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Papa Francesco: “Le migrazioni non sono un pericolo ma una sfida a crescere”

Pope Francis gestures as he delivers a speech on stage during a meeting with students and teachers at the Roma Tre University, in Rome, on February 17, 2017. / AFP PHOTO / Tiziana FABI

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Iacopo Scaramuzzi - Vatican Insider - pubblicato il 17/02/17
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Il pontefice all’Università Roma Tre: la disoccupazione può spingere al suicidio. La guerra inizia con il linguaggio violento della politica. Tra gli studenti la rifugiata siriana da Lesbo«A Franceeee, famose un selfie…». Papa Francesco è stato accolto con entusiasmo da studenti e professori di Roma Tre, la terza e più recente università statale della capitale che ha visitato questa mattina. Lasciando da parte il discorso scritto che aveva preparato, il Pontefice argentino ha risposto a braccio a quattro domande di altrettanti studenti, tra i quali Nour Essa, rifugiata siriana giunta a Roma da Lesbo a bordo dell’aereo papale di ritorno dall’isola greca nell’aprile del 2016. Le migrazioni, ha detto Jorge Mario Bergoglio rispondendo proprio a quest’ultima, non sono un pericolo per l’Europa ma una sfida a crescere. La disoccupazione può portare al suicidio e per questo bisogna contrastare con la «concretezza» la «economia liquida». La terza guerra mondiale nella quale siamo immersi, ha detto ancora il Papa, nasce dall’assenza di ascolto, dal linguaggio violento della politica, dalla mancanza di dialogo. E l’università è chiamata proprio a promuovere il dialogo tra le differenze.

«Il linguaggio e la tonalità del linguaggio è salita tanto», ha detto il Papa su un palco all’aperto in risposta a Giulia Trifilio, romana di 25 anni iscritta a Economia dell’Ambiente e dello Sviluppo, che gli aveva chiesto delle «medicine» necessarie a contrastare la violenza. «Oggi si parla per strada, a casa, si grida, anche si insulta con normalità, c’è anche la violenza nell’esprimersi, nel parlare. Questa è una realtà che tutti vediamo. Se c’è qualcosa sulla strada o qualche problema prima di domandare cortesemente cosa è successo un insulto e poi ridomanda il perché. È vero, c’è un aria di violenza anche nelle nostre città, anche la fretta, la celerità della vita ci fa violenti a casa e tante volte dimentichiamo a casa di dare il buongiorno, “ciao ciao” e via, saluti anonimi. La violenza è un processo che ci fa ogni volta più anonimi, ti toglie il nome, anonimo uno verso gli altri. Ti toglie il nome e i nostri rapporti sono un po’ senza nome, una persona è quella che ho avanti ma io ti saluto come se tu fossi una cosa. Ma questo che noi vediamo qui cresce, cresce, cresce e diviene la violenza mondiale. Nessuno oggi può negare che siamo in guerra. E questa – ha detto il Papa – è una terza guerra mondiale, a pezzetti ma c’è. Bisogna abbassare un po’ il tono e bisogna parlare meno e ascoltare di più. Ci sono tante medicine contro la violenza, ma prima di tutto il cuore, il cuore che sa ricevere cosa pensa l’altro. E prima di discutere, dialogare. Se tu pensi differente da me, dialoghiamo. Il dialogo avvicina, non solo avvicina le persone, avvicina i cuori, col dialogo si fa l’amicizia. E si fa l’amicizia sociale. Quando io prendo il giornale e sul giornale vedo che questo insulta quello, che quello dice di quell’altro… in una società dove la politica si è abbassata tanto – ha insistito il Papa – e sto parlando della società mondiale non di qui, si perde il senso della costruzione sociale, della convivenza sociale, e la convivenza sociale si fa col dialogo, e per dialogare prima bisogna ascoltare. Questo si vede tanto quando ci sono campagne elettorali, discussioni sulla tv, che prima che l’altro finisca di parlare c’è già la risposta: ma aspetta, ascolta bene, poi pensa e rispondi! Ascoltare bene e se non capisco quello che vuoi dire domandare: cosa vuoi dire, non ho capito bene. La pazienza del dialogo. E dove non c’è dialogo c’è violenza. Ho parlato di guerra: è vero, siamo in guerra. Ma le guerre non incominciano là, cominciano nel tuo cuore, nel nostro cuore. Quando io non sono capace di aprirmi agli altri, di rispettare gli altri, di parlare con gli altri, di dialogare con gli altri, lì incomincia la guerra. Quando non c’è dialogo a casa per esempio, quando invece di parlare si grida o si sgrida o quando siamo a tavola invece di parlare ognuno col suo telefonino, sta parlando sì ma con un altro. Quello è il germe, è l’inizio della guerra, perché non c’è il dialogo». L’università, ha detto Francesco, è proprio «il posto dove si può dialogare».

