Il Giovedì Santo siamo invitati a ricordare e a celebrare quattro eventi: l’Ultima Cena, la lavanda dei piedi degli apostoli da parte di Gesù, l’agonia e la preghiera di Cristo nel Getsemani e l’arresto di Gesù.
All’epoca di Gesù, la Pasqua ebraica veniva celebrata a casa, in famiglia. Era prescritto che quella sera nessuno potesse lasciare la città di Gerusalemme perché questa era considerata un luogo di salvezza (ricordiamo che la sera di Pasqua gli ebrei si riunirono con le famiglie e rimasero a casa mentre passava l’“angelo della morte”). Era un’epoca in cui, per usare le parole di Joseph Ratzinger, “Israele doveva muoversi in pellegrinaggio verso questa città per ritornare lì di nuovo alle sue origini, per essere di nuovo creati, ed anche per ricevere di nuovo la salvezza, la liberazione e la fondazione”.
Come cristiani, il Giovedì Santo torniamo anche noi alle nostre origini, ovvero ai misteri fondanti della nostra fede. Questa splendida icona russa del XV secolo ci invita a meditare sui quattro eventi del Giovedì Santo.
Ovviamente ci sono molte interpretazioni possibili di questa icona, e mi piacerebbe sentire i vostri commenti. Per favore, inviateceli!
1. L’Ultima Cena (in alto a sinistra)
L’Ultima Cena è un pasto pasquale che Gesù ha condiviso con i Dodici, dando alla Pasqua tradizionale un significato radicalmente nuovo: ora è Lui che diventa l’agnello sacrificale. I cristiani hanno visto in questa celebrazione l’istituzione dell’Eucaristia, in cui il pane e il vino diventano davvero il Corpo e il Sangue di Cristo.
Vale la pena di sottolineare due elementi: Giovanni, che riposa sul petto del Signore, e Giuda, che immerge la sua mano nel piattto. Gesù è un segno di contraddizione che ci lascia con solo due opzioni: il discepolato amorevole o il tradimento egoistico. Cristo ci guarda, indica il suo cuore e ci invita a far riposare lì il nostro capo. Giovanni vive uno splendido momento di intimità in cui si avvicina al punto da poter sentire il battito del cuore di Gesù.
La parola “discepolo” (μαθητής) deriva dal termine greco “manthanó”(μανθάνω), in cui troviamo la radice “menos” (decisione, potere). Da questo cogliamo l’idea di mente, di centro della persona, o di cuore. In poche parole, il discepolo non è solo colui che impara qualcosa a livello intellettuale, ma colui o colei che acquisisce la stessa mente o lo stesso cuore del maestro. È questo che siamo chiamati a fare con Gesù.
Se Giovanni riposa e – come un bambino che aspetta di essere nutrito – lascia la mano aperta per ricevere, Giuda immerge la mano nel piatto. Solo lui si nutre da solo. Non crede più che il Maestro sia “pane di vita”. Per lui il cibo – e quindi la vita – dev’essere preso avidamente e perfino con la forza se è necessario.
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Quando andate a ricevere la Comunione a Messa, riflettete su come facciamo proprio questo: ricevere. Aprendo la bocca o le mani, permettiamo di essere nutriti. Ciò accade perché l’amore che dona la vita è sempre un dono, e non può mai essere preso con la forza. Il nostro compito in questo Giovedì Santo è semplicemente confidare e aprire il nostro cuore perché possa ricevere.
2. La lavanda dei piedi degli apostoli (in alto a destra)
Qui Gesù, il Maestro (Rabbì), compie un atto scandaloso: si toglie la tunica e inizia a lavare i piedi dei discepoli, compito in genere riservato a uno schiavo. È un riassunto di tutto il Suo messaggio: Gesù è venuto per servire, non per essere servito. Un’azione del genere provoca una serie di reazioni.
Una è quella di Pietro, che rifiuta quell’atto. Pietro era autosufficiente, determinato e coraggioso, ma era cieco di fronte alla propria debolezza, o semplicemente non sapeva cosa farne. Ai suoi occhi, i suoi piedi erano sporchi e maleodoranti. Come spesso anche noi, cercava di tenere quella parte di sé nascosta davanti a Gesù. Si è ritirato quando Gesù si è avvicinato a lui. Gesù, però, non è venuto solo per una parte di lui. Vuole entrare in una relazione con tutto il nostro essere, sia la luce che l’oscurità, altrimenti non potrà mai effondere la pienezza del Suo amore. E allora ponetevi delle domande: “Quali parti della mia vita mi vergogno troppo di condividere con Cristo? Quali sono le debolezze, le paure, le ferite che continuo a coprire davanti ai Suoi occhi?”
Pietro può essere stato quello che l’ha espresso a parole, ma sicuramente anche gli altri discepoli avevno i propri dubbi su quello che stava facendo Gesù. Mi piace in particolare l’immagine dell’apostolo che alza la mano e guarda da un’altra parte come se non ci credesse. “Che tipo di maestro è questo?”, sembra chiedersi. Gesù si riconosce come “Maestro e Signore”, ma poi demolisce tutte le idee che i discepoli avevano sulla signoria!
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Lavare i piedi di un’altra persona è mettere da parte le proprie preoccupazioni, le proprie ferite, e affrontare quelle dell’altro. È abbassarsi e assumere il rischio che l’altro possa approfittare della nostra bontà. Il nostro mondo grida che i leader, i Presidenti e i CEO sono quelli che calpestano gli altri, ma Cristo ci insegna il contrario: anche noi dobbiamo essere pronti a offrirci a vicenda il servizio degli schiavi, confidando nel fatto che solo umiliandoci nel Signore scopriremo la nostra vera gloria.
