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“Noi siamo libertà”. La campagna di Matteo contro l’eutanasia

Dj Fabo, che ha scelto l'eutanasia, e si è lasciato morire in Svizzera.

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Gelsomino Del Guercio - Aleteia - pubblicato il 27/02/17
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C’è chi utilizza la morte di Dj Fabo per la campagna a favore del suicidio assistito: i radicali. «Fabo è morto alle 11.40». L’annuncio viene dato su Twitter dal radicale Marco Cappato. Dj Fabo, al secolo Fabiano Antoniani, è morto in una clinica svizzera specializzata nell’eutanasia. L’annuncio di Cappato, dirigente dell’associazione Luca Coscioni che lo ha accompagnato, giunge a un giorno dal ricovero.

«Vorrei poter scegliere di morire senza soffrire», diceva dj Fabo nell’appello rivolto al Presidente della Repubblica perché intervenisse presso il Parlamento per far approvare al più presto la legge sul testamento biologico e il fine vita. Un desiderio che lo ha spinto a recarsi in Svizzera per praticare l’eutanasia.

L’ULTIMO MESSAGGIO

Domenica 27 febbraio aveva registrato l’ultimo messaggio, rilanciato su Twitter dall’associazione Coscioni: «Sono finalmente arrivato in Svizzera, e ci sono arrivato purtroppo con le mie forze e non con l’aiuto dello Stato. Volevo ringraziare una persona che ha potuto sollevarmi da questo inferno di dolore, di dolore, di dolore. Questa persona si chiama Marco Cappato e la ringrazierò fino alla morte» (Agi.it, 27 febbraio).

“SCONFITTA AMARA”

«Tutto questo mi rattrista molto. Deve rattristarci tutti, e anche interrogarci»: così monsignor Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita, ha commentato, prima che arrivasse la notizia della morte di dj Fabo. «Ogni volta che si pone termine a una vita, o ci si propone di farlo, è sempre una sconfitta», ha dichiarato monsignor Paglia in un’intervista al Corriere della Sera (27 febbraio), «una sconfitta amara: sia per chi dice ‘non ce la faccio più’ sia per una società che si rassegna all’impotenza».

Per l’arcivescovo «la legge non può per sua natura» regolamentare «situazioni così drammatiche» e «il rischio è di creare ‘la cultura dello scartò’ di cui parla il Papa».

L’APPELLO (INASCOLTATO) DI MATTEO

Avvenire (26 febbraio) aveva raccolto l’appello di Matteo Nassigh, ragazzo di 19 anni che non parla, non cammina, non fa nulla da solo a causa di un’asfissia alla nascita. Ma a dj Fabo che chiede l’eutanasia dice (sfiorando una tastiera): «Noi possiamo pensare e il pensiero cambia il mondo».

«Voglio rispondergli perché io conosco bene la fatica di vivere in un corpo che non ti obbedisce in niente. Voglio dirgli che noi persone cosiddette disabili siamo portatori di messaggi molto importanti per gli altri, noi portiamo una luce. Anch’io a volte ho creduto di voler morire, perché spesso gli altri non ci trattano da persone pensanti ma da esseri inutili».

“NON SONO UN VEGETALE”

«Dopo vari tentativi, quando avevo 6 anni siamo arrivati alla lettoscrittura – riprende Matteo – e io ho imparato in fretta a leggere e scrivere perché avevo molto da dire ed ero stufo di non potermi esprimere ». Bisogna provare a restare chiusi nel proprio corpo per anni e dover sentire che gli altri ti credono un vegetale: «Appena ho potuto comunicare, la prima cosa che ho detto a mia mamma è stato di piantarla di vestirmi in quel modo. Ero sempre in grigio e io volevo il giallo, l’arancione».