Al proposito Francesco ha criticato, tra gli applausi, quelle università «ideologiche», presenti per esempio in America Latina, «dove tu vai, ti insegnano questa linea soltanto di pensiero, questa linea ideologica e ti preparano per fare un agente di questa di ideologia. Questa non è università: dove non c’è dialogo, dove non c’è confronto, dove non c’è rispetto per come la pensa l’altro, dove non c’è amicizia, dove non c’è la gioia del gioco, lo sport, non c’è università».

A Niccolò Antongiulio, romano di 23 anni iscritto a Giurisprudenza, che gli ha parlato di Roma «communis patria», il Papa ha detto che «dobbiamo prendere le cose come vengono» perché «la vita somiglia un po’ al portiere che prende il pallone da dove lo buttano»: oggi «non è “Tempi moderni” di Charlie Chaplin, ma è un’epoca diversa, e bisogna prenderla, senza paura». Noi, ha proseguito suscitando applausi e risate, «dobbiamo cercare sempre l’unità, l’unità che non è quel giornale… ma che è cosa completamente diversa dall’uniformità: l’unità ha bisogno delle differenze, unità nella diversità». In questo senso, nel contesto di globalizzazione, la «uniformità rischia di distruggere l’unità», ha detto il Papa, riproponendo la metafora a lui cara del modello geometrico del «poliedro» anziché della «sfera».

«Nella comunicazione c’è celerità, gli olandesi 40 anni fa avevano inventato una parola, rapidazzione», ha detto Francesco in risposta a Riccardo Zucchetti, romano di 23 anni iscritto a Ingegneria delle Tecnologie della Comunicazione e dell’Informazione. «È importante abituarsi a questa comunicazione senza che questa rapidità, questa rapidazione mi tolga la libertà di dire no». Il Papa ha poi allargato il discorso a tutta la società, sottolineando che, come ha detto il sociologo Zygmunt Baumann, viviamo in una società liquida: «L’economia liquida crea mancanza di lavoro, disoccupazione», ha detto, «Io vi faccio la domanda: la nostra cara madre Europa, l’identità di Europa: come si può pensare che paesi sviluppati, abbiano una disoccupazione giovanile così forte? Io non dirò i paesi, ma le cifre: giovani da 25 anni in giù in un paese 40% senza lavoro, in un altro paese 47%, un altro 50%, un altro più vicino quasi 60%: questa liquidità dell’economia toglie la concretezza del lavoro e toglie la cultura del lavoro perché non si può lavorare, i giovani non sanno cosa fare – ha proseguito tra gli applausi – e io giovane senza lavoro, perché non trovo, giro, giro, li sfruttano due tre giorni qui, due tre giorni là, alla fine l’amarezza del cuore dove vi porta? Alle addizioni, che hanno una radice, o mi porta al suicidio. Dicono – ha insistito Francesco – che sanno, io non sono sicuro, che le vere statistiche dei suicidi giovanili non sono pubblicate. Questa mancanza di lavoro mi porta ad arruolarmi in un esercito terroristico e così ho qualcosa da fare e do senso alla mia vita: è orribile. Questa è economia di mercato? Non so tecnicamente, io direi economia liquida. Deve essere concreta e per risolvere problemi sociali economici culturali serve concretezza».