3. L’agonia e la preghiera di Cristo nel Getsemani (in basso a sinistra)
Terminato il pasto, Gesù si è alzato e ha trasgredito i limiti prescritti dalla legge ebraica oltrepassando il torrente Cedron, il confine di Gerusalemme. In questo modo, ha lasciato la sicurezza promessa all’interno di Gerusalemme, la città della salvezza. Come ha detto Joseph Ratzinger, è uscito nella notte. Non temendo il caos, non allontanandosene, ma andando nelle sue profondità, nelle grinfie stesse della morte. Gesù può farlo perché conosce il Padre, conosce la bellezza e la luce che derivano dall’amore del Padre. Sa che la luce è più forte dell’oscurità e che l’amore di Suo Padre non lo tradirà mai. I discepoli, dall’altro lato, sono esausti e si addormentano, le loro paure li schiacciano. Si allontanano dalla realtà e si rifugiano nei loro sogni.
Può essere utile ricordare in questa sede l’esperienza di Israele sfuggito alle mani del faraone sulle rive del Mar Rosso. Immaginate l’espressione piena di paura degli israeliti quando hanno visto avvicinarsi l’esercito da un lato e le montagne dall’altro. Si saranno sentiti intrappolati, soffocati, forse perfino traditi dal mediatore di Dio, Mosè. Alcuni iniziano a sognare. Vogliono gettare la spugna, fare come se non fosse successo niente e tornare in Egitto. Ma non si può! L’unica via di fuga rispetto alla paura e alla tempesta è affrontarla! E grazie a Dio Gesù, come Mosè, è Colui che ci guida nell’oceano. Come lo fa? Attraverso la Sua Croce e la Sua Resurrezione.
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Rafforziamo allora la nostra fede e chiediamo la grazia di continuare ad essere vigili, a tenere gli occhi aperti, anche quando tutto sembra oscuro. Perché, come vediamo nell’immagine, se solo aprissero gli occhi vedrebbero Cristo, la luce del mondo.
4. L’arresto di Gesù (in basso a destra)
Dopo una delle più belle preghiere a Dio Padre mai recitate (Giovanni 17), Gesù ha affrontato coloro che lo volevano arrestare. Lasciata la tavola a cui avevano consumato la cena, Giuda appare nuovamente sulla scena. La “compagnia” che si porta dietro mostra la realtà del suo cuore: arriva portando armi, violenza, odio e ingiustizia. Probabilmente all’inizio Giuda aveva buone intenzioni, ma come tutti noi altrettanto probabilmente ha iniziato a stancarsi di Gesù: parole non accompagnate dai fatti, tutto fumo e niente arrosto. Quando avrebbe iniziato la conquista il Messia? Dopo tre anni al suo fianco, forse Giuda ha pensato di aver guadagnato ben più di 30 monete d’argento. Giuda è come uno di quegli israeliti che dicono “Torniamo in Egitto!” Confida più nella spada che nella fede. Convinto che sia stato Gesù a tradire la causa (la causa di Giuda), Giuda fa quello che deve fare, anche con la forza. Per un momento i sogni di Giuda diventano realtà, egli entra in scena come un Messia, ma con quei trenta sporchi pezzi d’argento non ha fatto che comprare la sua schiavitù e schiavizzare l’uomo che lo aveva liberato.
Non diventiamo tutti impazienti quando ci sembra che Gesù sia troppo passivo, quando non capiamo dove ci sta conducendo? Troppo rapidamente, i semi della nostra impazienza possono diventare un giardino di violenza. Vengono in mente “soluzioni” rapide, che ci tentano a tirar fuori la spada. Alla fin fine, però, dove ci conducono? Che libertà portano? Essere pazienti significa confidare, anche quando dobbiamo soffrire, e questo è ciò che è chiamato a fare ogni cristiano.
Gesù allora risponde alle guardie dicendo: “Sono io”. Con questa frase, si attribuisce il nome che Dio Gli ha dato quando si è rivelato a Mosè al roveto ardente. Cristo è Dio, ha potere. Mentre diceva queste parole, “indietreggiarono e caddero a terra”. Questo gesto è il modo in cui l’evangelista Giovanni rivela la “gloria” di Cristo attraverso il suo racconto della Passione. Attraverso i Suoi segni, i Suoi miracoli e le Sue parole, Gesù dimostra il proprio potere, ma accettando la volontà del Padre ridefinisce il potere stesso. Cristo permette di essere assoggettato alle autorità perché sa che l’unico vero potere e l’unica vera gloria risiedono nel seguire la volontà del Padre.
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Il mondo si vanta spesso della sua tecnologia e delle sue armi. Anche noi guardiamo ai nostri titoli, ai conti in banca o alle nostre macchine dicendo “Questo è potere”. Cristo sulla Croce è completamente impotente, ma le Sue parole e la Sua vita continuano a farci cadere a terra. Ed ecco la chiave finale: il potere di Cristo è senza limiti, ma Egli non lo imporrà mai (come Giuda e le autorità, e come spesso noi stessi cerchiamo di fare). Tutta la Sua Passione, infatti, può essere intesa come la disponibilità di Cristo ad essere privato della gloria per strappar via ogni dubbio che Egli voglia imporre con la forza la Sua volontà a chiunque di noi. Se abbiamo il coraggio e la fede per confidare in Lui, la gloria che offre è sempre un dono gratuito.
Garrett Johnson – Nato in Texas (Stati Uniti), si è innamorato dell’evangelizzazione a 18 anni. Già membro di NET ed ex allievo dell’Università Francescana di Steubenville, attualmente vive a Roma e studia per diventare sacerdote.
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[Traduzione dall’inglese a cura di Roberta Sciamplicotti]