La complessa e dolorosa vicenda di Mourad el-Ghazzawi, siriano oggi 22enne, è cominciata nel 2013, quando la fuga dalla cittadina del sud della Siria, Daraa, l’ha portato sul finire del 2014 a Pozzallo, dove è giunto con un barcone di profughi, e si è conclusa lunedì sera, con l’assoluzione. In mezzo c’è stato un anno di detenzione e l’accusa di essere un terrorista. È stata una storia da prime pagine quando è cominciata ed ha rischiato di rappresentare un paradigma, o un’equazione.
La sentenza è stata emessa dal Gup Giancarlo Cascino per «insufficienza e/o contraddittorietà della prova» a conclusione del processo col rito abbreviato. L’imputato, difeso dall’avvocato Luca Ruaro, era accusato di avere collegamenti con cellule della jihad. Per questo era stata chiesta la sua condanna a quattro anni di reclusione. Secondo la Procura, l’imputato faceva parte di un gruppo armato affiliato all’Isis. Il suo legale ha sostenuto, invece, che il giovane sia partito dalla Siria per raggiungere dei familiari emigrati in Germania da anni e che un presunto “passaporto dell’Isis” trovato in uno dei cellulari che gli erano stati sequestrati fosse un falso. Questo è probabilmente l’aspetto più rilevante. Esiste davvero un “lasciapassare dell’Isis”?
Durante un programma di Radio Radicale si è affermato che si tratterebbe di uno scherzo messo on-line e realizzato in Svezia, non per Ghazzawi ma per ironizzare su un giovane cantante curdo – popolo in pessimi rapporti con lo Stato islamico – lì emigrato. Il proprietario del telefonino sequestrato potrebbe averlo solo scaricato dal web.
La vicenda di questo giovane fuggito dal sud della Siria prima della comparsa dell’Isis, nel 2013, ha trovato rilievo perché quando è esplosa ha fatto ritenere che i terroristi potessero arrivare nel nostro Paese sui barconi di quei disperati che, obbligati a fuggire dagli orrori della guerra nei loro paesi d’origine, si sottopongono anche alle angherie degli scafisti pur di sperare di arrivare in Europa.
Al riguardo ha detto a Vatican Insider padre Camillo Ripamonti, presidente del Centro Astalli: «Un fatto che al tempo dell’arresto provocò molto clamore mediatico alimentando l’equazione immigrazione uguale terrorismo che a un anno di distanza si è rilevata falsa, come accaduto in molte altre circostanze in cui si ripropone la stesso pericoloso binomio. Senza entrare nel merito della questione specifica, speriamo che il fatto in sé mostri all’opinione pubblica che giudizi affrettati e approssimativi nella lettura di fenomeni complessi come le migrazioni, da un lato, e la sfida del terrorismo internazionale, dall’altro, vanno sempre ad ostacolare il raggiungimento della verità e favoriscono invece il rischio di ledere i diritti delle persone».