Ad esempio la “mano di Dio” non ha nulla a che vedere con il controverso gol di Maradonadi Sebastian Campos
«In tutti i battezzati, dal primo all’ultimo, opera la forza santificatrice dello Spirito che spinge ad evangelizzare» (Evangelii Gaudium, 119) ma spesso questa forza non viene utilizzata bene, perché nessuno capisce cosa intendiamo dire. Pertanto molte volte, oltre ad essere evangelizzatori, dovremmo essere “traduttori” della Buona Novella.
Il messaggio che dobbiamo comunicare è grande, profondo e bello, ma è anche molto misterioso. Non sempre riusciamo a comunicarlo in modo che abbia senso per il nostro interlocutore. Questo accade senza volerlo, perché nelle nostre comunità siamo abituati ad un linguaggio ecclesiale e teologico che può risultare complesso e indecifrabile a chi non frequenta il nostro ambiente.
Continua papa Francesco: «Ora che la Chiesa desidera vivere un profondo rinnovamento missionario, c’è una forma di predicazione che compete a tutti noi come impegno quotidiano. Si tratta di portare il Vangelo alle persone con cui ciascuno ha a che fare, tanto ai più vicini quanto agli sconosciuti. È la predicazione informale che si può realizzare durante una conversazione ed è anche quella che attua un missionario quando visita una casa. Essere discepolo significa avere la disposizione permanente di portare agli altri l’amore di Gesù e questo avviene spontaneamente in qualsiasi luogo, nella via, nella piazza, al lavoro, in una strada» (Evangelii Gaudium, 127).
Essendo evangelizzatori e traduttori degli insegnamenti della Chiesa e di Gesù per tutti, voglio proporvi alcuni esempi di concetti che spesso non vengono compresi bene, offrendovi poi alcune idee metodologiche da usare per condividere la Buona Novella.
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1. Andiamo in “missione”
La prima volta che mi è stato detto “quest’estate andiamo in missione”, tutto quello che avevo in mente era Tom Cruise che svolgeva un incarico impossibile. Sappiamo bene che la missione si riferisce al compito che Gesù ha assegnato a tutti coloro che fanno apostolato… ma questo lo capiamo soltanto noi.
2. Dio ci chiama a “convertirci”
3. Oggi c’è la riunione del “clero”
Credo che siano trascorsi mesi, se non anni, senza che nessuno mi spiegasse cosa fosse il “clero”. Prima di quel momento pensavo al cloro. Ogni volta che vedevo un sacerdote riuscivo quasi a sentire odore di piscina, di pulizia, di disinfettante.
Ad ogni modo, spiegare a un ragazzo nuovo che il sacerdote non può riceverlo durante la settimana perché è in riunione di clero, seppur sia una spiegazione reale, non spiega proprio nulla.
4. Maria, piena di “grazia”…
Non è semplice da capire, soprattutto quando la gente dice: “piena di grazie” (sì, al plurale). Una bambina mi ha addirittura detto che la Madonna è una signora molto “aggraziata”…
Anche io, pur essendo grande, ho fatto fatica a capire che ciò che Dio mi dà è per Grazia, cioè è gratuito. Nulla è per merito mio, né per le mie buone opere, ma per amore e senza condizioni. E quando sono “in grazia di Dio”, non significa che sono più elegante…
4. Sono un “pescatore di uomini”
Ho sentito il termine “pescatore di uomini” quando ero adolescente e dovetti imparare a suonare una canzone per una messa a scuola. Non conoscevo il testo biblico sulla chiamata di Pietro, per cui (senza essere omofobo né niente di simile) non mi sembrava un invito allettante quello di diventare un “pescatore di uomini”. Avrei anzi preferito essere un pescatore di ragazze, ma l’illusione non durò a lungo, perché l’insegnante di religione mise a tacere i nostri mormorii e le nostre risate adolescenziali spiegando bene il concetto.
Siamo certamente chiamati ad essere pescatori di uomini, ma non diciamolo in questi termini ad un adolescente che non sa nulla sulle storie della Bibbia, altrimenti ci riderà in faccia.
6. “La mano di Dio”
È successo di recente, ma vi garantisco che l’ho fatto senza volerlo. C’è un famoso cantante cattolico che ha scritto una canzone chiamata “La mano de Dios” [La mano di Dio, ndt]. L’ho ascoltata per la prima volta qualche anno fa durante un’Adorazione del Santissimo Sacramento fatta per i giovani.