“NOI SIAMO LIBERTA'”

Il problema di dj Fabo e dei tanti che la pensano come lui, asserisce, è che «vedono la disabilità come un’assenza di qualcosa, invece è una diversa presenza». Insomma, i disabili non sono persone che devono diventare il più possibile uguali agli altri, «cambiate lo sguardo e lasciateci la libertà di restare noi stessi, allora noi saremo liberi quanto voi…». Non è questione di leggi in Parlamento, ma proprio di sguardo: «Se le persone vengono misurate per ciò che fanno, è ovvio che uno come me o dj Fabo vuole solo morire. Ma se venissero capite per quello che sono, tutto cambierebbe. Ci vedete come mancanza di libertà, ma noi siamo libertà, se ci viene permesso di essere diversi».

ACCANIMENTO ED EUTANASIA

Il teologo Luigi Lorenzetti, su Famiglia Cristiana (27 febbraio) precisa: « «L’accanimento terapeutico indica trattamenti sanitari che, nella situazione concreta e in base all’attuale scienza medica, risultano inutili per la guarigione o per il miglioramento del malato; sono anche sproporzionati tra quello che si può fare tecnicamente e il risultato che si prevede di ottenere»

L’eutanasia, invece, «indica il procurare la morte, su richiesta del soggetto allo scopo di porre termine a un’esistenza che è (o si ritiene) irreversibilmente se­gnata dalla sofferenza. Si pratica con un’azione (ad esempio, iniezione letale) o con l’omissione delle cure ordinarie; o anche con l’aumentare appositamente le dosi antidolorifiche allo scopo di affrettare la morte».

IL CONFINE “OSCURO”

Accanimento terapeutico ed eutanasia «sono distinti e il confine che li separa è chiaro. Il confine si oscura quando si tende a far passare per accanimento quelle che sono cura e assistenza ordinarie. Può verificarsi che, nella situazione concreta, ci siano dubbi sull’utilità e proporzionalità di certi interventi medici e chirurgici (ad esempio, un trattamento di chemioterapia). L’alleanza medico-paziente è l’ideale per una decisione più giusta a favore del paziente».

Al contrario, «non ci sono dubbi su quali sono i trattamenti ordinari (proporzionati), così che non intraprenderli o sospenderli significa procurare la morte, vale a dire entrare nell’area dell’eutanasia».

TRATTAMENTI ORDINARI

La questione nuova riguarda l’idratazione e l’alimentazione artificiali: sono trattamenti ordinari e, quindi, in linea di principio obbligatori o, viceversa, straordinari e, quindi, da rifiutare?

«Ci so­no seri argomenti – ragiona il teologo – per concludere che sono trattamenti ordinari (utili e proporzionati). Non richiedono, infatti, l’impiego di sofisticati strumenti tecnologici; sono accessibili a strutture ospedaliere povere; sono praticabili anche a livello familiare. Anzi, non sono nemmeno atti medici («il nutrire si differenzia dal curare»), ma trattamenti di sostegno vitale e, in quanto tali, costituiscono il minimo che si possa prestare a chi non è in grado di nutrirsi autonomamente».

“NIENTE STRUMENTALIZZAZIONI”

«Rispettoso silenzio», ma no a «strumentalizzazioni ideologiche». Questo l’atteggiamento di Alberto Gambino, giurista e presidente dell’associazione “Scienza & Vita”, di fronte alla notizia della morte in Svizzera di dj Fabio. «Compassione e rispetto assoluti per una vicenda dolorosissima», ribadisce Gambino, ma anche un fermo no alla «strumentalizzazione ideologica del caso fatta dai radicali per tentare di accelerare l’approvazione del ddl sul fine vita pendente alla Camera» (Agensir, 27 febbraio).

“SOSPENSIONE NON ACCETTABILE”

Pur non aprendo in alcun modo al suicidio assistito, l’attuale testo presenta tuttavia diversi profili problematici, prosegue Gambino. Tra questi la possibilità di interrompere l’alimentazione e l’idratazione artificiali che, chiarisce, «non costituiscono atti terapeutici, bensì presidi vitali. Se una persona non può sostenersi autonomamente, la loro sospensione non è accettabile e si configura a tutti gli effetti come una forma di eutanasia passiva, anche se – ribadisce – non sarebbe stato questo il caso di dj Fabio».

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