Infine la siriana Nour Essa ha posto una domanda sulla «paura europea» verso chi proviene dalla Siria o dall’Iraq: «Queste persone secondo lei non minacciano la cultura cristiana dell’Europa?». «Ma io – ha risposto Francesco – mi domando: quante invasioni ha avuto l’Europa? L’Europa è stata fatta di invasioni, immigrazioni: i normanni… è stata fatta artigianalmente così, le migrazioni – ha scandito Bergoglio – non sono un pericolo, sono una sfida per crescere. E lo dice uno che viene dal paese in cui più dell’80% sono immigrati. È vero non abbiamo una bella identità, ma questo perché non sappiamo gestire le cose, è peccato nostro, non è una cosa cattiva dell’immigrazione. La paura: io ricordo bene il giorno a Lesbo, ho sofferto tanto quel giorno», ha detto ricordando che dopo essere saliti sull’aereo papale i profughi rifugiati sono stati invitati a scendere per salutare le autorità «e non volevano scendere, avevano paura…».Per Francesco, «bisogna pensare bene alla questione delle migrazioni oggi, sono molte, non è fare politica, ma queste persone fuggono dalla guerra o dalla fame. La soluzione ideale sarebbe che non ci sia la guerra e non ci sai la fame, cioè fare la pace o fare investimenti in quei posti perché abbiano risorse per vivere lì. In alcuni paesi hanno una cultura dello sfruttamento, ma noi andiamo là per sfruttarli. Non sfruttare. Hanno fame perché non hanno lavoro e non hanno lavoro perché sono stati sfruttati, fuggono, ma per arrivare in Europa dove pensano che troveranno uno status migliore anche lì sono sfruttati, sfruttatori dei barconi e tutto quello che noi sappiamo, quello che ha fatto del Mediterraneo un cimitero, non dimentichiamolo, il nostro mare, il “mare nostrum” oggi è un cimitero. Pensiamo quando siamo da soli, come se fosse una preghiera… e questi migranti – ha proseguito Francesco – arrivano, sono accolti. Quando quattro anni fa sono andato a Lampedusa perché ho sentito che dovevo andare come primo viaggio, incominciava il fenomeno, adesso è di tutti i giorni. Ma come si devono ricevere, come si devono ricevere i migranti? Come si devono accogliere i migranti? Primo – ha risposto il Papa – come fratelli e sorelle umani, sono donne e uomini come noi. Secondo, ogni paese deve vedere di quale numero è capace di accogliere, è vero, non si può accogliere se non c’è possibilità, ma tutti possono farlo. Poi non solo accogliere, integrare, cioè ricevere questa gente e cercare di integrarli, prima che imparino la lingua, cercare un lavoro, una abitazione, che ci siano organizzazioni per integrare. L’esperienza che io ho avuto quando è venuta Nour: credo che tre giorni dopo i bambini andavano a scuola e quando sono venuti i 25 tutti insieme da me a un pranzo dopo tre mesi, i bambini parlavano l’italiano, i grandi ancora più o meno, ma i bambini sì, sono andati a scuola, i bambini imparano subito; la maggioranza aveva lavoro, aveva una persona che li accompagnava nella integrazione, le porte aperte. Loro portano una cultura che è ricchezza per noi, ma anche loro devono ricevere la nostra cultura, è fare uno scambio di culture. Rispetto: e questo toglie la paura. C’è la paura, sì, ma la paura non è solo dai migranti, i delinquenti che vediamo sui giornali sono nativi qui o migranti, c’è di tutto. Ma integrare è importante. Io penso un esempio triste: i ragazzi che hanno fatto quella strage a Zaventem (l’aereporto di Bruxelles, ndr) erano belgi, nati in Belgio, figli di migranti, ma ghettizzati, non integrati».

Il Papa ha concluso citando l’esempio positivo della Svezia, dove 890mila dei 9 milioni sono immigrati o figli di immigrati ben integrati: «E quando c’è questo accogliere, accompagnare, integrare non c’è pericolo con l’immigrazione, si riceve una cultura e si offre un’altra cultura, questa è la mia risposta alla paura». L’università, ha concluso, «è dialogo nelle differenze».

Il Papa, accolto dal rettore Mario Panizza e dalla prima rettrice, Bianca Maria Tedeschini Lalli, è giunto dieci minuti in anticipo. Tra la folla degli studenti è spuntato Gianni Letta. Presente la ministro alla Pubblica Istruzione Valeria Fedeli, seduta accanto al fondatore della Comunità di Sant’Egidio Andrea Riccardi. La prima persona che salutata è stata una piccola bambina in braccio alla madre: «Anche questa è universitaria?», ha scherzato Francesco. A un vigile adulto che chiedeva un selfie, il Papa, senza sottrarsi, ha commentato: «Ma queste sono cose che fanno gli adolescenti». Salutato al passaggio da cori, applausi, il Papa ha salutato molti studenti, con molti selfie, ha scherzato con una ragazza paraguaiana domandandole se parla il guaranì, antica lingua locale all’epoca dei missionari gesuiti, ha salutato, inchinando lievemente la testa, una giovane donna velata anch’ella rifugiata siriana a bordo del volo papale da Lesbo. Il Papa è ripartito per il Vaticano attorno alle 11,45. «Concretezza», ha ripetuto il Papa prima di infilarsi nella Ford Focus che lo ha riportato a casa tra gli applausi.

 

QUI L’ARTICOLO ORIGINALE

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