Nella prima intervista con un giornale della Germania, il colloquio pubblicato oggi da Die Zeit , il Papa ha ribadito di non aver intenzione di cambiare la disciplina ecclesiastica del celibato sacerdotale in vigore da lunghi secoli nella Chiesa cattolica di rito latino. Francesco ha riconosciuto che «la vocazione dei preti rappresenta un problema enorme» e «la Chiesa dovrà risolverlo», ma «il celibato libero non è una soluzione», né lo è aprire le porte dei seminari a persone che non hanno un’autentica vocazione. Non è permettendo ai futuri preti o a chi è già prete di sposarsi che si risolve il problema della crisi di vocazioni. «Il Signore ci ha detto: pregate. È questo che manca, la preghiera. E manca il lavoro con i giovani che cercano orientamento». Un lavoro «difficile» ma «necessario» perché «i giovani lo chiedono». Il Papa ha però anche dichiarato: «Dobbiamo riflettere se i viri probati siano una possibilità», e «dobbiamo anche stabilire quali compiti possano assumere, ad esempio in comunità isolate».
Che l’abolizione dell’impegno celibatario per chi diventa prete non fosse tra i programmi o i desideri del Papa argentino, non è mai stato un mistero. Lo aveva detto pubblicamente prima dell’elezione. «Per il momento – aveva affermato l’allora cardinale Bergoglio dialogando con il rabbino Skorka – io sono a favore del mantenimento del celibato, con tutti i pro e i contro che comporta, perché sono dieci secoli di esperienze positive più che di errori… La tradizione ha un peso e una validità. I ministri cattolici scelsero gradualmente il celibato. Fino al 1100 c’era chi lo sceglieva e chi no… è una questione di disciplina e non di fede. Si può cambiare. Personalmente a me non è mai passata per la testa l’idea di sposarmi». Da Papa lo ha ripetuto più volte, spiegando che il celibato «non è un dogma» ma «è un dono». Un dono ancora prezioso.
Più di ottocento anni fa, nel 1179, il Concilio Lateranense III stabiliva che il celibato ecclesiastico non è di natura divina, ma solo canonica, cioè rappresenta una tradizione che appartiene alla disciplina della Chiesa latina. In questo modo il Lateranense III decideva di non mutare la «disciplina apostolica» dei primi sette primi concili ecumenici (riconosciuti anche dalla Chiesa ortodossa), che rendeva possibile l’ordinazione presbiterale anche di uomini sposati. Non, invece, la possibilità di sposarsi dopo l’ordinazione. Le Chiese orientali – ortodosse e cattoliche – prevedono infatti l’ordinazione di seminaristi già sposati, ma non il matrimonio per i preti già tali. Mentre la Chiesa latina ha scelto di ordinare soltanto uomini celibi. Il Concilio Ecumenico Vaticano II, nel decreto «Presbyterorum ordinis», riconosceva che la scelta celibataria non è richiesta dalla natura stessa del sacerdozio.
Dunque anche nella Chiesa cattolica esistono già preti sposati: si tratta di sacerdoti appartenenti alle Chiese di rito orientale in comunione con Roma. Ci sono poi state delle eccezioni e delle decisioni legate a situazioni di emergenza. Già durante il pontificato di Pio XII, nel 1951, avevano ricevuto la dispensa per ricevere il sacramento dell’ordine sacerdotale nella Chiesa cattolica ex pastori protestanti o anglicani. Questo è continuato nei decenni successivi. Nel caso a essere sposato fosse un vescovo, come è accaduto per gli anglicani, questo poteva essere ordinato prete, ma non ricevere la pienezza dell’ordine dell’episcopato nella Chiesa cattolica.
La novità più significativa codificata in merito è quella stabilita nel 2009 da Benedetto XVI con la costituzione apostolica «Anglicanorum coetibus» e la costituzione degli ordinariati anglo-cattolici per riaccogliere nella comunione con Roma intere comunità della Chiesa anglicana e i loro pastori, vescovi e preti.
