In ospedale il nome della madre può restare segreto. Ma c’è anche l’opzione delle “culle speciali”
È successo tre volte, nell’ultimo mese. Famiglie normali, solo all’apparenza. Donne che giurano, spergiurano di non essersi accorte della gravidanza. E neonati gettati via, morti nonostante tutti i tentativi di soccorso e tutte le possibilità d’essere lasciati in vita, alla vita.
Il 7 maggio a Trieste una sedicenne ha avvolto la sua piccola appena nata in una busta di plastica, e l’ha abbandonata nel giardino del condominio. Il 30 maggio una mamma di Settimo Torinese ha partorito nel bagno di casa, di prima mattina, poi ha gettato il suo piccolo dalla finestra. Giù, sull’asfalto. Giovedì 22 giugno il caso quasi indicibile di Ferrara, con una donna di 40 anni che per nascondere la (incomprensibile) vergogna, o forse la paura, del suo settimo figlio, lo ha chiuso nel freezer di casa, tra gli altri alimenti.
400 NEONATI ALL’ANNO
La terribile conta, non la fa nessuno. Secondo la Società italiana di Neonatologia, che nel 2015 ha condotto una ricerca, sarebbero però almeno 400 i neonati abbandonati ogni anno. E parliamo soltanto di quelli che sopravvivono: gli altri, gettati via, nascosti chissà dove, non hanno nemmeno l’onore delle statistiche (Avvenire, 26 giugno).
NOME SEGRETO
Quando accade la gravidanza inaspettata, anche indesiderata per una complessità di motivazioni, chi sceglie di portarla fino in fondo deve sapere che è possibile, per legge, non solo partorire nell’anonimato ma anche non riconoscere il bambino e quindi lasciarlo nell’ospedale dove è nato (DPR 396/2000, art. 30, comma 2).
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Il nome della madre, ricorda il ministero della Salute, rimane per sempre segreto e nell’atto di nascita del bambino viene scritto ‘Nato da donna che non consente di essere nominata’. “Il diritto a rimanere una mamma segreta prevale su ogni altra considerazione o richiesta e ciò deve costituire un ulteriore elemento di sicurezza per quante dovessero decidere, aiutate da un servizio competente ed attento, a partorire nell’anonimato”, sottolinea il ministero.
L’AZIONE DELLA PROCURA
L’immediata segnalazione alla Procura della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni della situazione di abbandono del neonato non riconosciuto, permette l’apertura di un procedimento di adottabilità e la sollecita individuazione di un’idonea coppia che lo adotti. Il neonato vede così garantito il diritto a crescere ed essere educato in famiglia e assume lo status di figlio legittimo dei genitori che lo hanno adottato.
LE CULLE SPECIALI
Può anche accadere che si scelga di non partorire in una struttura ospedaliera. Anche in questo caso è possibile lasciare il neonato al sicuro, senza che nessuno venga mai a sapere chi sia stato a metterlo al mondo o a portarlo lì. Si tratta di speciali culle, una versione moderna e tecnologicamente avanzata della medievale Ruota degli Esposti. In molti casi si trovano vicino agli ospedali, ma possono anche essere organizzati presso parrocchie, conventi o case generalizie (adnkronos.it, 30 maggio).
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Gli sportelli che danno accesso allo spazio sono sempre aperti. Ci sono dei pulsanti accanto a queste finestre – si legge sul sito culleperlavita.it dove c’è una mappa delle culle sul suolo italiano – basta premerlo e attendere l’apertura. Una volta depositato il neonato, la finestra si chiuderà mettendolo in sicurezza. Il personale che sorveglia la culla si prenderà immediatamente cura del piccolo secondo la procedura adottata per il neonato non riconosciuto e verrà avviato il procedimento di adozione.
“POCA INFORMAZIONE”
«Non è pensabile infatti che l’ottima legge e la rete delle culle siano conosciute necessariamente dalle gestanti in difficoltà, soprattutto se queste hanno problemi di lingua o di povertà economica o culturale», spiega Gian Luigi Gigli, presidente del Movimento per la vita italiano».
«Occorre dunque una capillare campagna di informazione, in particolare verso questo target, per realizzare un’opera di sensibilizzazione sul valore della vita umana e sulla possibilità di salvaguardarla. Chiediamo al governo di mettere a disposizione lo strumento radiotelevisivo per una campagna di pubblicità-progresso e alle regioni di diffondere adeguatamente queste informazioni negli ospedali, nei consultori e nelle strutture assistenziali».
“PIU’ AIUTO PER LE STRANIERE”
Non solo: «Tenuto conto della provenienza dell’utenza che si rivolge ai nostri centri di aiuto alla vita, composta per quasi il 40 per cento da donne extracomunitarie – conclude Gigli – chiediamo anche che la campagna sia declinata anche nelle lingue dei principali paesi di provenienza, per rendere consapevoli queste donne dei diritti e per prevenire aborti, abbandoni e infanticidi» (Agensir, 30 maggio).
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