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Venezuela, ovvero il congelamento della crisi e del dialogo

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Vatican Insider - pubblicato il 16/02/17
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Ernesto Samper, ex presidente della Colombia e attuale segretario generale dell’Unasur (Unione delle nazioni sudamericane), grande e tenace sponsor del dialogo tra il governo del presidente Nicolás Maduro e le opposizioni, con riferimento alla situazione congelata del Venezuela – dove l’Unione, tra mille difficoltà, prova a rianimare una mediazione che molti ritengono definitivamente fallita – ha spiegato la questione a Radio Caracol dicendo: «Da un lato c’è una opposizione che non si mette d’accordo. È divisa. Almeno tre suoi dirigenti aspirano a diventare presidenti del Venezuela. Da questa competizione tra loro scaturiscono contestazioni e disaccordi vicendevoli. Poi c’è la questione della grave tensione tra governo e Parlamento: il governo non riconosce autonomia al parlamento e questo non riconosce legittimità al potere esecutivo». 

Di tutto per «disattivare» il ruolo della Santa Sede  

La diagnosi di Samper sembra onesta e precisa seppur dipinga con tinte cupe un quadro apparentemente senza soluzione. In questa situazione da lui descritta si è trovata coinvolta, contro la sua volontà, la Santa Sede: il suo desiderio di facilitare un avvicinamento tra le parti da oltre quattro anni in contrapposizione è stato gradualmente, e forse volutamente, neutralizzato. Da mesi, in sfere del governo e dell’opposizione, si parla di «disattivare» il ruolo della Santa Sede seppure la sua presenza e le sue gestioni erano state richieste dalle parti con documenti separati, ufficiali. Oggi appare chiaro che si trattava solo di mosse tattiche. 

Dall’ottobre scorso a oggi nessuno dei due interlocutori, governo e opposizione, ha mai risposto positivamente – e soprattutto lealmente – alle esortazioni della Sede Apostolica, volte alla ricerca di un dialogo sincero e costruttivo. Entrambi hanno provato in ogni momento a usare la disponibilità e la presenza vaticana a proprio beneficio, tentando più di una volta di sfruttarla a proprio vantaggio contro il rispettivo avversario politico. Di questa battaglia senza esclusione di colpi la stampa venezuelana è piena di esempi, che attestano come sia in atto il gioco di trascinare il Vaticano a favore di una parte contro l’altra. 

A un certo punto – e appare chiaro rileggendo i fatti più recenti (come la sospensione del terzo colloquio previsto inizialmente per dicembre e poi spostato a gennaio, e sempre fallito) – il Vaticano si è trovato intrappolato in una situazione in cui nessuna forza politica ha mai davvero avuto l’intenzione di dialogare con l’altra per risolvere i drammatici problemi del paese. Governo e opposizione si sono appelati all’aiuto vaticano solo per interessi immediati e propagandistici e in questo gioco l’Episcopato venezuelano ha sofferto da grave e altalenante disorientamento.  

Contro ogni speranza 

Solo in questo contesto è possibile capire perché la Santa Sede abbia gradualmente abbassato il profilo della sua presenza. Il Papa, e con lui l’intera diplomazia vaticana, restano convinti, che in Venezuela non ci sia altra soluzione praticabile se non la ricerca di accordi e la definizione di metodi per superare le differenze, cioè il dialogo vero. Questo è ciò che il Vaticano ha sempre sostenuto e appoggiato e sicuramente continuerà a fare; tuttavia per il momento l’unica strada possibile è quella dell’attesa che –  si ritiene – non debba essere passiva. Per la Santa Sede, le due parti in Venezuela prima o dopo dovranno trovare una soluzione a questo impasse, perciò il nunzio apostolico a Caracas, mons. Aldo Giordano, non smette di lavorare in tal senso e non si stanca mai di ricordare che spesso occorre avere fiducia contro ogni speranza. 

Negli ultimi giorni le due parti hanno assicurato di aver ricevuto un invito da parte del Pontefice per un colloquio in Vaticano con due rappresentanti del governo e due dell’opposizione. A una prima risposta positiva, seppur tiepida, è seguita negli ultimi giorni un secco rifiuto dei partiti avversi al governo venezuelano che ora dicono: «Accetteremo l’invito solo se il governo rispetterà e applicherà gli accordi raggiunti nei due primi incontri del dialogo nazionale». A questo punto non è difficile concludere che la Santa Sede ormai non può fare più di tanto. La gravità della crisi è nuovamente reclusa nello scontro tra le due parti, anche perché governo e opposizione hanno finito per far abortire anche la mediazione dell’Unasur, riportando così le lancette dell’orologio della crisi alla situazione di un anno fa. 

