Il campione del mondo di calcio racconta che è’ stata sua madre ad inculcargli l’amore per la preghiera e Gesù La fede di uno dei più importanti giocatori del calcio moderno italiano è fatta di testimonianza e umiltà.
Beppe Bergomi, campione del mondo nel 1982 e bandiera dell’Inter per vent’anni, si racconta a Famiglia Cristiana (23 febbraio), partendo dalle prime esperienze in oratorio.
“E’ STATA UNA SCUOLA DI VITA”
E’ lì che ha iniziato a muovere i primi passi nel calcio. «Quando penso all’oratorio mi viene in mente innanzitutto la Settalese, la squadra dell’oratorio di Settala, il paese alle porte di Milano dove sono cresciuto. Ricordo che c’era un grande campo da pallone, “quasi a undici”, un vecchissimo cinema e una stanza con il biliardino e il ping pong. L’oratorio è stato la mia scuola di calcio e di vita: lì ho appreso il rispetto, l’amicizia e l’impegno, valori che ancora oggi considero fondamentali».
LA FEDE DELLA MAMMA
Figura centrale nella sua vita è stata la madre. E’ lei che gli ha trasferito una fede più che autentica. «Ancora adesso mi testimonia la fedeltà alla preghiera. Qualche tempo fa l’ho chiamata per dirle che sarei andato a trovarla e lei mi ha fatto presente che sarebbe stata impegnata con la recita del rosario e la Messa (..) Per mia mamma la fede è sempre al primo posto».
“QUALCOSA CHE HO SEMPRE AVUTO DENTRO”
Secondo Bergomi, invece, la fede «è qualcosa che ho sempre avuto dentro. Nella carriera calcistica, come nella vita privata, ho trovato sostegno nella preghiera. Conoscere i valori cristiani e avere alcune persone di riferimento mi ha tanto aiutato, ad esempio quando ho perso la Nazionale, nel 1991, e mi sono trovato addosso tante critiche».
IL CONSIGLIO DI DON GIOVANNI
All’inizio la fede era «solo sotto forma di richiesta: ricordo che facevo il segno della croce prima di entrare in campo per invocare la benedizione del Signore. Poi ho imparato a ringraziare Dio: spesso chiediamo aiuto per ciò che ci aspetta, ma è importante saper guardare con gratitudine anche al passato. Di recente ho sentito don Giovanni, il “mio” prete di Settala, e mi ha detto “Beppe, stai vicino a Gesù”. Le sue parole mi hanno toccato nel cuore: oggi prego il Signore di starmi vicino».
Il versetto del Vangelo che ricorda di più è «“Se avrete fede come un granello di senape, potrete spostare le montagne”: mi ha accompagnato durante la carriera, lo leggevo prima di ogni partita».
“SERVONO TESTIMONI, NON IDOLI”
La fede, i valori inculcati dalla famiglia gli sono tornati utili nella sua carriera di calciatore. A 18 anni è diventato campione del mondo. «Sono andato avanti con serietà. Per fare il calciatore bisogna mettere in conto tanta fatica ed è importante saper dare il proprio contributo al gruppo. Alcuni miei compagni di squadra mi hanno anche fornito un grande sostegno nella vita. Oggi i ragazzi cercano eroi nel calcio, ma non credo ci sia bisogno di idoli quanto di testimoni. La vita non è semplice nemmeno per i calciatori. Come atleti bisogna sempre mettersi in discussione, la carriera non è lunghissima e si passa velocemente da momenti di gloria ad altri in cui tutto e tutti ti danno addosso».
“IL CAPITANO E’ L’ESEMPIO”
Paradossalmente, nonostante gli allori, non si è mai sentito ad agio ad essere definito un leader. «A dire la verità sono una persona timida e introversa. Però ho sempre pensato che per essere capitano bisognasse dare l’esempio: arrivare per primi e andare via per ultimi, essere in testa al gruppo durante ogni allenamento, prendersi la responsabilità di parlare con il mister e la dirigenza per portare avanti la tutela di tutti. Ho cercato di comportarmi sempre così».