«Voglio ringraziarti per il bene che hai voluto farci e per il bene che ci hai fatto, prima di tutto per il tuo mostrarti come sei, naturale, senza “faccia da immaginetta”. Naturale. Senza artifici. Con tutto il bagaglio della tua vita: gli studi, le pubblicazioni, gli amici, i genitori, i giovani frati che tu devi custodire… Tutto, tutto. Grazie per essere “normale”». Con queste parole spontanee il Papa ha voluto esprimere la propria personale gratitudine a padre Giulio Michelini per le nove meditazioni pronunciate durante gli Esercizi spirituali nella Casa Divin Maestro di Ariccia, conclusi questa mattina.
In particolare, il Pontefice – che questa mattina ha celebrato una messa per la Siria, per poi fare rientro in Vaticano alle 11.30 – ha ringraziato il francescano per il «lavoro» svolto e la sua «preparazione»: segno, ha detto, di «responsabilità» e di voler «prendere le cose sul serio». «È vero – ha aggiunto – c’è una montagna di cose per meditare, ma sant’Ignazio dice che quando uno trova negli Esercizi una cosa che dà consolazione o desolazione, deve fermarsi lì e non andare avanti. Sicuramente ognuno di noi ne ha trovate una o due, tra tutto questo. E il resto non è spreco, rimane, servirà per un’altra volta. E forse le cose più importanti, più forti, a qualcuno non dicono niente, e forse una parolina, una [piccola] cosa dice di più…».
Il Papa cita in proposito l’aneddoto di un predicatore spagnolo, al quale «dopo una grande predica ben preparata, gli si è avvicinato un uomo – grande peccatore pubblico – in lacrime, chiedendo la confessione; si è confessato, una cateratta di peccati e lacrime, peccati e lacrime. Il confessore, stupito – perché conosceva la vita di quest’uomo – ha domandato: “Ma, mi dica, in quale momento Lei ha sentito che Dio Le toccava il cuore? Con quale parola?”. “Quando Lei ha detto: Passiamo a un altro argomento”». Scoppiano le risate generali, e Francesco commenta: «Alle volte le parole più semplici sono quelle che ci aiutano, o quelle più complicate: a ognuno, il Signore dà la parola [giusta]». Di qui l’augurio al religioso di «continuare a lavorare per la Chiesa, nella Chiesa, nell’esegesi, in tante cose che la Chiesa ti affida». Ma «soprattutto – ha concluso – ti auguro di essere un buon frate».
La nona e ultima meditazione di padre Michelini, pronunciata in mattinata, si è concentrata sulla pagina finale del Vangelo di Matteo che racconta la Risurrezione. «Una pagina di respiro», ha detto il frate, «che svela il mistero cristiano». E cioè che «dopo il dolore e la Passione non c’è la fine, ma c’è un nuovo inizio». C’è la Risurrezione, appunto. Ma come annunciare questo evento all’uomo di oggi? Ad un uomo che, come accade a Gregor Samsa, il protagonista delle “Metamorfosi” di Franz Kafka, «si sveglia un giorno trasformato in insetto, solo, chiuso in sé, ansioso e senza legami d’affetto con la famiglia»? Occorre ripartire da Gesù uomo, dal «Gesù storico», «quello della Galilea» e dal suo messaggio: «un messaggio di liberazione dell’uomo».
A questa liberazione, l’uomo odierno può arrivarci attraverso «due strade», già indicate da Papa Francesco: «l’impegno culturale» con l’approfondimento delle Scritture e la loro «nuova» spiegazione attraverso «la vita della Chiesa, la Liturgia, l’omelia», e la via della carità. «L’altra strada, se noi potessimo aprire la stanza dove è chiuso Gregor Samsa, è la strada della carità. Se Gregor Samsa anziché rimanere lì, in una squallida stanza chiusa – avete capito? Volevo dire: è una tomba! – se fosse stato soccorso da qualcuno, avrebbe ritrovato la sua umanità. E anziché insetto, forse avrebbe potuto riconoscere qualche tratto del suo corpo umano», spiega il francescano.
Che sposta poi lo sguardo su un’altra dimensione della Resurrezione: il «perdono». «Gesù Risorto – rimarca – vuole incontrare gli undici discepoli e li chiama “fratelli”, li ha perdonati per averlo abbandonato; e li incontra in Galilea, “prostrati” ma nel contempo “dubbiosi”». È questo, conclude padre Michelini, «il “modo di fare di Dio” la cui Parola è capace di illuminare i nostri limiti e trasformarli inopportunità. Si tratta della risorsa più grande che abbiamo nonostante i nostri dubbi e la parte cattiva di noi e i nostri peccati».