Due obiezioni fondamentali ai fenomeni soprannaturali che la teologia chiama “rivelazioni private” offrono invece l’occasione di importanti approfondimenti
Ogni volta che si torna a parlare di apparizioni – per un nuovo caso, vero o presunto, per un anniversario, per le immancabili polemiche che sempre accompagnano questi e quelli… – saltano fuori due domande:
- possibile che le apparizioni accadano sempre in terre cristiane e a gente di fede cristiana?
- come mai non ci sono mai persone colte, tra i cosiddetti veggenti?
Come si vede, entrambe le domande vorrebbero screditare i fenomeni soprannaturali attribuendone la genesi alle condizioni culturali e sociali dell’ambiente in cui avverrebbero, nonché alla scarsa istruzione (e di conseguenza all’immaginazione suggestionabile) di chi ne sarebbe testimone. E con ciò gli obiettori farebbero almeno salva la buona fede, dei veggenti: si starebbe cioè escludendo il caso di una dolosa messinscena finalizzata a carpire la credulità pubblica (di solito per ricavarne degli utili). Ora, fermo restando che per fede nessun miracolo è necessario, mentre per l’incredulità nessun miracolo è sufficiente, si possono invece trarre considerazioni importanti in risposta alle due domande. In quanto c’è del falso, in esse, e bisogna smascherarlo; e parimenti c’è del vero, da cui è bene trarre vantaggio.
Davvero sempre i cattolici? E perché?
Partiamo dalla prima, perché sì, è vero che le apparizioni accadono sempre in terre cristiane e coinvolgono persone di fede cristiana. Questo è generalmente vero, perché le vere apparizioni non si sostituiscono alla Chiesa e non la scavalcano, ma anzi sono finalizzate a promuovere quella via ordinaria di trasmissione della fede che è appunto la diffusione della Chiesa in tutto il mondo. Il che non significa, evidentemente, privilegiare il clero – anzi! – ma chiedere che i veggenti si facciano latori di un messaggio alla comunità (locale e/o universale) coinvolgendone i pastori.
La storia del cristianesimo conosce eccezioni a questa regola: la più antica e autorevole di queste è contenuta già negli Atti degli Apostoli, che dedicano l’intero capitolo 10 alla vicenda del centurione Cornelio. Come è noto, la storia della sua conversione comincia con l’apparizione di un angelo, che al militare romano in preghiera comanda:
Le tue preghiere e le tue elemosine sono salite dinanzi a Dio ed egli si è ricordato di te. Ora manda degli uomini a Giaffa e fa’ venire un certo Simone, detto Pietro. Egli è ospite presso un tale Simone, conciatore di pelli, che abita vicino al mare.
(At 10,4-5)
Pietro va coi servi e resta colpito appunto dal fatto che chi lo ha mandato a chiamare non sia né un discepolo di Gesù né un giudeo, in senso stretto: era però “un timorato di Dio”, e Luca chiama così quei pagani che, pur senza aderire formalmente e in toto al giudaismo, ne sono intimi e sinceri estimatori, aderendo con «religioso ossequio dell’intelletto e della volontà» (cf. CIC 752) alla Rivelazione. Il problema sorse immediatamente, già allora, perché non era chiaro se quella disposizione d’animo (che anche oggi il Diritto Canonico distingue, per difetto, dalla fede vera e piena) fosse sufficiente a ricevere una rivelazione particolare.
Pietro giudicò di sì, e la storia andò come documenta il resoconto di Luca.
Nel XX secolo, uno degli ultimi successori di Pietro sulla cattedra romana (Pio XII) si trovò a dirimere una questione analoga, anzi in un certo senso più intricata: Bruno Cornacchiola era sì nato a Roma ed era stato battezzato in fasce, ma visse la prima infanzia in una famiglia disgraziata che nulla gli trasmise e anzi lo indusse, giovanissimo, a vivere da vagabondo; sotto le armi, in Spagna, fu aizzato dall’odio anti-romano di un protestante tedesco (a Toledo comprò il famoso pugnale sulla cui lama incise le parole “A morte il Papa!”. Tornato a Roma, si fece battista e poi avventista del settimo giorno, ma sposò una fervente cattolica: tra i due fu un braccio di ferro senza esclusione di colpi (si alternarono devozioni obtorto collo e furie iconoclaste in casa), ma alla fine parve vincere lui, e lei non poté più neanche uscire di casa per andare a messa.
