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Come rispondere alla sfida dell’islam in Egitto

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L'Osservatore Romano - pubblicato il 28/04/17
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Intervista al gesuita Henri Boulad, che ha trascorso la sua vita in Egitto al servizio degli ultimidi Rossella Fabiani

Henri Boulad, un gesuita che ha trascorso la sua vita in Egitto al servizio degli ultimi, ancora oggi, a quasi novant’anni, non smette di servire e di essere una guida per la comunità egiziana tutta, musulmana e cristiana. In occasione di un viaggio al Cairo, ho avuto la fortuna d’incontrarlo. L’appuntamento è al Collegio dei Gesuiti al numero 151 di via Ramses. Il Collegio è un austero edificio con un giardino curato con grande dedizione. Si respira un’aria serena. Nell’ingresso, una statua di sant’Ignazio. La fisso e so che tra poco vedrò un uomo che quotidianamente lavora per aiutare i bambini di strada, i drogati, le donne e per costruire dispensari, asili nido e lebbrosari in tutto l’Egitto, dai più piccoli villaggi sperduti fino ad Alessandria e Il Cairo. Segue anche le vocazioni: oggi nel Paese ci sono 40 gesuiti, 12 sono al Cairo.

Nato ad Alessandria nel 1931 da una famiglia melchita siriana, sfuggita ai massacri del 1860, entra nei gesuiti a 16 anni. Il suo sogno è cambiare il mondo con l’aiuto di Dio.

D. – Padre Boulad è riuscito a realizzare il suo sogno?

R. – Per cambiare il mondo bisogna cambiare il cuore dell’uomo. Il futuro dell’umanità dipende da noi, dalla nostra conversione, dal cambiamento di vita della nostra persona. Le leggi, la politica non bastano: finché non cambieremo l’essere umano dall’interno non avremo fatto nulla. L’unica vera opportunità che abbiamo è la possibilità di cambiare il nostro cuore. E il mio scopo è bruciare il cuore della gente. Risvegliando la fiducia in Dio pieno di misericordia che sempre si china sull’umanità con amore. Abbiamo bisogno di santi e di profeti. I profeti che sono capaci di cambiare la società, che non hanno paura di niente e che hanno il coraggio della verità. Dobbiamo costruire il mondo di domani sulla verità e la verità ci renderà liberi. C’è una lotta quotidiana tra il bene e il male nella società e dentro di noi, che può essere nella mia famiglia, tra la mia gente, nella mia chiesa, nel mio popolo; penso a Gesù che ha affrontato la sua famiglia a dodici anni dicendo «chi sono i miei fratelli? chi è mia madre? Coloro che fanno la volontà di Dio». Già i profeti prima di Gesù, penso soprattutto a Ezechiele, a Geremia, ad Amos, hanno chiamato alla conversione del cuore. E per cambiare il cuore c’è bisogno di educazione a tutti i livelli: umana, spirituale e religiosa.



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D. Ha trascorso gran parte della sua vita in Egitto e conosce a fondo questo Paese. Quale è il ruolo della Chiesa cattolica in Egitto?

