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9 tesi a favore dell’istituzione del diaconato femminile come servizio

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Gelsomino Del Guercio - Aleteia - pubblicato il 02/03/17
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Nel dibattito in corso, la voce di Don Vinicio Albanesi Diaconesse al femminile. Mentre proseguono i lavori della Commissione di studio voluta da Papa Francesco, avanzano nuove tesi a supporto della possibilità di istituirlo. A parlarne è Don Vinicio Albanesi in “Il diaconato alle donne? E’ possibile!” (Àncora editrice).

Ma facciamo un passo indietro. Il Papa accennò all’opzione diaconesse durante l’udienza all’Unione internazionale Superiore generali (Uisg), ricevute in Vaticano (Aleteia, 12 maggio 2016).

DA GIOVANNI PAOLO II A MARTINI

Dopo il netto pronunciamento di Giovanni Paolo II, che in risposta alle aperture anglicane con la lettera «Ordinatio sacerdotalis» (1994) negava categoricamente la possibilità del sacerdozio femminile nella Chiesa cattolica, era stato il cardinale Carlo Maria Martini, a parlare della possibilità di studiare l’istituzione del diaconato per le donne, non menzionata nel documento papale. L’allora arcivescovo di Milano disse: «Nella storia della Chiesa ci sono state le diaconesse, possiamo pensare a questa possibilità».

LA DISPUTA STORICA

Alcuni storici della Chiesa antica fecero notare che le donne erano ammesse a un particolare servizio diaconale della carità che si differenzia dal diaconato odierno inteso come primo grado del sacerdozio.
Secondo una tradizione antichissima, il diacono in realtà veniva ordinato «non al sacerdozio, ma al ministero» (Vatican Insider, 12 maggio 2016).

GESÙ E LE DONNE

Su La Civiltà Cattolica, spiega, padre Giancarlo Pani: «Come mai – l’interrogativo di fondo che percorre la riflessione e l’attuale dibattito in corso – la Chiesa antica ha ammesso alcune donne al diaconato e perfino all’apostolato? E perché poi la donna è stata esclusa da tali funzioni?».

Nei Vangeli, osserva Pani, «Gesù parla in pubblico con donne, un comportamento ritenuto all’epoca poco dignitoso per un maestro», le difende, e affida a Maria Maddalena «il primo messaggio della risurrezione, su cui si fonda il cristianesimo». Dall’analisi della “letteratura cristiana” dei primi secoli emerge, secondo l’autore dell’articolo, un «protagonismo ecclesiale» al femminile non durato a lungo e «riassorbito probabilmente dalla tradizione giudaica».

In Oriente, afferma, «vengono ordinate diaconesse nei conventi femminili. Ancora oggi le Chiese ortodosse hanno ‘diaconesse ordinate’, un istituto che non è stato mai abolito» (Agensir, 26 gennaio).


LEGGI ANCHE: Cosa ci dice la ricerca storica sul diaconato femminile?


“DISCUSSIONE INCARTATA”

Nove tesi a supporto del diaconato femminile. Le sostiene Don Vinicio Albanesi in “Il diaconato alle donne? E’ possibile” (Àncora editrice)

«La discussione sulla possibilità di conferire il diaconato alle donne si è incartata – premette Albanesi – da una parte, sulla ricerca storica che si è affannata a capire se, in alcuni periodi della vita della Chiesa e in alcuni luoghi, siano state ordinate donne diacono; dall’altra, sulla sponda teologica perché, avendo legato il diaconato al sacramento dell’ordine (riservato agli uomini anche in base ai pronunciamenti magisteriali recenti), le donne ne dovrebbero rimanere escluse».

Allora vediamo nel dettaglio i nove motivi che giustificano, secondo Albanesi, l’istituzione del diaconato alle donne.

1) INCERTEZZE SULLE ANTICHE DIACONESSE

Rispetto al primo nodo – la ricerca storica – gli studiosi non sono affatto concordi. Nel primo millennio emergono alcune figure chiamate diaconesse. I pochi testi disponibili sono interpretati in modo assai diverso: si fa riferimento o a un titolo onorifico in qualche modo attribuito a vedove e altre figure femminili particolari ed eminenti; o a donne che svolgevano un vero e proprio «ministero ecclesiale», riconosciuto anche formalmente.

