiva come una barbarie. I mariti non spingevano le mogli ad abortire. Poi è diventato una cosa normale. Era normale chiedersi “lo tengo o no?”. Quando l’aborto fu legalizzato a me era sembrata una straordinaria vittoria. Mia madre allora decise di raccontarmi una storia, la mia. Quando scoprì di essere incinta di me, per lei e mio padre, fu una notizia terribile. La situazione economica era un disastro, non c’era posto per un altro bambino. Solo due mesi dopo si erano già abituati all’idea e quando la mamma ebbe minacce di aborto spesero tutti i pochi soldi che avevano perché le cure che le permettessero di tenere quella stessa creatura che due mesi prima avevano avuto l’impressione di non volere. Se l’aborto fosse stato permesso e facile negli anni 50, io forse non esisterei.



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Poi finalmente è arrivato il 1986: sono partita a fare il medico in Etiopia, e in quei paesi bisogna essere capaci di fare un po’ di tutto, e quindi prima di partire ho chiesto ai colleghi della ginecologia di frequentare per qualche ora il loro reparto. Ho assistito a un paio di parti, aiutato un paio di cesarei (un’emozione indescrivibile), fortunatamente la manualità è la stessa delle chirurgia, e quindi il passaggio da una specialità all’altra è molto facile. Dato che un medico deve saper fare anche i raschiamenti, indispensabili in caso di aborto spontaneo, e necessità di revisione della cavità uterina, ha assistito anche alle IVG; interruzioni volontarie di gravidanza, e ne ho fatta una. Bene, è tutto qui. Aborto è una parola. Un ammasso di sillabe. Diritto. Autodeterminazione. In nome di Dio, sono tutte sillabe. Ma voi avete capito cosa finisce nel bidone delle garze sporche? O a pezzi nel bidone dell’aspiratore? Quello che la signora Bonino aspirava con la sua pompa era una creatura viva con un cuore che batteva, che viene smembrata e aspirata a pezzi. Quello che io ho buttato nel bidone delle garze sporche era un bimbo con gambe e braccia, e una testa e un cuoricino che avrebbe continuato a battere, se io non lo avessi fermato.


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Forse è giusto che una donna decida del suo corpo, ma deve essere altrettanto sacrosanto che la società le chieda di non farlo. Questa sola frase “Signora, ci ha pensato bene? Questo è il suo bambino!” mi ha permesso di fermare decine di donne. Tutte mi hanno ringraziato. Il maledetto consenso informato che si firma per abortire non contiene la verità. Non c’è scritto “Lei potrebbe rimpiangerlo. E quando lo rimpiangerà sarà troppo tardi, sarà troppo tardi, questo era il suo bambino unico e irripetibile e invece di proteggerlo lei lo ha ucciso”. Il consenso informato non dice nulla della depressione post aborto (ma guarda un po’) dell’aumento del rischio di sterilità. Perché l’aborto è sotto censura? Perché siamo bersagliati dalle immagini degli animali scuoiati per le pellicce, o della macellazione, ed è sotto censura l’immagine del feto ucciso, con le sue manine chiuse a pugnetto, e il suo cuoricino che stupidamente batte perché il piccolo idiota non ha capito che è spazzatura, che il suo ruolo è di riempire il bidone della spazzatura con le garze sporche. È stato abortito per un sospetto di un difetto esofageo (che non c’era) un feto che è nato vivo , di quasi sei mesi ed ha impiegato 10 ore a morire di disidratazione , una morte atroce. Pare che il piccolo idiota si sia permesso anche di piangere alla sua nascita, un lamento flebile e atroce che risuona normalmente nelle cliniche USA dove si abortisce fino al nono mese. Pensate, il piccolo idiota ha pianto, non ha capito che la VOLONTÀ della proprietaria dell’utero era di non metterlo al mondo e questa volontà è tutto.



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Nessuno si faccia illusioni. L’aborto è un suicidio differito, una donna normale il suo bambino lo mette al mondo, una donna che si odia lo uccide. E il rimpianto arriva. Io passo il mio tempo ad ascoltare il dolore del rimpianto, queste voci di donne, che nessuno consola, perché non è consolabile.

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