Dialogo vero 

La lettera del cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin, del 1° dicembre 2016, che da più parti venne giudicata inopportuna, in realtà, a quasi tre mesi di distanza, si rivela profetica. In quel documento il porporato rifletteva sulle condizioni minime del dialogo vero, che sono poi quelle che non si sono realizzate in questi mesi e che hanno fatto deflagrare la crisi nel paese sudamericano. Ecco le parole del cardinale Parolin nella lettera citata sulle «due condizioni che rendono possibile ed efficace il dialogo» – possibile ed efficace! – evitando «il rischio di farlo diventare sterile e frustrante». Prima condizione: Capacità per il «riconoscimento reciproco come persone», soggetti di «dignità inerente e inalienabile, dotati di ragione e libertà, con vocazione per la ricerca del bene comune». Seconda condizione: «Volontà seria per rispettare gli eventuali accordi raggiunti così come la loro applicazione puntuale, senza tergiversazione o condizioni ulteriori».  

Le osservazioni del card. Parolin su queste due condizioni si chiudono con una importante riflessione, pertinente, necessaria e urgente e che, in definitiva, è la questione di fondo di questa crisi: «È anche certo – scrive il porporato – che un linguaggio aggressivo, violento e poco sincero non favorisce quel minimo clima di fiducia reciproca che è necessario per un fruttifero sviluppo del dialogo, che deve avere come oggetto unico il bene comune del popolo. Solo da questa prospettiva si potranno superare le divergenze esistenti sull’opportunità del dialogo oppure la sua strumentalizzazione, imponendo alle parti la responsabilità di non abbandonare il Tavolo del dialogo per interessi politici personali, di partito o ideologici. Infine, per quanto riguarda i contenuti e le concessioni reciproche tra le parti in gioco, è opportuno sottolineare che i diritti si rispettano, non si negoziano».  

Nuove insidie e tutti sempre più deboli e poco credibili 

In questi giorni da più parti, inclusi molti analisti autorevoli, è stato chiesto a gran voce: «Il Vaticano esca dal Venezuela?» ed è stata lanciata una critica singolare: la mediazione vaticana ha dato come unico risultato quello di concedere tempo a Maduro per consolidare le sue posizioni. L’altra faccia della moneta risponde: il dialogo appoggiato dal Vaticano ha dato tempo all’opposizione per un riorganizzazione delle forse. 

Ovviamente non è così perché, in primo luogo, la Santa Sede non svolgeva nessun ruolo di mediazione bensì di accompagnante per aiutare a creare le migliori condizioni di un dialogo autentico. Non ha parteggiato né per il governo né per l’opposizione e perciò non si è mai lasciata usare dall’uno e dall’altro. Il suo unico orizzonte era, ed è tuttora, il bene del popolo venezuelano che è quello che da mesi sta pagando il prezzo della scelleratezza dei suoi governanti e dei politici; allo stremo per le condizioni di vita imposte, con cibo e generi di prima necessità razionati e con prezzi altissimi, e soprattutto senza speranza e serenità.  

Tra l’altro, anche se per ora il dialogo è fallito o è stato congelato per volere subdolo delle parti, si è visto comunque che è possibile sedersi attorno ad tavolo per negoziare, e ciò è accaduto in due occasioni. La questione è un’altra e la Sede Apostolica c’entra poco o nulla: il governo di Maduro, che oggi deve fare i conti anche con le accuse e le minacce dell’amministrazione Trump, e l’arcipelago delle opposizioni, non desidera davvero dialogare, anche se si ostinano a dichiarare pubblicamente il contrario.  

Quanto sta accadendo rende questi parti le meno credibili e affidabili nel panorama politico latinoamericano con il rischio che, un giorno, quando saranno davvero costrette e trovare accordi e avranno bisogno del sostegno di amici e “facilitadores”, non vi sarà nessuno disposto a farsi intrappolare dai loro meschini giochi di palazzo. È questa la convinzione di buona parte delle cancellerie dell’America Latina e dell’Europa. 

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