R. – La Chiesa cattolica è un’istituzione molto bella e necessaria, ma ha bisogno di un rinnovamento dello spirito. Purtroppo il cristianesimo è diventato soltanto riti, messe, comandamenti e morale. Non basta rinnovare riti e tradizioni, ci deve essere un cambiamento spirituale. La Chiesa ha bisogno di maggiore impegno e di una presenza più forte legata al cambiamento del cuore, testimone dell’amore e della dedizione a Dio pieno di misericordia. E allora il cambiamento della società avverrà di conseguenza. Bisogna ricordare che la Chiesa è per il mondo e non il mondo per la Chiesa. Ma intendo la Chiesa intesa come corpo mistico di Cristo e non come Chiesa istituzionale. Un salto di coraggio e la sua sola presenza sono sufficienti per cambiare. Ripeto: abbiamo bisogno di santi e di profeti per il cambiamento. Tutto si gioca a livello spirituale e morale. Siamo in una fase di grandi rivolgimenti sotto molti aspetti: sociali, familiari, religiosi, politici. Un eccesso di tradizione senza un’autentica visione spirituale può uccidere la religione, ma quando noi rigettiamo le tradizioni anche questo può uccidere la religione. In Europa hanno gettato via tutte le tradizioni, per reinventare la Chiesa, il mondo, la società, ma è un disastro: senza radici l’albero è fragile. La tragedia dell’Europa e dell’Occidente in generale è che vuole reinventare l’uomo e la famiglia, per creare di testa sua e rigettare tutte le leggi e le tradizioni, per reinventare l’uomo e le strutture profonde della società: il risultato è che la situazione della famiglia è drammatica e senza la famiglia tutto si sgretola. Questo avviene perché a muovere la società è un principio edonista e non un principio morale. C’è poi un grande fraintendimento tra la legge e la libertà. In realtà la vera libertà è in schemi molto precisi.

(GUARDA IL VIDEO PREPARATO DAL CONSIGLIO ISLAMICO DEGLI ANZIANI IN VISTA DELLA VISITA DEL PAPA) 

D. – Quale è il rapporto tra le Chiese in Egitto?

R. – Le Chiese in Egitto stanno lavorando insieme a un riavvicinamento. La maggioranza dei cristiani in Egitto è ortodossa e il nuovo Papa Teodoro II è molto aperto, ma incontra una resistenza terribile dentro la sua Chiesa come accade a noi, per la stessa ragione, ma penso che i giovani vogliano una Chiesa unita, che non significa omologata, uguale, ma diversa; sono stanchi di conflitti teologici che non hanno senso per la vita e non interessano nessuno. La divisione tra le Chiese è una lotta per il potere e la Chiesa è sì santa in teoria, ma deve essere santa anche nel concreto e quando i capi della Chiesa avranno la possibilità di lavare i piedi ai popoli concretamente e di essere servitori allora qualcosa cambierà. I giovani sono la speranza della Chiesa e del mondo, ma spesso la Chiesa e molti sacerdoti sono distanti dai giovani. Però sono ottimista e penso che la sfida dell’islam potrebbe spingere la Chiesa a unirsi, a diventare una Chiesa diversa: una nella carità e a non dare più tanta importanza soltanto al dogma. La storia dei Concili è molto lontana dai giovani. Papa Francesco ha sentito questo e parla un altro linguaggio.



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D. – Lei ha parlato della sfida che ci pone l’islam. È stato Rettore del Collegio dei Gesuiti al Cairo dove hanno studiato tanti, musulmani e cristiani. Un esempio concreto di convivenza. Eppure oggi il mondo sembra essere sotto attacco dallo stesso islam.

R. – Ma di quale islam parliamo? È questo il punto. Nel Corano ci sono i versetti meccani e quelli di Medina. In quelli scritti alla Mecca, Maometto fa un discorso molto aperto che parla di amore, i giudei e cristiani sono nostri amici, non c’è obbligo nella religione e Dio è più vicino a noi. La prima parte della vita di Maometto trasmette dunque un messaggio spirituale, di riconciliazione e di apertura.

Ma quando Maometto lascia La Mecca per fondare Medina, c’è un cambiamento. Da capo spirituale diventa un capo di Stato, militare e politico. Oggi i tre quarti del Corano sono versetti di Medina e sono un appello alla guerra, alla violenza e alla lotta contro i cristiani.

I musulmani nei secoli IX e X hanno preso atto di questa contraddizione e si sono messi insieme per tentare di risolverla, il risultato è stato che hanno preso una decisione ormai famosa di “abrogante” e “abrogato”: i versetti di Medina abrogano quelli della Mecca. Non solo. Il sufismo viene rifiutato e intere biblioteche vennero bruciate in Egitto e in Africa del Nord.

Bisognerebbe allora riprendere i versetti originali che sono la fonte e che sono appunto i versetti della Mecca, ma questi sono stati abrogati e ciò rende la religione musulmana una religione della spada.



