«Ci sono persone che sono disposte a morire per l’ideale in cui credono. Tra queste c’è Shahbaz Bhatti…». Sono parole commosse quelle con cui il cardinale Pietro Parolin ricorda il ministro cattolico delle minoranze del Pakistan, brutalmente assassinato il 2 marzo 2011 a Islamabad da un gruppo di uomini armati. La sua figura ora rivive in un libro scritto dal fratello maggiore Paul, medico e politico, edito da San Paolo, dal titolo “Shahbaz – La voce della giustizia”, pubblicato in occasione del sesto anniversario della morte del politico che, ancora oggi, rappresenta un punto di riferimento per i cristiani del Pakistan.
Pagine, quelle di Paul Bhatti, «scritte con le lacrime agli occhi e con un velo di amarezza, mitigate però dalla certezza che la fede di Shahbaz non è venuta mai meno. Perfino nei momenti più bui, quando le minacce e l’odio cercavano di porre fine alla sua missione di cristiano e di politico», scrive Parolin nella sua breve, seppur intensa, prefazione.
Pagine che sondano l’«universo interiore» dell’uomo Shahbaz di cui finora «conoscevamo alcuni dettagli della vita pubblica». «Con questa pubblicazione, suo fratello Paul ce lo rende familiare, descrivendolo nella sua intimità, nella sua esistenza quotidiana, mostrandone i progressi umani e spirituali», sottolinea il segretario di Stato vaticano.
Che ricorda al lettore alcune «frasi indimenticabili» di Bhatti che sintetizzano quello che era il suo «ideale» di vita e di politica. Ideale che però – precisa – «non era una semplice idea, non un mero valore, seppure nobile ed elevato. Era ciò che i cristiani hanno di più caro, ovvero Cristo stesso». «Mi sono state proposte alte cariche al governo e mi è stato chiesto di abbandonare la mia battaglia, ma io ho sempre rifiutato, persino a rischio della mia stessa vita. La mia risposta è sempre stata la stessa: “No, io voglio servire Gesù da uomo comune”», affermava il ministro . E nel suo testamento spirituale, in parte consegnato nella biografia, dove emerge tutta la profondità e l’intimità della sua relazione con Dio, scriveva: «Voglio vivere per Cristo e per Lui voglio morire».
Lui era «un politico nel vero senso del termine, che aveva scelto il Vangelo come stile di vita e ad esso improntava il suo operare», afferma il cardinale Parolin. «Fin dall’infanzia Shahbaz, secondo il racconto di Paul, ha cercato ciò che unisce e non ciò che divide. Ha sempre avuto a cuore la sorte dei più poveri, dei più deboli, degli ultimi. Tra questi, un posto particolare lo riservava alla minoranza cristiana del Pakistan».
Nell’adempiere la sua missione, aggiunge il porporato, Bhatti «è stato un promotore sincero del dialogo interreligioso, dell’ecumenismo e della pace tra i popoli». Un esempio di come «solo il confronto aperto può educare le nuove generazioni all’ascolto, alla tolleranza e alla pacifica convivenza».
Shahbaz Bhatti ha servito Cristo «in semplicità e umiltà», si è messo in discussione, «senza tirarsi indietro di fronte alle potenze del mondo, consapevole che niente e nessuno avrebbe potuto strapparlo dalla mano del suo Signore». Una «fede granitica», la definisce Parolin, che gli ha permesso di far fronte alla violenza e all’odio di cui, alla fine, è stato vittima.
Allora, «la lettura di questo volume – conclude Parolin – vuole essere anzitutto un contributo alla ricerca della pace e della giustizia». Tramite queste pagine, «Shahbaz Bhatti ci aiuta a non dimenticare i cristiani del Pakistan e le loro difficoltà, e continua il suo impegno per la convivenza civile e la mutua comprensione tra le religioni nella sua Patria». Patria «che ha sempre amato e servito». Usque ad sanguinis effusionem.