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L’azione incessante dei Gesuiti sulla scia della Laudato Si’

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Vatican Insider - pubblicato il 18/02/17
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Mentre nel mondo scienziati, economisti e politici – nonostante la presa di distanza della nuova amministrazione americana – sono sempre più interessati alle questioni relative alla sfida della sostenibilità e i problemi legati a inquinamento, cambiamento climatico, degrado del suolo, accesso e qualità dell’acqua, perdita di biodiversità, esaurimento delle risorse rinnovabili e non rinnovabili, salvaguardia dei cicli di azoto e fosforo vengono ormai assunti dalla comunità scientifica internazionale come problemi planetari cui tutti sono chiamati in causa non si è ancora esaurita una domanda che affiorava ancora nei mesi di attesa dell’enciclica sociale di papa Francesco Laudato si’ sulla cura della casa comune, pubblicata a giugno 2015. 

Se il tema della custodia ambientale va ben al di là delle preoccupazione dei credenti, e quindi della comunità cattolica, perché investe ogni persona sul pianeta (cf Ls 3) perché mai un cattolico dovrebbe occuparsene in prima persona? Ha un senso per le religioni, per la Chiesa cattolica in particolare, affrontare una questione così tecnica e (apparentemente) lontana dai problemi di fede? 

Parte da qui il portale dei Gesuiti specificamente legato ai temi ambientali («ecojesuit») nel numero di gennaio con un ampio dossier dedicato alle numerose iniziative portate avanti dalla Compagnia di Gesù nell’area Asia-Pacifico. 

Se «essere custodi dell’opera di Dio non è qualcosa di opzionale e nemmeno un aspetto secondario dell’esperienza cristiana» (Ls 217), a differenza di proposte più individualistiche che caratterizzano alcuni approcci ambientali, la dimensione ecclesiale e comunitaria dell’esperienza cristiana rappresenta il principale (e imprescindibile perché radicalmente evangelico) contributo che può fornire la Chiesa alla discussione sulla sostenibilità, come sostiene Jaime Tatav Nieto, SJ. «Siamo uniti da legami invisibili e formiamo una sorta di famiglia universale – scrive il Papa – una comunione sublime che ci spinge ad un rispetto sacro, amorevole e umile» (Ls 89). Ecco allora che la centralità della dimensione comunitaria della sostenibilità risuona in un concetto centrale per la tradizione sociale cattolica: il bene comune. Così il clima è un bene comune (Ls 23) alla stregua di quell’«insieme di condizioni della vita sociale che permettono ai singoli membri di raggiungere la propria perfezione più pienamente e più speditamente» (Ls 156). 

In altre parole è all’insegna dell’ecologia integrale che un cristiano è chiamato a lasciare la sua impronta sul pianeta al fine di migliorare le condizioni di vita in primo luogo dei suoi abitanti umani. È l’apostolato sociale dei Gesuiti in America Latina dove i religiosi accompagnano le comunità rurali più vulnerabili, o quello più specificamente rivolto alla custodia del creato in Africa orientale dove sono stati fra i primi a installare sistemi di riscaldamento solare dell’acqua, applicano sane pratiche ambientali di progettazione e costruzione degli edifici scolastici e usano bio-latrine che producono gas metano per cucinare: un modo ecologico di procedere integrato con un senso di giustizia e solidarietà con i più deboli (ma è anche l’azione di tante figure di gesuiti che hanno fornito in passato contributi alle scienze naturali sia come educatori nelle scuole che come missionari, un’opera che continua ancora oggi con eminenti scienziati). 

Su questa linea la conferenza dei Gesuiti dell’Asia Pacifico (Jcap), al motto di una «riconciliazione con il creato» ha messo a punto un programma completo per promuovere anche nelle fasce più deboli della popolazione una maggior consapevolezza del problema e integrare obiettivi sociali ed ecologici. Nel frattempo scuole e università portano avanti un’azione educativa all’insegna della responsabilità, di una gestione più sostenibile delle risorse, con un controllo anche della provenienza delle donazioni. E, in zone dove gli eventi climatici estremi (tifoni in primo luogo) hanno portato devastazioni ingenti, sono le comunità religiose stesse a imparare a controllare i consumi ed evitare gli sprechi al fine di contribuire a un risanamento climatico. 

Un’azione che parte da lontano, come ricorda Pedro Walpole, SJ – forse dal lontano 1970 con l’opposizione alla costruzione della diga di Chico nella Cordillera nel nord delle Filippine, esempio di resistenza da parte delle comunità che lottavano contro lo sfruttamento ambientale e culturale, con il sostegno dei missionari. Un’attenzione che si concretizza nel raccogliere le sfide che le popolazioni debbono affrontare riguardo al problema della terra da coltivare e delle risorse locali da preservare dall’avidità di imprese straniere. Attenzione che comprende anche le sfide etiche dell’inclusione sociale e il crescente impatto del cambiamento climatico sulle condizioni di vita delle persone.  

Nel 2010, l’Jcap, sotto la guida di Mark Raper, SJ, ha iniziato a promuovere con sempre maggiore intensità la «riconciliazione» con il creato, un processo che potrà anche essere lento, ma incessante perché la giustizia ambientale non conosce soste o cambiamenti di rotta. I superiori maggiori e provinciali di Jcap in una recente dichiarazione sulla Laudato si’ incoraggiavano i gesuiti dell’area Asia-Pacifico a lavorare in particolare sulla questione dell’acqua: l’uso domestico e in agricoltura, insieme a un rinnovato impulso al riciclaggio intesi come priorità. Nel documento sono contenuti anche tre inviti specifici, autentiche «chiamate», che derivano dall’Enciclica: la chiamata a rispondere alle necessità di un mondo a rischio, la chiamata al dialogo con la scienza sostenibile in merito ai valori di fondo e la chiamata alla spiritualità e alla vita interiore insieme all’appello ai Gesuiti e a quanti lavorano con loro per approfondire l’impegno ecologico e collaborare in modo più ampio con tutti coloro che si occupano delle medesime questioni ambientali e sociali, vuoi agenzie governative vuoi comunità locali. 

Filippine, Indonesia, Myanmar, Corea, Giappone, Hong Kong, Taiwan, Isole Marshall e Micronesia: non si contano le azioni concrete portate avanti dai gesuiti sia a livello accademico (come nel 2011, quando il tifone «Washi» ha colpito Mindanao nel nord delle Filippine e Roberto Yap, SJ presidente della Cagayan-Xavier University, ha risposto con iniziative territoriali di coordinamento) che di sostegno alla popolazione (come ai lavoratori stranieri o i Rohingya che attualmente cercano rifugio in Asia) oppure di intervento presso le amministrazioni locali.  

«È chiaro – scrive Walpole – che la promulgazione di Laudato si’ ha avviato un processo di discernimento e offre l’opportunità di riflettere sulla creazione all’interno nella vita quotidiana mentre offre l’opportunità di godere del proprio territorio come luogo per vivere la presenza viva di Dio». 

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