Il fatto è noto: il 12 aprile 1947, in località Tre Fontane, mentre i suoi bambini giocavano, Cornacchiola si dedicava alla stesura di uno scritto “contro l’Immacolata Concezione”. Ed eccola che, proprio lei, apparve in quel mentre ai bambini – e il padre se ne accorse perché quelli non gli rispondevano. Allora li raggiunse fisicamente e vide una figura confusa che allungava le mani verso di lui; poi sentì qualcosa che gli toccò gli occhi e immediatamente vide una donna di bellezza inaudita. Che lo ammonì severamente:
Io sono la Vergine della rivelazione. Tu mi perseguiti. Adesso basta! Entra nel santo ovile. Il Dio promesso è e resta immutabile: i nove venerdì del santo Cuore, che tu hai celebrato, spinto dall’amore della tua moglie fedele prima che tu prendessi definitivamente la via dell’errore, ti hanno salvato.
Poi lo istruì riferendolo ai pastori della Chiesa:
Io desidero lasciarti una prova che quest’apparizione viene direttamente da Dio, così tu non puoi avere nessun dubbio ed escludere che essa provenga dal nemico dell’Inferno.
Questo è il segno: appena incontri per la strada o in chiesa un prete, rivolgigli queste parole: «Padre io devo parlare con lei!». Se quello risponde: «Ave Maria, figlio mio cosa vuoi?», allora pregalo di ascoltarti perché tu sei stato scelto da me. A lui puoi manifestare cosa c’è nel tuo cuore affinché egli possa raccomandarti e introdurti a un altro prete: quello sarà il prete giusto per il tuo caso!
Poi sarai ammesso dal Santo Padre, il Sommo Pontefice dei cristiani, e gli trasmetterai il mio messaggio. Una persona che io ti mostrerò ti introdurrà da lui. Molti, ai quali tu narrerai questa storia, non ti crederanno, ma non lasciarti influenzare
A Pio XII Cornacchiola donò il coltello con la famosa incisione il 9 dicembre 1949. Trentatré anni dopo (l’8 settembre 1982), quando già la comunità dei fedeli era stata coinvolta in molti modi, la Vergine tornò a illustrare ogni cosa al veggente:
In questo luogo voglio avere un santuario ed essere venerata con i nuovi titoli Vergine della rivelazione e Madre della Chiesa! La mia casa deve essere aperta a tutti, in modo che tutti entreranno in essa, nella casa del soccorso, e si convertiranno. Gli assetati e i confusi verranno qui per pregare, vi troveranno amore, comprensione e consolazione, essi vi troveranno il vero senso della vita. In questa grotta, proprio dove sono apparsa più volte, sarà eretto il santuario delle espiazioni come un Purgatorio sulla Terra. E ci sarà una porta chiamata “Porta della Pace”. Tutti i fedeli dovranno entrarci e salutarsi con il saluto della pace e dell’unità tra i cristiani: «Dio benedici la SS. Vergine Maria e proteggici!»
Come si vede, dunque, anche in questo caso eccezionale l’apparizione non è giunta a un “credente” in piena regola: “timorato di Dio” il centurione, “avventista del settimo giorno” il tranviere, nessuno dei due era quello che si dice “un bravo cattolico”. Eppure – poiché le eccezioni confermano sempre la regola – in entrambi i casi il messaggio dell’apparizione si motiva col riferimento a un gesto di pietà compiuto dal veggente nel passato (anche a forza) per il quale la Grazia divina dispone la rivelazione particolare, che vada a vantaggio di più persone possibile (nel caso di Cornacchiola, anzi, le parole della Vergine lasciano intendere che la misericordia va pure incontro alle preghiere e alle lacrime della moglie Iolanda).
