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Come rapportarci alle persone che non ci piacciono?

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Michael Rennier - For Her - pubblicato il 21/02/17
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Voglio ancora distruggere i miei nemici, ma ora sto cercando di distruggerli trasformandoli in amici“All’università non mi sei mai piaciuto molto” è quello che mi ha detto un numero imbarazzante di persone (quasi certamente a ragione) nel corso degli anni successivi a quel periodo. Sono certo che se mi aveste conosciuto allora non sarei piaciuto neanche a voi. Tutti abbiamo bisogno di crescere e maturare, ma per me questo valeva ancor di più.

Ricordo che all’epoca lottavo per definirmi ed ero in qualche modo arrabbiato col mondo e incline a fasi depressive. Tutte queste difficoltà, combinate con una personalità complicata per natura, creavano una combinazione esplosiva e spesso mi comportavo male, non tanto esplodendo in rabbia o aperta cattiveria, ma essendo sprezzante e sconsiderato. In breve, credo di essermi fatto un po’ di nemici in passato. Oggi nulla mi rende più felice di avere la possibilità di riconciliarmi e di iniziare un nuovo rapporto basato sull’amicizia, e sono grato quando se ne presenta l’opportunità.

Significa molto quando le persone parlano apertamente dei problemi che hanno con me, soprattutto quando è un modo per gettarci tutto alle spalle. È un’azione che ammiro e cerco di emulare.


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È fin troppo semplice essere gentili con le persone che ci piacciono, e se la nostra generosità è limitata agli amici qualcuno di noi può dire davvero di aver reso il mondo un luogo migliore? È molto più difficile trattare gentilmente i nostri nemici: il capo ingiusto in ufficio, il collega che ci mette i bastoni tra le ruote, il vicino che non è gentile con i nostri figli, la persona che ci taglia la strada nel traffico, il familiare che ci causa problemi a ogni opportunità e rovina ogni incontro di festa… Tutte queste persone possono diventare troppo facilmente disumanizzate nella nostra mente, e possiamo etichettarle come nemiche e iniziare a trattarle in modo diverso.

Un’opzione popolare e socialmente accettabile è andare avanti e distruggere i nostri nemici perché, ovviamente, se lo meritano. Possiamo estrometterli dalla nostra vita per sempre, nutrire astio tutto il tempo che serve o sminuirli spettegolando su di loro. Per il fatto di farlo, potremmo perfino essere lodati dai nostri amici e considerati forti, come se più attacchiamo gli altri maggiore è la nostra vittoria. E può essere davvero gratificante vedere un nemico cadere. Ma chi vince in realtà?

Non sembra altro che una versione adulta delle combriccole nel cortile della scuola e del bullismo psicologico. Da adulti lo giustifichiamo meglio – e so che il mio primo impulso è affermare che hanno iniziato loro a farmi del male e quindi le mie rappresaglie sono giuste –, ma alla fine il desiderio di distruggere i nostri nemici non porta a vincitori. La persona che attacco finisce per sentirsi imbarazzata e piena di vergogna, e dopo l’entusiasmo iniziale della vendetta mi ritrovo con una buona dose di senso di colpa (indipendentemente da come provo a giustificarlo) e una persona in meno che sarà mai mia amica.

Non so voi, ma ho bisogno di tutti gli amici che posso avere. Sto cercando di pensare al modo in cui tratto le persone che hanno visto la parte peggiore di me. Risulta utile il consiglio del teologo John Henry Newman: “Nei confronti del nostro nemico dovremmo comportarci come se un giorno dovesse essere nostro amico”. E allora anziché ad amici e nemici è meglio pensare alle persone come ad amici e futuri amici.

Per me questo cambiamento di prospettiva ha fatto una grande differenza per molti motivi. In primo luogo, considerare qualcuno un amico anche prima che mi ricambi può essere una profezia che si autorealizza. Una volta che compio lo sforzo di essere gentile con qualcuno, il suo atteggiamento si modifica bruscamente e, sorpresa, la persona che pensavo fosse così terribile si rivela (in genere) splendida e interessante. Devo ammettere di aver imparato questa lezione soprattutto quando altre persone sono state le prime ad essere gentili con me e hanno “sciolto” il mio atteggiamento freddo nei loro confronti. Ad ogni modo, anche se non sono stato io a prendere l’iniziativa, ho comunque guadagnato un nuovo amico.

In secondo luogo, anche se io tendo la mano ma la persona decide di rimanere mia acerrima nemica c’è un sollievo psicologico nell’abbandonare la lotta, non solo in quel rapporto, ma nel panorama complessivo. Una volta che smettiamo di vedere nemici ovunque intorno a noi, è come se venissimo alleviati di un peso, potendoci godere la vita. Ed è importante non gettare la spugna. A volte alla gente ci vuole un po’ di tempo per superare lo shock, per perdonare o per essere certi che siamo sinceri.

Un’ultima considerazione per chi crede nel Paradiso: i nostri amici potrebbero benissimo finire in Paradiso vicino a noi, e allora perché aspettare? Le persone di cui non ci interessiamo potrebbero essere sedute nel banco dietro di noi in chiesa. Dio ama quelle persone anche se io non lo faccio. In qualche modo saremo amici; Dio si assicurerà che accada. In Paradiso non sono ammessi odi né nemici. Sapere questo mi dà un grande incentivo ad agire bene finché sono su questa terra.


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Non fraintendetemi: voglio ancora distruggere i miei amici, ma ora cerco di distruggerli trasformandoli in amici.

[Traduzione dall’inglese a cura di Roberta Sciamplicotti]

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