Ti sciogli davanti ai film strappalacrime? Potrebbe rappresentare una liberazione necessaria… soprattutto se sei cresciuta sentendo la frase “le ragazze grandi non piangono”Hai avuto una settimana stressante. Indossi il pigiama più comodo che hai, ordini il tuo cibo preferito e accendi la televisione. Cerchi un film strappalacrime. Poi fai in modo di avere un pacchetto di fazzoletti a portata di mano, ti metti sotto una coperta morbidissima… e tutto e pronto per piangere a fiumi! Quando il film è finito e ti sei asciugata le lacrime, sei stanca ma serena. È più o meno questa la definizione di quello che chiamiamo “un bel pianto”.
Non sono estraneo ai “bei pianti”. Ma il piccolo ossimoro di questa frase mi fa sorgere una domanda non indifferente: perché, a volte, piangere fa star bene? E se piangere può farci stare così bene, perché al di fuori del divano di casa, nel mondo reale, le nostre lacrime ci mettono a disagio? Perché ci scusiamo se piangiamo in pubblico? Mi verrebbe da pensare che le lacrime provocate dai film tristi – cioè quando piangiamo per gli altri – vanno bene, ma le lacrime personali, che nascono dagli stimoli emotivi della vita di tutti i giorni, siano qualcosa di cui vergognarsi… Quindi questi ultimi sarebbero “cattivi pianti” (ma esiste una cosa simile)?
Per trovare le risposte a queste domande, ho deciso di andarci un po’ a fondo.
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Il primo problema è che, in gran parte della società di oggi, si pensa che le lacrime denotino debolezza. Probabilmente perché le lacrime possono mostrare agli altri che si ha bisogno di aiuto o di supporto. E spesso associamo immediatamente il piangere ai bambini, il che rafforza il concetto che il pianto sia solo per situazioni puerili, di vulnerabilità. Ma è vero il contrario: il pianto è segno che siamo emotivamente mature e in grado di elaborare correttamente i nostri sentimenti. E la ricerca scientifica fornisce la prova che le lacrime non servono solo a mostrare che si ha bisogno di aiuto: il pianto può avere un effetto catartico.
Erica Martinez – psicologa specializzata nell’aiutare i millennials ad andare avanti nell’amore, nel lavoro e nella vita – aiuta a spiegare questa complessa questione: “Alcune persone sono state addestrate a trattenere le lacrime fin da bambini (con frasi come “i grandi non piangono” e simili), ma questa risposta non è affatto sana”. Ecco perché diciamo automaticamente “mi dispiace” quando piangiamo in pubblico, è una reazione che ci viene inculcata. Forse, in passato, qualcuno in autorità ti ha fatta vergognare perché hai pianto. Un’allenatrice, o una maestra, potrebbe averti detto di smettere di piangere, di “crescere”, o di “diventare forte“. E queste, anche se non ce ne accorgiamo, sono parole che ci portiamo dietro anche da adulte.
“Non c’è da meravigliarsi”, continua Martinez, “se sentiamo un vuoto, se non abbiamo gioia e se abbiamo problemi nelle relazioni: non riusciamo a manifestare le nostre emozioni! Ma la terapia può allentare tutti questi tipi di blocchi”.
Confermo che le cose stanno così. Da adolescente, e poi da giovane adulta, ho pianto raramente. Era come se ci fosse qualcosa che mi impediva di accedere alle mie emozioni più profonde. Poco prima dei trent’anni ho iniziato ad avere degli attacchi di panico, a sentirmi depressa, il che mi ha portato a chiedere aiuto al mio direttore spirituale. All’improvviso ho iniziato a versare fiumi di lacrime represse (ho anche temuto che i miei occhi non avrebbero mai smesso di “gocciolare”). In un primo momento, ero imbarazzata. Ma più piangevo, meglio mi sentivo.
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Nei suoi pazienti, Martinez ha conosciuto molte storie simili alla mia: “Molte volte, nelle mie sedute, i clienti sono riluttanti a piangere davanti a me. Il che porta a parlare di cosa significhi piangere per loro, e di quali siano i messaggi del passato a cui associano questa reazione. Piangere permette alle persone di rilasciare fisicamente i sentimenti che non riescono ad esprimere verbalmente. Le persone che si lasciano andare diventano padrone delle loro emozioni. Permettono a loro stesse di provare dei sentimenti, a cui danno quindi credito”. Questo potrebbe portare dunque non solo ad un “bel pianto”, ma ad un pianto produttivo.
Esiste però anche un “cattivo pianto”. Ad esempio l’espressione “lacrime di coccodrillo” si riferisce ad una manifestazione non autentica di dolore. Se ci abituiamo ad utilizzare le lacrime per ottenere ciò che vogliamo, nel lungo periodo le cose si metteranno per il verso sbagliato. Martinez avverte che “piangere per volgere a proprio favore le circostanze potrebbe funzionare, in un primo momento; ma gli altri finiranno per rendersi conto di essere manipolati, e il rapporto ne soffrirà”.
Invece di essere ipocrite, o passivo-aggressive, le persone mature sono autentiche. Permettono a loro stesse di sperimentare l’intero spettro delle emozioni umane. Crescere emotivamente significa ascoltare i propri sentimenti e mostrare empatia per ciò che provano gli altri.
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Nel corso degli anni i miei consulenti, amici e parenti – ognuno dei quali è stato per me un dono dall’alto – mi hanno accompagnata in questo percorso, permettendomi di guarire. Strada facendo è aumentata la mia capacità di essere triste, ma con essa anche la mia capacità di provare gioia. Ho scoperto la verità di un paradosso biblico… avere il cuore spezzato può portare alla completezza, se diamo al nostro dolore una valvola di sfogo, e se permettiamo a Dio di agire nelle nostre emozioni.
[Traduzione dall’inglese a cura di Valerio Evangelista]