Davvero sempre gli incolti? E perché?
Passando invece all’altra questione, che alla prima è a suo modo legata, si potrebbe sbrigativamente rispondere che Dio ama gli umili e i poveri di spirito; ma sarebbe un pessimo esercizio della nostra ragione teologica, oltre che un esempio di esegesi pedestre – si può certo discutere su cosa siano esattamente i “poveri di spirito”, ma di certo chi effonde lo “Spirito di scienza” non loda e non raccomanda l’ignoranza.
Anzi, a quel Dio piace proprio “provocare” la scienza e spingerla a crescere e a guardare oltre il proprio orticello, per comprendere – con le parole di Pascal – che
l’ultimo passo della ragione è riconoscere che c’è un’infinità di cose che la sorpassano. Essa è debolissima, se non arriva a riconoscere questo.
(Blaise Pascal, Pensées 267)
O, per dirla con le celebri parole di De Maistre,
Il cristianesimo è stato predicato da ignoranti e creduto da dotti, e questo è ciò in cui non assomiglia ad alcunché di conosciuto.
(Joseph Marie de Maistre, Considérations sur la France)
Si ricorderà il “miracolo del sole”, che il 13 ottobre 1917 sarebbe stato mostrato come conferma della veridicità delle apparizioni a tutta la folla che quel giorno era radunata in Cova da Iria: i tre pastorelli avevano riferito che la Madonna aveva promesso loro “un evento prodigioso” visibile a tutti. Il 30 ottobre 1950, ossia tre giorni prima della proclamazione del dogma dell’Assunzione della Vergine, Pio XII avrebbe osservato un fenomeno analogo. Nell’uno e nell’altro caso, i fenomeni guadagnarono le prime pagine dei giornali.
Ma prima di tornare a Fatima, e scortati da una guida d’eccezione, osserviamo un caso classico di “sfida alla scienza” lanciata in quelle che forse sono le più celebri delle apparizioni mariane “dogmatiche” al mondo, ossia quelle di Lourdes. Il 7 aprile 1858, in particolare, Bernadette si recò alla grotta di Massabielle di buon mattino, con uno stratagemma ordito da un tale di un paese accanto per non dare troppo nell’occhio. Il figlio di quell’uomo (che era stato guarito da una dolorosa artrite mediante le abluzioni nell’acqua gelida della sorgente) aveva procurato alla ragazzina un cero, e per ripararne la fiammella dalla brezza che risaliva il Gave quella vi mise le mani accanto.
Nella trance dell’estasi, Bernadette non si avvide più della posizione delle dita, che ormai sovrastavano la fiammella tanto che questa girava indisturbata tra quelle, nello sbigottimento e nel timore di tutti i presenti (le cronache ne riportano un centinaio già alle cinque del mattino). Tra questi si fece avanti dottor Pierre-Romain Dozous, medico del posto, nutrito ai miti del positivismo e dunque interessato a scrivere al più un saggio sull’isteria religiosa: il fenomeno si faceva quindi del massimo interesse per il dottore, che cronometrò nella durata di una mezz’ora – ossia per tutta l’estasi di Bernadette – l’esposizione delle dita al fuoco vivo del cero.
«Nou ya oas arré» [«Non c’è niente!» N.d.T.] fu tutto quello che avrebbe potuto scrivere nel referto, se ancora avesse voluto produrne uno. Il medico positivista corse invece per tutto il giorno nelle vie di Lourdes dicendo quello che aveva visto e toccato. Proprio come San Giovanni Evangelista. La sua ragione aveva fatto il passo di cui parlò Pascal (alla cui mente religiosa tutti oggi sono debitori, se non altro, delle calcolatrici).
Ma perché Dio e la Vergine, manifestandosi, scelgono i bambini, gli incolti, i contadini, al fine di confondere i sapienti?
Dio ha scelto ciò che nel mondo è ignobile e disprezzato e ciò che è nulla per ridurre a nulla le cose che sono, perché nessun uomo possa gloriarsi davanti a Dio.