Anche se sono ordinate, in spazi e tempi limitati, a loro è negata l’amministrazione del battesimo e soprattutto non possono «insegnare». Aiutano nella liturgia in riferimento al battesimo delle donne adulte. Si occupano dell’assemblea domenicale con particolare riferimento alle donne; aiutano chi sta in difficoltà, senza per questo essere annoverate nella gerarchia. Hanno un ruolo più significativo nei cerchi ristretti dei monasteri. Probabilmente alcune vedove di alto rango hanno il titolo onorifico di diaconessa.

In attesa di ulteriori approfondimenti la discussione non porta a risultati certi.

2) IL SACRAMENTO DELL’ORDINE E LE DONNE

Rispetto al secondo nodo, nel secondo millennio si mette a punto la teologia del sacramento dell’ordine, si riprende la figura del diacono e la si colloca all’interno del sacramento, come primo gradino di accesso al sacerdozio ministeriale.

Nell’ipotesi però che il diaconato permanente sia un ministero, non sussiste alcun problema di conferirlo alle donne. L’esclusione delle donne è dalla funzione sacerdotale e non dai ministeri: così hanno decretato la Congregazione per la dottrina della fede del 1976 e la Lettera apostolica Ordinatio sacerdotalis di Giovanni Paolo II:

Dichiaro che la Chiesa non ha in alcun modo la facoltà di conferire alle donne l’ordinazione sacerdotale e che questa sentenza deve essere tenuta in modo definitivo da tutti i fedeli.

Non è citato il diaconato perché la funzione diaconale è destinata non al sacerdozio, ma al servizio: concetto che ha origine dalle prime testimonianze post apostoliche, senza alcuna eccezione.

Lo stesso Catechismo della Chiesa Cattolica sottolinea la differenza tra il sacerdozio e il diaconato.

Ma anche nel caso che si continuasse a seguire la dottrina prevalente del diaconato come grado del sacramento dell’ordine, esso potrebbe essere comunque conferito alle donne, con la proibizione di accedere al sacerdozio. Il diaconato permanente è infatti diverso dal diaconato transitorio finalizzato al sacerdozio.

3) LE BADESSE

Riflettendo sulla prassi della Chiesa, alle badesse dei monasteri femminili «esenti» vengono riconosciute funzioni che possono essere messe in relazione con le funzioni diaconali. In questo caso non nei confronti di terzi, ma nella vita del monastero.

Gli esempi sono molti. La Regola di santa Chiara (clarisse), approvata da Innocenzo IV il 9 agosto 1253, è un esempio concreto di come una semplice battezzata e religiosa abbia funzioni che riguardano la vita interna del monastero nei confronti di tutte le consorelle, con poteri eccezionali se paragonati a quelli esercitabili in una «normale» comunità di fedeli da una figura analoga. La badessa è eletta dalle consorelle; decide dell’ammissione di un’aspirante alla vita monastica; riprende chi sbaglia; può addirittura comminare delle pene. Gli esterni, compresi i sacerdoti, non hanno interferenze nella vita del monastero e possono svolgere le sole funzioni sacerdotali.

4) PARTECIPAZIONE INTIMA E FAMILIARE

Nulla osta dunque perché le donne possano accedere al ministero del diaconato, con tutti i diritti e i doveri propri dei diaconi di genere maschile, esercitando tutte le funzioni in ambito liturgico, catechetico, di governo, nel rispetto delle funzioni inerenti il diaconato.

Anche oggi, d’altra parte, le donne partecipano in qualche modo al ministero diaconale, visto che il diacono coniugato ha bisogno del consenso della moglie all’ordinazione. Ciò significa una partecipazione intima e familiare a un ministero ecclesiale.


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5) IL NOME

Nell’eventualità di un’ordinazione diaconale alle donne si pone il problema di come chiamarle. Il greco del Nuovo Testamento conosce la parola diakonos, che è sia maschile sia femminile. Il corrispondente latino è la coppia minister/ministra, ma in ambito ecclesiastico si preferì traslitterare in diaconus, parola di genere maschile.

Il termine greco diakonissa, attestato dal III-IV secolo, si affiancò al più antico diakonos senza soppiantarlo, dando origine al termine latino diaconissa. È opportuno scegliere oggi un nome da attribuire. Fino ad ora si è preferita la parola «diaconessa». Nulla impedisce che si possa optare per «diacona», seguendo la recente tendenza della lingua italiana a inventare, quando non esiste, un femminile senza suffissi percepiti come sessisti da affiancare al maschile: esempi sono il prefetto / la prefetta; il sindaco / la sindaca; l’assessore / l’assessora.

