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Shahbaz Bhatti, campione in umanità

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Vatican Insider - pubblicato il 02/03/17
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A sei anni dalla morte in Pakistan, il fratello Paul ne ricorda l’impegno per la giustizia. Ma mentre quella divina procede (verso il martirio), quella terrena stentadi Paolo Affatato

«Campione in umanità». Così Paul Bhatti ricorda suo fratello Shahbaz, morto sei anni fa, il 2 marzo 2011, in un attentato terroristico a Islamabad, capitale del Pakistan. Da ministro federale, Shahbaz «ripeteva spesso di non essere cristiano “solo per i cristiani”, ma per tutta l’umanità. Aveva una visione universale. E quando i talebani compivano un attentato terroristico, uccidendo barbaramente innocenti di tutte le religioni, rimarcava che agivano contro Dio e contro l’umanità, non contro una religione particolare», ricorda Paul Bhatti in un colloquio con Vatican Insider.

Bhatti è tuttora presidente della “All Pakistan Minorities Alliance”, e ha appena pubblicato il libro «Shahbaz, la voce della giustizia» , per i tipi della San Paolo, con la prefazione del cardinale Pietro Parolin. Un libro autobiografico che ripercorre la storia e le tradizioni familiari, ricordando «un Pakistan diverso, in cui non si avvertivano intolleranza e discriminazione nella società, e non c’era il grande problema del terrorismo». Un Pakistan in cui i fratelli Bhatti, da bambini, giocavano, studiavano e crescevano indisturbati con coetanei musulmani e indù.

Paul ricorda Shahbaz come un fratello «che a volte non comprendevo e di cui non condividevo il comportamento», facendo fatica a «capirne i gesti di attenzione ai deboli e agli emarginati». Quei gesti, poi, li ha non solo condivisi ma anche imitati e ripetuti, proseguendo l’opera di Shahbaz dopo la sua morte, nell’impegno istituzionale come ministro federale nel governo guidato dal Partito popolare del Pakistan.

Oggi, per motivi di sicurezza, Paul Bhatti vive tra il Pakistan e l’Italia, governando la “Shahbaz Bhatti Trust Foundation” e l’associazione italiana “Missione Shahbaz” che cercano di tenere viva, a livello internazionale, l’eredità di Shahbaz: un politico che ha vissuto la missione cristiana nella società come «voce della giustizia e della pace», non per la difesa selettiva dei fedeli di Cristo ma spendendosi per tutela dei poveri, degli emarginati e dei perseguitati di ogni culto.

«Ha vissuto l’attività politica con lo spirito della sequela Christi», ricorda Paul, «sentendosi pienamente pakistano e contrastando le derive fondamentaliste o le discriminazioni sociali e religiose». Da ministro, Shahbaz non si è tirato indietro quando si è trattato di difendere la cristiana Asia Bibi, condannata a morte ingiustamente per blasfemia, un fatto che gli è costato la vita.

Con questo approccio, guardando a un uomo che si è donato totalmente al prossimo per il bene dell’umanità, spinto da un puro anelito evangelico, la Chiesa pakistana è oggi impegnata a promuoverne la causa di beatificazione. La questione è nelle mani di Joseph Arshad, vescovo di Faisalabad (diocesi dove Bhatti è nato) e attualmente anche amministratore apostolico di Islamabad, (diocesi dove è morto): le due comunità stanno ricercando e raccogliendo le testimonianze e i documenti che preludono all’apertura della fase diocesana del processo canonico.

E se la Chiesa si locale tesse la sua tela per spalancare a Bhatti la gloria degli altari, tutt’altro discorso è quello relativo alla giustizia terrena. Il processo ai colpevoli procede a rilento e non v’è chiarezza su assassini e mandanti dell’omicidio del ministro cattolico. Bhatti fu colpito da otto proiettili, mentre si trovava sulla sua auto, nei pressi della sua abitazione. A rivendicare l’omicidio fu il gruppo terroristico Tehrik-e-Taliban Pakistan che lasciò sul luogo del delitto un volantino che lo definiva «un infedele cristiano». «Dopo l’uccisione di Bhatti – nota a Vatican Insider un avvocato cristiano di Islamabad, chiedendo l’anonimato per motivi di sicurezza – la leadership politica in Pakistan non sta facendo sufficienti passi per chiedere alle autorità di polizia e alla magistratura di assicurare i suoi assassini alla giustizia».

I cristiani in Pakistan temono l’impunità per i killer. Nel 2014 un tribunale – prima che il caso fosse trasferito, nel 2015, davanti a una corte militare – aveva liberato su cauzione Umer Abdullah, il principale imputato nel caso di omicidio dell’ex ministro federale. Abdullah, reo confesso per l’omicidio Bhatti, è accusato anche di aver ucciso nel 2013 il procuratore Chaudary Zulfiqar, pubblico ministero nel caso di un altro omicidio celebre, quello della leader Benazir Bhutto.

Tra gli altri sospettati per l’omicidio Bhatti, Zia-ul-Rehman è stato assolto a maggio 2012 per mancanza di prove. Ad agosto 2013 Hammad Adil e Muhammad Tanveer, altri due militanti del gruppo Tehreek-e-Taliban, sono stati arrestati dalla polizia per il tentato attacco contro una moschea sciita e, nel corso dell’indagine, Adil confessò di aver organizzato e compiuto l’omicidio di Shahbaz Bhatti, con l’ausilio di Muhammad Tanveer e Umer Abdullah. Ora, secondo le ultime indiscrezioni, Umer Abdullah, sarebbe nuovamente sotto custodia dei servizi di intelligence pakistani. Ma la vicenda resta nebulosa e il percorso della giustizia è una corsa a ostacoli.

 

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