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D. – Molti osservatori e analisti parlano però di un islam moderato.

R. – L’islam moderato è un’eresia, ma dobbiamo distinguere tra la gente e l’ideologia, la maggior parte dei musulmani sono molto aperti, gentili e moderati. Ma l’ideologia presentata nei manuali scolastici è radicale. Ogni venerdì i bambini sentono la predica della moschea che è una continua incitazione: chi lascia la religione musulmana deve essere punito con la morte, non bisogna salutare una donna o un infedele, e per fortuna questo non è praticato, ma i fratelli musulmani e i salafiti vogliono invece questa dottrina, i musulmani moderati non hanno voce e il potere è nelle mani di chi pretende di interpretare l’ortodossia e la verità.

Ad avere oggi il potere non sono i musulmani che hanno preso dall’islam quello che è compatibile con la modernità e con la vita comune con altra gente, ma i musulmani radicali, quelli che applicano un’interpretazione letterale, e a volte anche strumentale, del Corano e che rifiutano qualsiasi dialogo.



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D. – Ma in questo modo negano l’opera di tutti i grandi pensatori musulmani come Avicenna o Al-Ghazali.

R. – Sì, e questo è il punto sensibile. La riforma che c’è stata nella storia dell’islam è stata rifiutata. Per esempio il califfo abbaside El Maamoun nato a Bagdad nel 786 e morto a Tarso nel 833, seguace dei mutaziliti, i razionalisti dell’islam, ha tentato una riforma, ma chi si ricorda oggi di lui? È prevalso l’islam chiuso e rigoroso di Muhammad ibn Abd al-Wahhab. L’ultima riforma è stata quella tentata dallo sheikh Mahmoud Taha in Sudan, che però a Khartum è stato impiccato nella piazza della città perché aveva detto che i versetti della Mecca dovevano abrogare quelli di Medina.

È un problema interno all’islam, che non offre risposte alle domande della vita moderna e si trova di fronte alla necessità di riformare se stesso. L’islam avrebbe bisogno di un Vaticano II.

D. – Oggi quali sono le sfide che l’Egitto ha di fronte?

R. – Senza dubbio il problema demografico. Quando ero bambino, c’erano 15 milioni di abitanti. Oggi siamo 90 milioni. Sei volte di più. E niente è cambiato da allora riguardo alle condizioni di vita. Non si può continuare a questo ritmo. È un caos. E per molti popoli, non solo per l’Egitto, questa è una sfida terribile, legata alla sfida economica. Sviluppo e demografia vanno insieme. La terra potrebbe accogliere non soltanto 7 miliardi di persone ma 70 miliardi. Purtroppo si bruciano le merci per stabilizzare i prezzi e tenerli alti, e allo stesso tempo la gente muore di fame. Serve più giustizia.

Un altro fenomeno di cui si parla poco è l’ateismo. In Egitto ci sono oltre due milioni di atei. Lo sono diventati perché non sopportano più la religione come incitazione alla violenza o alle esecuzioni capitali. In questo non c’è nulla di divino. Non vogliono più il fanatismo, la liturgia come ripetizione meccanica di gesti e preghiere. E lasciare la religione è qualcosa del tutto nuovo in Egitto e nel mondo arabo.

D. – Che cosa possiamo fare?

R. – Serve educazione: c’è un’emergenza educativa a livello di base, saper leggere, scrivere e fare di conto. E serve un sistema di giustizia per distribuire le ricchezze del mondo. Questo paradiso sulla terra è possibile, in qualche modo è stato realizzato in Europa, in Canada e in America, ma il punto è se, una volta che abbiamo di che vivere, otteniamo la felicità. Sembra incredibile, ma in India ho trovato gente felice, in Europa no. C’è una relazione tra la gioia e la povertà, quando non diventa miseria. Nella povertà c’è un minimo per vivere. Il futuro dell’umanità dipende da un “riarmo morale”, da un cambiamento morale del cuore umano.

QUI L’ARTICOLO ORIGINALE

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