6) LE FUNZIONI

Sono le stesse che competono ai diaconi uomini: in liturgia, nella catechesi, nel governo della Chiesa. Il superamento della distinzione dei generi è già in atto nella prassi ecclesiale. Il diaconato rafforza e amplifica quanto già previsto dalle norme vigenti per il fedele cristiano.

Facendo un piccolo sforzo di immaginazione si può intravedere l’impegno delle diacone:
• nella liturgia eucaristica presieduta dal presbitero,
• nelle liturgie senza presbitero, dove è assente la celebrazione
eucaristica,
• nelle benedizioni,
• nella ricerca teologica, biblica e morale,
• nella catechesi e nell’insegnamento,
• nei movimenti e nelle aggregazioni ecclesiali,
• nei monasteri,
• nelle parrocchie,
• nelle comunità rurali disperse,
• nella diffusione dell’evangelizzazione,
• nelle opere di carità,
• nelle mansioni di governo della diocesi,
• nella gestione degli enti legati direttamente o indirettamente
alla Chiesa.

Non si tratta di venire incontro a spinte laiciste o peggio alla clericalizzazione dei fedeli, ma di favorire la partecipazione all’unica missione, propria di ogni cristiano, di proporre il Vangelo a tutte le creature.

7) LA PREPARAZIONE

Fino ad oggi, per disposizione delle Conferenze episcopali, si è molto insistito su uno schema di preparazione al diaconato preso sostanzialmente a prestito dalla formazione dei candidati al sacerdozio: dottrina cristiana, formazione liturgica, atteggiamenti e comportamenti esteriori.

Con l’ingresso delle donne al diaconato è opportuno partire dalla storia personale e vocazionale di ciascuna donna. Si possono indicare sei grandi filoni di caratterizzazione:
1. religiose e monache,
2. catechiste e insegnanti,
3. studiose e ricercatrici,
4. madri di famiglia,
5. donne dedite alla carità,
6. donne capaci di gestione.

Per ognuna di esse si aprono campi caratteristici della loro storia. C’è differenza tra una monaca e una madre di famiglia. La prima, con il diaconato, guida alla vita contemplativa o comunitaria, la seconda è «esperta» di dimensioni familiari, sia genitoriali che coniugali. Così vale analogamente per chi è capace di ricerca, di catechesi, di gestione. Si tratta, in ultima analisi, di invertire l’approccio di preparazione. È evidente che sono necessari i fondamenti dottrinali e liturgici, ma è impensabile pensare a una formazione, con lo schema ora vigente, del «perfetto» candidato al diaconato (e quindi al sacerdozio).

Gli infiniti documenti che «guidano» il diaconato debbono lasciare spazio alle «vocazioni», che sono tutte di servizio, ma con vissuti molto differenti tra loro e che risulteranno utili alla vita complessa del popolo di Dio.

8) DIGNITÀ E SANTITÀ DA RECUPERARE

È giunto il momento di rompere questo accerchiamento. La donna, nella sua specificità, ha valore quanto l’uomo. La sua dignità e santità va recuperata. Ciò può essere fatto anche concedendo a donne chiamate e preparate il diaconato. Ciò non intacca la dottrina odierna della Chiesa sul sacramento dell’ordine, ma offre una prospettiva che ben si sposa con le indicazioni del Concilio Vaticano II, che chiama tutti i fedeli battezzati a costruire la Chiesa santa.


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9) UN SINODO SULLE ORME DI PAOLO

L’apertura al diaconato femminile potrebbe significativamente avvenire nel contesto di un Sinodo che affronti il tema della «Chiesa madre». Sarebbe il luogo adatto per ripensare il valore della testimonianza e del servizio di tutti i battezzati, valorizzando in particolare la grandezza della vita di molte donne e di molte sante. Non è una sfida, ma il frutto di una doverosa riflessione sul popolo di Dio, guidati dalle parole di Paolo:

Tutti voi infatti siete figli di Dio per la fede in Cristo Gesù, poiché quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo. Non c’è più giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù (Gal 3, 26-28).

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