(1Cor 1, 28-29)
Certo. Ma se tutto si riducesse a una mera “vendetta di Dio” non ci allontaneremmo da quel giudizio corto che prima cercavamo di scongiurare: cosa vuol dire che “nessuno possa gloriarsi davanti a Dio”, se Dio vuole che ci si glorii in Cristo e nella sua croce (cf. Gal 6,14)?
Ce lo spiega bene l’allora cardinal Ratzinger, che nel 2000 commentava con queste parole, tra le altre, il testo del segreto di Fatima che per volontà di Giovanni Paolo II era stato divulgato in occasione del Giubileo:
È chiaro che nelle visioni di Lourdes, Fatima, ecc. non si tratta della normale percezione esterna dei sensi: le immagini e le figure, che vengono vedute, non si trovano esteriormente nello spazio, come vi si trovano ad esempio un albero o una casa. Ciò è del tutto evidente, ad esempio, per quanto riguarda la visione dell’inferno (descritta nella prima parte del « segreto » di Fatima) o anche la visione descritta nella terza parte del « segreto », ma si può dimostrare molto facilmente anche per le altre visioni, soprattutto perché non tutti i presenti le vedevano, ma di fatto solo i « veggenti ». Così pure è evidente che non si tratta di una « visione » intellettuale senza immagini, come essa si trova negli alti gradi della mistica. Quindi si tratta della categoria di mezzo, la percezione interiore, che certamente ha per il veggente una forza di presenza, che per lui equivale alla manifestazione esterna sensibile.
Vedere interiormente non significa che si tratta di fantasia, che sarebbe solo un’espressione dell’immaginazione soggettiva. Piuttosto significa che l’anima viene sfiorata dal tocco di qualcosa di reale anche se sovrasensibile e viene resa capace di vedere il non sensibile, il non visibile ai sensi — una visione con i « sensi interni ». Si tratta di veri « oggetti », che toccano l’anima, sebbene essi non appartengano al nostro abituale mondo sensibile. Per questo si esige una vigilanza interiore del cuore, che per lo più non c’è a motivo della forte pressione delle realtà esterne e delle immagini e pensieri che riempiono l’anima. La persona viene condotta al di là della pura esteriorità e dimensioni più profonde della realtà la toccano, le si rendono visibili. Forse si può così comprendere perché proprio i bambini siano i destinatari preferiti di tali apparizioni: l’anima è ancora poco alterata, la sua capacità interiore di percezione è ancora poco deteriorata. « Dalla bocca dei bambini e dei lattanti hai ricevuto lode », risponde Gesù con una frase del Salmo 8 (v. 3) alla critica dei Sommi Sacerdoti e degli anziani, che trovavano inopportuno il grido di osanna dei bambini (Mt 21, 16).
[…]
Ciò lo si può mostrare in tutte le grandi visioni dei santi; naturalmente vale anche per le visioni dei bambini di Fatima. Le immagini da essi delineate non sono affatto semplice espressione della loro fantasia, ma frutto di una reale percezione di origine superiore ed interiore, ma non sono neppure da immaginare come se per un attimo il velo dell’aldilà venisse tolto ed il cielo nella sua pura essenzialità apparisse, così come un giorno noi speriamo di vederlo nella definitiva unione con Dio. Le immagini sono piuttosto, per così dire, una sintesi dell’impulso proveniente dall’Alto e delle possibilità per questo disponibili del soggetto che percepisce, cioè dei bambini.
Come si vede, dunque, non è esattamente vero che le apparizioni capitino sempre e solo ai cattolici, ma è assolutamente certo che ogni apparizione, anche privata, è finalizzata al bene della Chiesa universale (e anzi il criterio ecclesiale costituisce uno dei punti da verificare per accertare la verità e la bontà dell’apparizione stessa). Allo stesso modo, non è esattamente vero che le apparizioni capitino sempre e solo a persone incolte, ma è assolutamente certo che esse prediligono le anime disposte ad accogliere il Regno come un bambino (cf. Mc 10,13-16). E la storia si unisce con la cronaca nell’illustrare le ragioni della teologia.