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Il Cile è ancora un paese cattolico?

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Vatican Insider - pubblicato il 19/02/17
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La Chiesa cattolica in Cile attraversa un momento molto complicato. Le difficoltà che vive sono forse maggiori di quelle di altre Chiese dell’America Latina. I cattolici cileni diminuiscono drasticamente. In vent’anni la Chiesa cattolica cilena ha perso praticamente un 1% di fedeli per anno. In Cile l’identità cattolica tende a liquefarsi, anche quando i migliori sentimenti dei cileni continuano ad essere nutriti dal cristianesimo. La gente crede in Dio, prega, ma la sua appartenenza ecclesiale si scioglie, la pratica religiosa continua a decrescere e non si scorgono all’orizzonte segnali di ripresa. 

Il cristianesimo di cristianità, quello che si riceve con la cultura come parte di una società che si dice cristiana, e non come frutto di una conversione e di un incontro personale con il Vangelo, è stato di scarsa qualità. Nel paese la fede si è trasmessa come un credo, una cosmovisione, una antropologia e delle pratiche religiose condivise in forma diffusa e automatica senza una vera personalizzazione religiosa. Si è trattato di un cattolicesimo sufficientemente indefinito da dar luogo a tremende contraddizioni.  

San Alberto Hurtado provocò i suoi contemporanei mettendo davanti ai loro occhi le incongruenze: “Il Cile è un paese cattolico?” (1941). Lamentava allora la mancanza di clero e le ingiustizie sociali. Le disuguaglianze ai nostri giorni devono essere le stesse di ottant’anni fa. I sacerdoti in un prossimo futuro saranno ancora di meno che nei tempi di Hurtado. 

Questa mancanza di vigore del cristianesimo “alla cilena” ha fatto da erba secca per l’incendio delle appartenenze comunitarie che ben osserviamo. In Cile si sono debilitate le parrocchie, le comunità ecclesiali di base, le comunità religiose, i movimenti laicali e la partecipazione all’eucarestia domenicale, e non c’è segno di nessun germoglio di originalità più o meno importante. O forse c’è, poiché il regno dei cieli è come un grano di senape, ma al momento non lo si vede. La situazione è preoccupante perché il cristianesimo è essenzialmente comunitario. 

Cos’è successo? Ogni volta che si constata un male si cerca il colpevole. In questo caso la cosa più facile è ascrivere questa crisi alla gerarchia ecclesiastica. Cattiva formazione del clero, mancanza di immaginazione nella implementazione del Concilio Vaticano II, rapporti infantili tra i sacerdoti e i laici; a cui bisogna aggiungere la diminuzione degli aiuti internazionali (clero, religiosi e religiose) e la caduta delle vocazioni. Tutte queste sono spiegazioni plausibili della crisi, ma non sono le sole. 

Succede che il Cile sperimenta un cambiamento culturale impressionante, simile a quello che avviene nel resto del mondo, dovuto a una globalizzazione che frantuma la cultura tradizionale e debilita le basi delle istituzioni civili e religiose, soprattutto quelle che promuovono i migliori valori dell’umanità. Predomina ovunque la ricerca economica del massimo guadagno e un mercato che riduce le persone a individui in competizione tra loro che aspirano ad “essere qualcuno” attraverso il consumo e non percorrendo la strada della solidarietà. Sul mercato primeggia la ricerca dei propri diritti individuali sulla volontà di servizio al prossimo e alla società.  Nell’era della globalizzazione tutto entra in rapporto con tutto, tutto si relativizza, tutto si vende e si compra, e la gratuità scarseggia. La gratuità è stata sempre messa da parte. La gratuità è stata sempre sacrificata. Adesso è diventata incomprensibile. 

Che futuro può avere una Chiesa debilitata dalla sedimentata superficialità dei fedeli, dai loro “errori non indotti” e dal cambiamento culturale che in pochi anni le è costato generazioni intere di giovani, una Chiesa scandalizzata e tramortita dagli abusi sessuali del clero e dalla loro copertura

Per i cattolici una tentazione potrebbe essere quella di cercare di sussistere a tutti i costi. Potrebbero, per esempio, cercare nel passato quelle forme che danno sicurezza facendole passare per rivelate, occultando che in realtà sono state opere di una Chiesa molto più creativa. Non mancherà chi difenderà l’istituzione con l’argomento della vivacità della religiosità popolare. O che si dia la colpa della crisi alle innovazioni del Vaticano II

Ma c’è una strada migliore da percorrere: cercare l’essenziale del Vangelo, indagare il significato più profondo della vita, lottare per il rispetto radicale della dignità della persona umana, cercare di superare le disuguaglianze e le oppressioni, mostrare la possibilità di un incontro con un Dio ricco in misericordia e liberatore. Penso che i cristiani potrebbero cercare di comunicare con umiltà le loro esperienze di fede solidale e comunitaria. Nella storia della Chiesa l’attenzione e la cura dei poveri è stata costante. I cristiani potrebbero dare una mano disinteressata agli immigranti, ai tossicodipendenti accaniti, ai figli abbandonati dai genitori, alle donne sconsiderate o maltrattate, agli anziani la cui semplice esistenza è vista come un motivo di colpa, insomma, ai nuovi e vecchi poveri che Gesù chiama beati. 

L’altro punto dolente è la celebrazione dell’Eucarestia. Ad essa dovrebbero poter partecipare attivamente soprattutto coloro che non interessano a nessuno. La parola d’ordine della riforma liturgica del Concilio è stata la partecipazione dei fedeli. Una liturgia fraterna dove ci sia spazio per l’espressione di tutte le persone e tutte le vite anche le più diverse anticipa la comunione tra “tutti” gli esseri umani. 

L’unica Chiesa che vale la pena che abbia futuro in Cile è quella in cui il vangelo si comunica come esperienza di quel Gesù umile che ha chiamato amici e amiche a dare la vita per l’umanità. Riuscirà la Chiesa cilena a liberarsi dall’impronta di cristianità che l’ha resa irrilevante, che anziché attrarre le persone le spaventa? Riuscirà la Chiesa a rinascere nel mondo di oggi con cristiani – laici e religiosi, sacerdoti – realmente convinti e avvinti dall’amore di Dio? 

Per i cristiani la vittoria è oltre la morte. Prima della morte credo che la Chiesa debba soprattutto porre le condizioni perché le nuove generazioni si incontrino con Cristo e lo seguano con entusiasmo; perché si approprino di Cristo nel modo in cui Cristo si lascerà afferrare da esse. Il Vangelo potrà essere trasmesso se la Chiesa è disposta ad accoglierlo in maniera protagónica e veramente nuova. 

* Teologo, gesuita, ricercatore del Centro Teologico Manuel Larraín e scrittore del sito Reflexión y Liberación 

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