Da città abbandonata nella miseria e quindi alla violenza, la capitale centrafricana sembra diventata il laboratorio di una nuova sfida, quella della «pace di Jorge Mario Bergoglio». In una recente intervista, rilasciata ad Avvenire proprio dalla capitale centrafricana, la presidente dell’Ospedale Bambino Gesù, Mariella Enoc, aveva spiegato così le ragioni del suo viaggio: «Nella sua visita a novembre (2015, ndr) il Pontefice aveva individuato alcuni ambiti concreti di intervento per la Chiesa. Tra questi l’assistenza sanitaria, con la richiesta in particolare di mettere l’ospedale pediatrico di Bangui nelle condizioni di poter curare efficacemente i bambini. Con il Nunzio della Santa Sede, monsignor Franco Coppola, abbiamo pensato che l’ospedale del papa fosse il soggetto più giusto per offrire questo tipo di supporto».
Tutti ricordano il giorno in cui papa Francesco, andando contro i suggerimenti di mezzo mondo, volle recarsi in Centrafrica e aprire lì l’Anno santo della Misericordia, dichiarando Bangui capitale spirituale dell’umanità. Il Paese, il più povero del mondo, era in balia di una crisi profonda. Dal 2013 tensioni di carattere etnico e religioso hanno portato disordine e instabilità nel Paese e le popolazioni locali sono state vittime di violenze e abusi. I combattimenti hanno causato morti, feriti, spostamenti di persone, saccheggi, distruzione di case e strutture sanitarie, traumi psicologici. Il viaggio del Papa era un rischio oggettivo. Un rischio dal quale è nata un’inattesa opportunità di pace. Ma un’opportunità non va sprecata. Le speranze, se non trovano un riscontro immediato, generano facilmente delusione, soprattutto lì dove si è stimato che 2,3 milioni di persone hanno avuto bisogno di aiuti umanitari, e di questi 1,2 milioni sono bambini.
La situazione rimane particolarmente grave per molti bambini nel Paese: 139 su 1000 muoiono prima di aver compiuto 5 anni e 880 donne su 100mila muoiono per cause correlate alla gravidanza. Più di 1,2 milioni di persone stanno affrontando livelli d’insicurezza alimentare e si stima che 39mila bambini sotto i 5 anni soffriranno di malnutrizione grave. Si contano più di 450mila sfollati all’interno del Paese. A questi, si aggiungono più di 463.500 centrafricani che hanno chiesto rifugio nei paesi vicini.
Così prima del viaggio della Enoc si sono avviati alcuni interventi urgenti per consentire un dignitoso funzionamento dell’Ospedale di Bangui e la continuità delle cure: acquisto di un generatore e di un trasformatore di corrente, attivazione della rete fognaria, rinnovamento della lavanderia, ristrutturazione dell’aula biblioteca dell’Ateneo per formazione a distanza. Quindi si è proceduto all’assunzione di 16 medici generici, che non guadagnano poco più 100 dollari come altri, ma 400 dollari al mese.
Un corso di studio e approfondimento sull’allattamento e la nutrizione infantile nelle emergenze umanitarie ha consentito alla presidente Enoc di fare il punto sulla «pace del Papa», sebbene lui sia convinto di non aver fatto nulla di particolare per favorirla, che sia stato il lavoro dei cristiani e dei musulmani di lì a metterla in piedi. Sarà, di certo il mondo conosce il Centrafrica per via del suo viaggio, ma la conoscenza non basta. Così l’iniziativa della Santa Sede sembra spiegare cosa significhi nel concreto lo sviluppo «umano integrale», cioè lo sviluppo di tutto l’uomo e di tutti gli uomini.
Significa innanzitutto interventi sostenibili, non missioni «chiavi in mano» che portano sollievo, ma non possono risolvere i problemi strutturali. A Bangui ci sono bambini in tende a una temperatura di 40 gradi, per questo riabilitare un ospedale è il primo passo per riabilitare un paese. I sedici medici hanno già consentito una riduzione della mortalità infantile, in un paese dove c’era un solo pediatra. Individuare malattie molto diffuse, come Hiv e tubercolosi, è stato un passo fondamentale, ma le madri hanno bisogno di educazione alimentare, di capire cioè quando un bambino è denutrito: per la tubercolosi ci sono i farmaci, per la denutrizione occorre consapevolezza, cioè conoscenza di cosa siano le proteine e quindi il valore del contenuto del cibo.
L’idea quindi è quella di progetti che coinvolgano il Paese; un ospedale funzionante e collegato, per esempio, alla restituzione delle abitazioni alla popolazione locale. Questo della progressiva restituzione delle abitazioni alla popolazione, della progressiva sistemazione dei profughi che hanno bisogno di strutture sanitarie funzionanti, è uno dei principali problemi intorno a cui «la pace di papa Francesco» non può che ruotare.
Esempi vicini indicano la necessità di formare del personale itinerante che spieghi alle madri come nutrire i propri figli, curare quelli che si ha invece di pensare che presto moriranno e che quindi occorre farne altri. Di qui la necessità di sviluppare una prima economia alimentare autosufficiente, in una prospettiva di sostegno globale alla persona e quindi in un dialogo costante con la popolazione; un dialogo che restituisca dignità e non indugi sull’assistenzialismo.
E’ un po’ quello che ha detto, come si sa, papa Francesco: «il vero potere è il servizio, specialmente ai bambini, ai vecchi, a coloro che sono più fragili e spesso nelle periferie del nostro cuore».