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La fossa comune nell’orfanotrofio cattolico? Occhio alla bufala!

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Unione Cristiani Cattolici Razionali - pubblicato il 05/03/17
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Non c’è quotidiano online che ancora non ne abbia parlato: vicino ad un ex istituto gestito da suore in Irlanda, la Mother and Baby Homes, è stato trovato un “significativo numero di resti umani”. Le ossa appartengono a circa 800 bambini (796 per la precisione), di età tra le 35 settimane e i tre anni.

Lo si sapeva già nel 2014, oggi semplicemente sono stati effettuati gli scavi ed è stato confermato quanto già venne detto in passato. La Mother and Baby Homes fu una casa di accoglienza per madri non sposate e i loro figli che ha operato tra il 1925 e il 1961 in Tuam, nella contea di Galway in Irlanda. Venne gestito dalle suore francesi Bon Secours sister. 

I media sono incredibilmente interessati alla vicenda, probabilmente perché coinvolge un’istituzione cattolica. Purtroppo la notizia è infarcita da dati falsi e i giornalisti si stanno copiando a vicenda, ognuno aggiungendo macabri particolari inesistenti. Già nel 2014, quando la notizia uscì la prima volta, diversi quotidiani si avventarono sulla vicenda inventando orrori e crimini che sarebbero avvenuti in questi istituti cattolici, salvo poi dover chiedere scusa per le falsità scritte, come fece l’Associated Press. Qui sotto le principali bufale apparse sui media.

 

NON E’ UNA FOSSA COMUNE E I BAMBINI HANNO CERTIFICATO DI MORTE.
Si legge ovunque il termine “fossa comune”, ma le autorità di Dublino non hanno affatto parlato in questi termini. La stessa storica locale che ha portato avanti l’inchiesta, Caterina Corless, è intervenuta sull’Irish times dicendo: «Non ho mai usato la parola “scaricati”, non ho mai detto a nessuno che 800 corpi sono stati gettati in una fossa settica. Non sono le mie parole». La fossa comune è una buca in cui vengono gettati sbrigativamente cadaveri di più persone, senza alcuna segnalazione della loro morte. Nel caso dell’istituto irlandese, invece, per tutti i bambini deceduti è stato compilato un certificato di morte ed è grazie ad esso che Catherine Corless ha potuto segnalare anni fa la presenza di 800 bambini seppelliti. La storica ha spiegato che nei certificati compilati dalle religiose, compaiono i nomi dei bambini, la loro età, il luogo di nascita e le cause di morte. I documenti, inoltre, mostrano che molti bambini dell’orfanotrofio sono stati battezzati. Il numero medio annuale di morti nei 36 anni è stato poco più di 22 all’anno.

Inoltre, occorre ricordare che anche diversi ospedali governativi utilizzavano questo tipo di sepoltura in quel periodo, segnato da una pesantissima carestia e un’altissima incidenza di mortalità infantile. Il prof. Finbar McCormick, docente di Archeologia e Paleontologia presso la Queens University di Belfast ha rimproverato i media per l’utilizzo del termine “fossa comune” per descrivere il tipo di sepoltura: «Si tratta in realtà di un metodo comune di sepoltura utilizzato nel recente passato e utilizzato ancora oggi in molte parti d’Europa. Molti ospedali materni in Irlanda hanno utilizzato questo tipo di sepoltura comune per i bambini nati morti o per coloro che sono morti subito dopo la nascita. Questi venivano sepolti assieme in un cimitero vicino, ma più spesso in una zona speciale all’interno dell’ospedale».

 

NON SONO MORTI PER MALNUTRIZIONE.
Tutti i media inglesi e quelli italiani, a partire da Repubblica, stanno individuando nella malnutrizione la causa della morte dei neonati e dei bambini, incolpando di questo le religiose. In realtà il gruppo interdipartimentale istituito dal governo irlandese per studiare gli eventi (la Mother and baby homes commission of investigation) ha concluso che solo 10 bambini (l’1%) in circa 40 anni sono morti per questo. Gran parte degli 800 bambini sono invece periti per malattie presenti fin dalla nascita, problemi respiratori, tubercolosi, influenza, epilessia e meningite. C’è tuttavia da segnalare che in quello specifico istituto si è riscontrato quasi il doppio del tasso di mortalità rispetto ad altri istituti del Paese. Il tasso di mortalità complessivo del Paese era del 17%.