Un documento che di fatto sancisce la possibilità del clero uxorato nella Chiesa latina, seppure come eccezione e legata a precisi criteri e condizioni. Nel secondo paragrafo dell’articolo 6 della costituzione, dopo che in precedenza si era ribadita la regola del celibato per il futuro, Papa Ratzinger stabiliva infatti la possibilità di «ammettere caso per caso all’ordine sacro del presbiterato anche uomini coniugati, secondo i criteri oggettivi approvati dalla Santa Sede». Lo stesso si leggeva nelle norme complementari annesse al documento pontificio, preparate dalla Congregazione per la dottrina della Fede con approvazione papale, dove si afferma che l’ordinario «può presentare al Santo Padre la richiesta di ammissione di uomini sposati all’ordinazione presbiterale nell’Ordinariato, dopo un processo di discernimento basato su criteri oggettivi e le necessità dell’Ordinariato» stesso. Un testo che non chiude la porta alla possibilità che ciò avvenga anche per il futuro.
Nel giugno 2014 Papa Francesco con un apposito decreto ha permesso ai sacerdoti sposati orientali di operare nelle comunità cristiane della diaspora, dunque al di fuori dei loro territori tradizionali, abrogando precedenti divieti esistenti. Anche in questo caso, la risposta a un’esigenza di venire incontro alle esigenze dei fedeli. E fino ad ora è stata l’unica decisione presa dall’attuale Pontefice collegata con questa materia. È noto che ancora nel primo periodo del suo pontificato, Francesco abbia ricevuto una richiesta da parte di un vescovo dell’Amazzonia, che chiedeva la possibilità di ordinare «viri probati» in grado di raggiungere le comunità indigene e garantire loro i sacramenti. Si tratta di Erwin Kraeutler, vescovo di origine austriaca, pastore di Xingu, che chiedeva di assicurare l’assistenza spirituale e sacramentale in un territorio sconfinato dove vivono 700mila fedeli in 800 comunità potendo contare soltanto su 27 preti.
Dalle parole del Papa nell’intervista a «Die Zeit» si capisce che una riforma della disciplina del celibato non è all’orizzonte e non è nemmeno mai stata sua agenda, mentre quello dei «viri probati» è un tema considerato aperto seppur da trattare con prudenza. L’eventuale ordinazione di uomini maturi, anche sposati, di provata fede ed esperienza, non sarebbe comunque da considerare – si evince dalle parole usate da Bergoglio – come una risposta a chi auspica la possibilità del matrimonio dei preti per popolare i seminari ed evitare certi scandali di natura sessuale: lo dimostrano le statistiche delle vocazioni nelle Chiese che hanno abolito l’obbligo del celibato. E quanto ai problemi legati alla sfera sessuale, o ai terribili abusi sui minori, sempre le statistiche attestano quanto frequenti essi siano proprio in famiglia e dunque come non vadano legati alle difficoltà della vita celibataria.
Appare invece evidente che l’eventuale ordinazione dei «viri probati» rimarrebbe legata a certe situazioni particolari e a certe condizioni, con il fine della «salus animarum», il bene delle anime che dovrebbe essere lo scopo di qualsiasi riforma ecclesiale. Cioè la possibilità di raggiungere zone, popolazioni e comunità che restano per lungo tempo senza sacramenti. Il 6 febbraio 2016, intervenendo a conclusione di un convegno alla Pontificia università Gregoriana, il Segretario di Stato Pietro Parolin aveva detto: «Nella situazione attuale viene spesso evidenziata, specialmente in alcune aree geografiche, una sorta di “emergenza sacramentale”, causata dalla mancanza di sacerdoti. Se la problematica non pare irrilevante, occorre certamente non prendere soluzioni affrettate e solo sulla base delle urgenze. Rimane pur sempre vero che le esigenze dell’evangelizzazione, unitamente alla storia e alla multiforme tradizione della Chiesa, lasciano aperto lo scenario a dibattiti legittimi, se motivati dall’annuncio del Vangelo e condotti in modo costruttivo, pur sempre salvaguardando la bellezza e l’altezza della scelta celibataria».