«Ogni volta che si pone termine a una vita siamo tutti sconfitti». Il cardinale Gualtiero Bassetti, arcivescovo di Perugia, racconta alla Stampa come ha vissuto la notizia della morte di Fabiano Antoniani, dj Fabo.
Qual è stata la sua reazione?
«Voglio esprimere la mia vicinanza a questa famiglia nel dolore e al giovane Fabiano che non è più tra noi. Appena l’ho saputo mi sono raccolto in preghiera. Prima di giudicare bisogna riflettere e pregare. Mi è venuto in mente che Dio l’aveva voluto, chiamato, amato. Anche chi è chiuso in se stesso e soffre si può aprire con la vicinanza di altri. La vita è sempre un grande valore. Credenti o no, ogni volta che si pone termine a una vita siamo tutti sconfitti, perché ogni vita è un fatto relazionale. Quando qualcuno compie un atto del genere mi chiedo: che cosa ho fatto mancare io a questo mio fratello o sorella?».
Come risponde?
«Ricordo la visita di Papa Francesco al Serafico di Assisi, ai malati con gravi disabilità. Mi disse: “Queste piaghe hanno bisogno di essere ascoltate”. Cerco di ascoltare le piaghe di chi soffre, di chi magari sta lanciando degli Sos dei quali magari non mi accorgo. La sofferenza in sé è negativa, ma può assumere valore quando diventa rapporto con gli altri e dialogo. Ho un prete giovane, malato di Sla, respira con una macchina ed è immobile. Mi ha detto: “La mia vita è importante come la tua”».
Certi casi provocano emozioni e dibattiti accesi. Che cosa suggerisce?
«Ci vuole dialogo. Penso all’esempio della prima grande riforma del diritto familiare in Italia, che fu realizzata nel 1975, soprattutto da donne come Nilde Jotti, Franca Falcucci e Maria Elena Martini. Seppero dialogare da posizioni e culture diverse. Il dialogo con il mondo laico sui valori comuni è fondamentale. La vita di una persona è l’anello di una catena, se si spezza l’anello è come se si spezzasse la catena intera. Ciascuno di noi ha compiuto tanti gesti positivi che fanno sì che la nostra vita sia un anello di questa catena. Purtroppo però viviamo in una cultura dello scarto, come dice il Papa. C’è chi si sente lo scarto, la spazzatura. C’è chi finisce col credere di essere soltanto un peso. E questo può portare a gesti disperati».
Questo caso influirà nel dibattito in corso riguardo alla legge sul testamento biologico?
«Siamo veramente fuori strada se facciamo equiparazioni tra testamento biologico e suicidio assistito. In questo secondo caso, con un disabile grave, siamo di fronte a un’eutanasia attiva da non strumentalizzare. Il testamento biologico coinvolge la persone in una fase di lucidità, coinvolge il medico e anche i familiari. Non c’entra con l’eutanasia. Ho conosciuto un cardinale che considero un santo, Silvano Piovanelli, che non ha voluto cure palliative perché desiderava morire offrendo tutta la sua sofferenza. Ma è umano ed è lecito decidere di alleviare il dolore, e la scienza su questo ha fatto davvero grandi passi. Dobbiamo riaffermare dei principi chiari e allo stesso tempo cercare di dialogare con la cultura di oggi per arrivare al cuore dell’uomo, e costruire un umanesimo rispettoso di tutto l’uomo».