 

Un ex dirigente sanitario irlandese, Jacky Jones, è intervenuta scrivendo: «Perché siamo così scioccati dei 796 neonati e bambini che sono morti nella St Mary’s mother-and-baby home di Tuam? Alti tassi di mortalità infantile erano normali in Irlanda fino al 1970. Questo non era giusto, ma non c’è nulla di oscuro. Le indignazioni implicano che ci fosse qualcosa di sinistro circa le morti dei bambini ma non è di aiuto a nessuno, soprattutto alle donne i cui bambini sono morti in queste istituzioni. I bambini sono morti nella Casa di maternità per le stesse ragioni per cui sono morti nella baraccopoli di Dublino: la povertà e il basso stato di salute. Il tasso di mortalità infantile tra gli orfani è stato di circa cinque volte la media nazionale e i bambini provenienti da famiglie povere avevano quattro volte più probabilità di morire prima del loro primo compleanno. Per questo i tassi di mortalità neonatale e infantile nelle Case materne erano probabilmente circa 10 volte superiori la media nazionale».

CONTESTUALIZZARE GLI EVENTI AL PERIODO STORICO.
Il giornalista di Forbes, Eamonn Fingleton, cresciuto in Irlanda, ha spiegato che «per chiunque abbia familiarità con l’Irlanda (sono cresciuto lì negli anni 1950 e 1960), la storia che le suore hanno gettato coscientemente i bambini in una fossa settica non ha mai avuto senso. Un fatto sembra fuori discussione: le condizioni degli orfanotrofi irlandesi fino al 1960 (quando l’istituto al centro dell’attenzione è stato chiuso) sono note. Certamente il tasso di mortalità in molti di essi era incredibilmente alto. Ma chi dovrebbe essere incolpato? Una parte importante del problema sembra essere stata la dilagante povertà dell’epoca perché gli orfanotrofi irlandesi erano così disperatamente sottofinanziati e vergognosamente sovraffollati, il che significava che quando un bambino prendeva un’infezione contagiava tutti. Non ultimo dei pericoli era la tubercolosi, una malattia allora incurabile che si diffuse a macchia d’olio in condizioni di sovraffollamento». Le suore che gestivano la Mother and Baby Homes di Tuam «sono morte da tempo, ma se potessero parlare sicuramente direbbero che stavano facendo del loro meglio in condizioni spaventose. Oggi viviamo un’epoca di disinformazione».

La storica Caterina Corless ha spiegato sull’Irish Time che a volte, durante i 36 anni di attività, l’istituto di Tuam ha ospitato contemporaneamente più di 200 bambini e 100 madri. Ha anche ricordato che i bambini sono stati sepolti in un cimitero non ufficiale sul retro dell’ex istituto e questo piccolo spazio erboso è stato assistito per decenni dalla popolazione locale, che ha piantato fiori e ha costruito una grotta in un angolo (ben visibile in tutte le fotografie).

La Conferenza Episcopale irlandese è intervenuta già nel 2014 a sostegno dell’indagine governativa sui fatti di Tuam, esprimendo dispiacere del fatto che «i residenti di queste case hanno sofferto alti livelli di mortalità e malnutrizione, malattie e povertà». I vescovi irlandesi hanno anche ricordato che «purtroppo in quel tempo le ragazze madri erano spesso giudicate, stigmatizzate e rifiutate dalla società, e lo fece anche la Chiesa». Tuttavia il sociologo Bill Donohue ha pubblicato un lungo resoconto dei fatti, spiegando che le religiose Bon Secours erano «infermiere addestrate venute da Dublino per farsi carico di una casa per poveri, anziani, malati, bambini orfani e donne non sposate. Queste case erano sorte per iniziativa della Irish Poor Laws del 1840, emanata dal governo irlandese, ma dopo il 1921 il sistema venne rivisto, separando gli orfani dalle donne non sposate. E’ importante notare qual era l’alternativa per queste donne e i loro bambini: la strada, per questo ricercavano rifugio nelle istituzioni cattoliche. Questo è raramente riconosciuto. Nel 1961 l’edificio stava cadendo a pezzi e aveva bisogno di essere ristrutturato ma i fondi non erano disponibili, quindi è stato chiuso. Le suore hanno consegnato tutti i documenti alle autorità».