Ogni volta che arrivava la parte del ritornello non potevo fare a meno di immaginarmi Maradona e il suo controverso gol. Mi sono vergognato tantissimo per essermi distratto in questo modo. Ne parlai con alcuni ragazzi molto più giovani di me: stavano tutti pensando a Maradona, invece che alla provvidenza di Dio che ci raggiunge in ogni tempo e luogo della nostra vita. Anche se la canzone è bella e oggi la comprendo al cento per cento, forse in quel momento non è stata la canzone giusta.
7. Incontro degli “agenti pastorali”
Questa cosa degli agenti continua a farmi venire in mente James Bond, esplosioni, spie e segreti di stato. Essere un agente pastorale sicuramente vuol dire far parte di un’agenzia segreta di che gestisce i segreti del Vaticano! E, naturalmente, questa ultima espressione mi portava a pensare che fossero gli agenti pastorali ad andare “in missione”. Non mi è mai passato per la mente che la signora che passa la colletta a Messa, o l’uomo che ogni settimana si offre di tagliare l’erba, siano anche loro degli agenti pastorali.
Finalmente papa Francesco, nella sua Esortazione apostolica Evangelii Gaudium, fa chiarezza su questo problema: la gente non capisce quello che vorremmo dirle, ed è per questo che i nostri sforzi di evangelizzazione potrebbero non dare frutto. Ecco perché rivolge una serie di consigli a chi fa apostolato, offrendo una ricca analisi dei problemi più diffusi e suggerendo come portare a Dio i più semplici attraverso la predicazione della Sua Parola (cf. EG 135-159 ). Questi strumenti pedagogici (che possiamo usare tutti quanti) sono i seguenti:
«Parlare con immagini» (EG 157): Leggete la seguente parola e fermatevi qualche secondo cercando di visualizzarla nella vostra mente: astinenza. Non è così semplice come potrebbe essere la parola “giraffa”; per quest’ultima non serve neanche fermarsi a riflettere, è facile immaginare una giraffa nei suoi dettagli. Anche Gesù stesso ha scelto con cura le parole e ha usato delle “immagini”. Non ha detto che spesso ciò che predichiamo non viene accettato dai nostri interlocutori e di conseguenza le loro vite non cambiano; ma per spiegare questo concetto, ha detto che “uscì il seminatore a seminare. Mentre seminava, una parte cadde…” (cfr Marco 4:1-9). La celebre parabola del seminatore è un chiaro esempio di cosa significhi parlare con immagini.
«Semplicità nel linguaggio» (EG 158): Le parole del Papa sono precise, e non è necessario parafrasarle. Condivido dunque la sua citazione: «La semplicità ha a che vedere con il linguaggio utilizzato. Dev’essere il linguaggio che i destinatari comprendono per non correre il rischio di parlare a vuoto. Frequentemente accade che i predicatori si servono di parole che hanno appreso durante i loro studi e in determinati ambienti, ma che non fanno parte del linguaggio comune delle persone che li ascoltano. Ci sono parole proprie della teologia o della catechesi, il cui significato non è comprensibile per la maggioranza dei cristiani. Il rischio maggiore per un predicatore è abituarsi al proprio linguaggio e pensare che tutti gli altri lo usino e lo comprendano spontaneamente.».
«Utilizzare un linguaggio positivo» (EG 159): «Non dice tanto quello che non si deve fare ma piuttosto propone quello che possiamo fare meglio. In ogni caso, se indica qualcosa di negativo, cerca sempre di mostrare anche un valore positivo che attragga, per non fermarsi alla lagnanza, al lamento, alla critica o al rimorso. Inoltre, una predicazione positiva offre sempre speranza». Se non facciamo ciò che esorta Papa Francesco, potremmo fare della pubblicità ingannevole. Invitiamo la gente a ricevere la “buona novella” e non appena li facciamo sedere lanciamo delle pietre contro di loro come se non ci fosse un domani. Nessuno si sentirà il benvenuto, né sarà a proprio agio, se noi non abbiamo niente di buono da dire.
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[Traduzione dallo spagnolo a cura di Valerio Evangelista]