Una sposa prima del parto scrive una lettera al marito perché “mettere al mondo una vita presuppone il rischio di offrire la propria”di Rachele Bruschi
Ciao marito,
se leggerai questa lettera quasi d’addio (ma soprattutto d’amore) – che non hai visionato ancora – è perché siamo vicini al grande momento, il parto. Ora immagino già la tua espressione che mi rimprovera per dirmi “smettila con queste baggianate moje!” mentre invece ti tocca leggere, senza chiudere il discorso.
Un appuntamento con l’esistenza, che tu, amore mio, sai quanto mi turba. Nessuno pensa che mettere al mondo una vita presupponga il rischio di offrire la propria, ma tu sai anche quanto io sia melodrammatica ed egocentrica, quanto io prenda in considerazione tutte le variabili del caso, seppur in questa occasione remote e lontanissime, direi quasi chimeriche, e siccome i miei modelli di sposa e madre… beh, sappiamo come Santa Gianna e Chiara Corbella abbiano affrontato tutto… allora ci penso. Penso al più temuto tabù del “Chissà come andrebbe se…”. Eh sì marito, sono pesante con questa storia, lo so… ma quando si parla di vita non ti viene subito in mente il suo contrario? La morte va a braccetto col vivere. Non è così? Inevitabilmente si mescolano tra loro e io non voglio che sia un tabù. Io non voglio che il mio morire un po’ diventi il pensiero da scacciare ad ogni costo, anzi, voglio entrarci dentro per capire, riflettere sul suo mistero.
Morire, vivere… che differenza fa quando quell’esserino esce a guardarti per la prima volta? Quello sguardo è già tuo, quell’amore ti ha catturato per sempre.
Vorrei dirti tante cose, spero che nella nostra quotidianità abbia potuto dirti quello che ho dentro, spero tu abbia ascoltato e impresso nel tuo cuore l’essenziale.
Questo giuggiolino è il frutto visibile di quel mondo che abbiamo in comune, di quell’amore che rapisce, che ci ha rapiti e che abbiamo scelto. Ti ho scelto e mi sono lasciata scegliere e ti ho scelto nuovamente. Non so cosa mi attende, quale viaggio, quale amore… ma prego e so che un assaggio del paradiso io l’ho gustato. Qui, con te, con voi. In queste piccole case che abbiamo abitato, c’era la grandezza e l’emozione di scoprirsi famiglia, e ogni piccola casa era un focolare acceso. Voglio dirti che io sono felice, me ne andrei felice, perché ho amato. Amato davvero, amore mio. E non perché egoisticamente ho raggiunto il mio personale obiettivo, ma perché so che ho lasciato che anche tu amassi davvero per la prima volta.
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Me ne andrei sapendo di aver fatto quel qualcosa di buono che tanto cercavamo, quel qualcosa da lasciare al mondo. Forse per il mondo non è tanto – quanto vale una vita ormai in questa terra? – ma l’amore, la verità, quella non ha prezzo, il suo valore riflette l’immagine di nostro Signore. Indelebile, cruda in tutta la sua trasfigurazione, bellezza pura. Eccolo il mio paradiso, tu, voi, i miei cari amori più grandi, la mia famiglia. Ciò che mi rende pienamente me, le mie relazioni, le mie radici. Chi sono?
Quello che so, innestata in un tralcio di vite lunghissimo, è che insieme abbiamo intrecciato qualcosa di nuovo e familiare, dato vita a nuove ramificazioni, relazioni, aria nuova e amore circolante. Io ti amo, e mai ho amato prima di te. Solo immagini vacue e riflesse dell’amore. Lo ribadisco, che tu sei l’amore, in te Cristo si offre, in te mi santifico, in te compio la mia, la nostra, vocazione sponsale. Unione visibile nella carne e invisibile nell’indissolubilità, cassaforte affidata alla grazia divina.
Eh sì amore, perché se io me ne andassi, mi piacerebbe che tu ricordassi soprattutto il nostro essere sinceramente due rincoglioniti. Mi piacerebbe che ti mancasse la mancanza del dolore alle mani per tutti i massaggi alla schiena e grattini che ti elemosino, tutte le volte che mi scaldi il latte (senza lattosio) al mattino, tutti le volte che ti supplico di non andare in bagno, per rimanere con me sul divano, la sera (perché ci metti sempre un’ora e il film finisce e io mi annoio ad aspettare), i libri di fiabe e i quadri che ti faccio appendere, le volte in cui studiamo insieme, in cui cuciniamo insieme, le facce buffe, le vocine cretine, i nomignoli idioti, tutte le volte che non mi riesce qualcosa e con fiducia ti dico “fa’ tu!” (come aprire i barattoli, sistemare qualcosa al pc, gli ordini su internet o occuparti delle mie tariffe telefoniche di quei ladri della Tre!), quando mi cambi i cerotti, le volte in cui rimaniamo a parlare di una qualche faccenda per ore, fino a notte fonda, quando discutiamo appassionatamente.
Vorrei tu ricordassi il segno di croce sulla fronte, il toccarci le dite dopo averle immerse nell’acqua santa in chiesa, le mani intrecciate una sopra l’altra sulla ringhiera quando, vicini, siamo inginocchiati in Porziuncola, le passeggiate al roseto e al bosco di San Francesco. Non vorrei che tu, mai e poi mai, dimenticassi gli occhi negli occhi. Il non lasciare la presa. Quando siamo arrabbiati, quando siamo impauriti o commossi, ma decisamente non scordare mai gli occhi negli occhi mentre trasmettevamo la vita.
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Una delle ultime cose più belle condivise, che vorrei tu non scordassi mai, è raccontata in questo post che scrissi in un gruppo di tante donne in cammino come me, nel nostro Giovedì Santo, te lo mostro:
“Questa sera non sono potuta andare alla santa Messa perché essendo alla 39esima settimana di gravidanza ero piena di acciacchi. Con mio marito abbiamo perciò seguito lo streaming della Porziuncola. Durante l’adorazione eucaristica abbiamo pregato insieme, poi abbiamo lavato i piedi l’uno all’altro in una bacinella, inginocchiandoci, asciugandoli e baciandoli. È stato un momento molto intimo e delicato, fatto nel silenzio davanti al Santissimo che era sullo schermo della diretta, atmosfera carica di gratitudine con la piccola lampada calda accesa dove teniamo la nostra Bibbia aperta sulle letture del giorno. Volevo condividere con voi questa esperienza che consiglio a tutte le coppie. Un gesto che si china all’amore e si inginocchia ai piedi dell’altro, accoglienza delle debolezze, delle ferite e ringraziamento del servizio che accompagna la vita coniugale degli sposi, un silenzioso ‘scusami per tutte le mancanze’”.
Ecco, se io morissi, marito mio, amato dolcissimo, egocentrica e melodrammatica quale è tua moglie, mi piacerebbe dirti semplicemente che sarei nel fulgore della Vita, che grazie a te io sono dove sono e sono come sono.
Ci vediamo in sala parto amore, vada come vada, occhi negli occhi!
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Tua moglie, sempre ansiosa e sempre rincoglionita,
Rachele