David Quinn dell’Irish Independent è intervenuto a proposito della stigmatizzazione sociale patita dalle ragazze madri, ricordando che non si tratta affatto di un “costume cattolico”, né tanto meno di una caratteristica irlandese. Ha fatto notare infatti che era la norma ovunque, in società cattoliche o non. Nella laica Svezia, ha scritto come esempio, le ragazze madri venivano addirittura sterilizzate, oppure costrette ad abortire. Il sociologo Bill Donohue ha fatto presente che la “stigmatizzazione” è «una dura realtà, ma si tratta di una sanzione sociale impiegata in ogni società conosciuta. Serve come correttivo, come mezzo per scoraggiare comportamenti indesiderati. Al cambiamento della società, l’uso dello stigma può aumentare o diminuire. Oggi c’è uno stigma sociale, ad esempio, verso i fumatori e non più verso i responsabili di figli nati fuori dal matrimonio». Occorre tuttavia accogliere l’indicazione che i vescovi irlandesi hanno rivolto pubblicamente ai cristiani, indicando l’errore nel comportarsi “come il mondo”, poiché «il Vangelo ci chiama a trattare tutti, in particolare i bambini e le persone più vulnerabili, con dignità, amore, compassione e misericordia. Ci scusiamo per la ferita causata dalla Chiesa, come parte di questo sistema».

I TRATTAMENTI RICEVUTI DALLE MADRI E DAI BAMBINI DELL’ISTITUTO.
Nel 2012, la responsabile delle ricerche, Caterina Corless, ha raccolto diverse fonti che descrivono la situazione dell’istituto oggi al centro della polemica. Ad esempio il viaggiatore Halliday Sutherland, scrive la Corless, «ha descritto l’istituto come un edificio a due piani su un terreno di proprietà». Sutherland, che visitò la Casa durante il periodo di attività, annota: «L’edificio è ben tenuto, fresco e pulito. La Casa è gestita dalle Suore di Bon Secours di Parigi e la reverenda Madre mi ha mostrato l’interno. Ognuna delle suore è infermiera professionale e ostetrica. Alcune sono anche esperte di infermieristica per bambini. Una ragazza non sposata può venire qui per far nascere il suo bambino. Se lei è d’accordo può rimanere nella casa per un anno, assistendo il suo bambino assieme alle suore, le quali non vengono retribuite per questo. Alla fine dell’anno può andare via, può prendere il suo bambino con lei oppure lasciare il bambino nella Casa, con la speranza che possa essere adottato. Le suore mantengono il bambino fino all’età di sette anni, quando viene inviato ad una scuola industriale» (Sutherland Halliday, Irish Journey, Wyman & Sons Ltd, Fakenham, UK 1956). Si tratta di una testimonianza oculare, una fonte di prima mano.

In articolo dell’ottobre 1953 del quotidiano locale The Tuam Herald, si criticano i metodi di adozione adottati dalle suore, in quanto «non è stato sempre fatto il miglior sforzo per trovare la casa più adatta al bambino e l’assegno dato dai genitori per la crescita non è stato sempre speso per il benessere del bambino». In un altro articolo, risalente al 25/06/1949, si legge di un’ispezione avvenuta nell’istituto condotto da ispettori del consiglio della contea di Galway, riferendo questo: «tutto nella Casa è in buon ordine e gli ispettori si sono congratulati con le sorelle Bon Secour per le ottime condizioni della loro istituzione». Molti collegano questi eventi alle Case Magdalene irlandesi, anch’esse oggetto di fake news anticlericali: per approfondimenti segnaliamo il nostro dossier e l’ottimo articolo di Massimo Micaletti.

Dove sono finite dunque le suore violente che gettano nelle fosse comuni i bambini che hanno ucciso tramite malnutrizione e cure inadatte, come stanno raccontando i giornali? Se si ricostruiscono gli eventi, come abbiamo fatto, seppur sommariamente, rimane ben poco della bufala che sta girando sui media. Ovviamente non si vuole sostenere che nell’Irlanda della prima metà del ‘900 tutto era perfetto, tanto meno negare i limiti delle istituzioni cattoliche e/o statali della società irlandese di quel periodo storico. Di certo, ha scritto il sociologo Bill Donohue, «i giornalisti obiettivi ed indipendenti dovrebbero raccontare correttamente i fatti, purtroppo ci sono troppi giornalisti pigri e incompetenti pronti a ingoiare l’ultimo chiaro di luna sulla Chiesa cattolica. Se ci fosse un Pulitzer per le fake news, la concorrenza sarebbe agguerrita».

QUI L’ARTICOLO ORIGINALE

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