Solo nella grande città, nella stessa stanza in cui il fratello aveva gettato la spugna, mio padre ha assunto l’atteggiamento che avrebbe definito la sua vitaMio padre Afonso si è trasferito a São José dos Campos a metà degli anni Settanta. La stanza in cui ha alloggiato nelle prime settimane, da dove usciva ogni mattina per andare a piedi di fabbrica in fabbrica in cerca di lavoro, si trovava in una casa vecchia e povera. In quello stesso luogo, alcuni anni prima, aveva vissuto suo fratello maggiore, Geraldo.
Geraldo aveva aspirazioni letterarie e scriveva poesie in metrica. E beveva. A 25 anni era uno spirito solitario e un alcolista. Nell’infanzia e nella gioventù era stato seminarista, ma aveva abdicato dalla vita religiosa per scegliere le armi. Dal seminario all’esercito, i versi lo hanno sempre accompagnato, essendo la sua fonte di piacere e la sua via di fuga. Quando ho visto per la prima volta le sue poesie, la sua grafia impeccabile, sono rimasto molto colpito e sono andato a parlare con la mia nonna materna di quel vecchio zio. Mia nonna, pensando ad alta voce, si è lasciata sfuggire: “Ah, quel fratello di tuo padre che si è suicidato…”
Ho cercato informazioni, ho confrontato fonti, ma la questione era chiusa e nessuno voleva affrontarla. Geraldo era stato trovato morto in circostanze misteriose nella stessa stanza in cui mio padre sarebbe andato ad abitare anni dopo.
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La stanza era l’immagine della povertà. In quel momento della vita di mio padre in cui trovare un lavoro gli avrebbe permesso di realizzare il sogno di sposare mia madre e iniziare la propria famiglia in un posto nuovo, ha assunto l’atteggiamento che avrebbe definito la sua vita: non ha bevuto.
Il destino tracciato da Geraldo e seguito da Isaac, l’altro fratello maggiore, sempre costellato dall’alcolismo, non si sarebbe ripetuto. Afonso avrebbe convissuto tutta la vita con la depressione, con gli occhi pietrificati, la testa bassa, l’atteggiamento dolce ma senza fiducia nel quale mi rifugiavo nell’infanzia.
Ricordo che quando ero bambino il profumo del caffè inondava ogni pomeriggio la nostra casa. Tornando da fuori mi sedevo a tavola al fianco di mio padre, che si chinava ad accarezzarmi i capelli sudati. Mia madre mi porgeva la tazza. Papà prendeva un pezzo di pane, lo tagliava con il coltello dal manico azzurro, ci passava sopra il burro e me lo dava su un piattino bianco. Mamma si sedeva vicino a noi. Immergevo il pane nel caffè allungato con il latte e iniziavo a mangiare piano, nonostante le gambe agitate sotto il tavolo.
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Papà si alzava, andava al tavolo del salotto e prendeva il suo quaderno. In stampatello scriveva le spese quotidiane. Non sapeva scrivere in corsivo. Non ricordo di averlo mai visto redigere frasi complete, solo annotazioni rapide, in cui ogni riga riguardava un fatto a sé. La sua grafia non assomigliava affatto a quella sofisticata di Geraldo. Il suo carisma era quasi una richiesta di scuse, e nonostante questo era circondato da amici fedeli, cosa che per me era incomprensibile, perché immaginavo che le amicizie caratterizzassero soprattutto la vita degli spiriti allegri ed espansivi, e papà, nella sua malinconia, non si inquadrava in questo profilo.
Afonso faceva un semplice disegno di un animaletto e me lo dava come un bacio della buonanotte, prima di chiudere il quaderno e andare a vedere il telegiornale.
Oggi, nel cassetto, custodisco le poesie di Geraldo. Sono sotto alcuni disegni di animaletti che ancora mi accompagnano e tra i quali ci sono anche delle fotografie della mia infanzia.
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Lì, a metà degli anni Settanta, solo nella grande città, nella stessa stanza in cui il fratello aveva desistito da tutto, mio padre ha assunto l’atteggiamento che avrebbe definito la sua vita e quella di tutti noi: non ha bevuto. E così ha trovato lavoro, si è sposato, ha avuto due figli e ha condotto una vita onesta fino alla fine. In un certo senso, devo tutta la tenerezza e la pace della mia infanzia a quella nobile decisione.
[Traduzione dal portoghese a cura di Roberta Sciamplicotti]