La violenza nasce e inizia nel cuore dell’uomo. La «dichiarazione» di ostilità viene da lì, con l’invidia, la gelosia. Perciò ognuno, anche se è fisicamente lontano dai conflitti armati o da chi li pianifica, è responsabile della custodia della pace. Lo evidenzia e ribadisce papa Francesco nella Messa di questa mattina, 16 febbraio 2017, nella Cappella di Casa Santa Marta. Il Pontefice – come riferisce Radio Vaticana – pone l’accento sulla tragedia di tante persone travolte dalle bombe e dagli spari ordinati dai potenti e dai trafficanti d’armi; ma senza perdere la speranza di poter dire un giorno: «È finita la guerra nel mondo».
I tre elementi chiave dell’omelia papale sono la colomba, l’arcobaleno e l’alleanza, tre immagini della Prima Lettura, dal Libro della Genesi, in cui si racconta di Noè che libera la colomba dopo il diluvio. Il volatile, che ritorna con il ramoscello d’olivo, è «il segno di quello che Dio voleva dopo il diluvio: pace, che tutti gli uomini fossero in pace». Osserva il Vescovo di Roma: «La colomba e l’arcobaleno sono fragili. L’arcobaleno è bello dopo la tempesta ma poi viene una nuvola, sparisce». Pure la colomba è fragile: Francesco cita l’episodio cruento di due anni fa, quando un gabbiano ne ha uccise due appena liberate dal Papa insieme a due bambini dalla finestra del Palazzo apostolico.
Poi c’è l’alleanza: quella «che Dio fa è forte – dice – ma come noi la riceviamo, come noi l’accettiamo è con debolezza, pure. Dio fa la pace con noi ma non è facile custodire la pace». Si tratta di un lavoro quotidiano, «perché dentro di noi ancora c’è quel seme, quel peccato originale, lo spirito del Caino che per invidia, gelosia, cupidigia e volere di dominazione, fa la guerra».
Il Pontefice a questo punto rileva il riferimento diretto al sangue: di quello «vostro – si legge nella Lettura odierna – io domanderò conto; ne domanderò conto a ogni essere vivente e domanderò conto della vita dell’uomo all’uomo, a ognuno di suo fratello». Dunque tutti, sottolinea Francesco, sono «custodi dei fratelli e quando c’è versamento di sangue c’è peccato e Dio ci domanderà conto».
Oggi nel mondo «c’è versamento di sangue – denuncia come molte altre volte nel suo pontificato – Oggi il mondo è in guerra. Tanti fratelli e sorelle muoiono, anche innocenti, perché i grandi, i potenti, vogliono un pezzo più di terra, vogliono un po’ più di potere o vogliono fare un po’ più di guadagno col traffico delle armi». Però attenzione: la Parola di Dio è «chiara: “Del sangue vostro, ossia della vostra vita, io domanderò conto; ne domanderò conto a ogni essere vivente e domanderò conto della vita dell’uomo all’uomo, a ognuno di suo fratello”. Anche a noi – puntualizza – sembra di essere in pace, qui, il Signore domanderà conto del sangue dei nostri fratelli e sorelle che soffrono la guerra».
Bisogna quindi chiedersi: «Come custodisco io la colomba? Cosa faccio perché l’arcobaleno sia sempre una guida? Cosa faccio perché non sia versato più sangue nel mondo?». Tutti sono «coinvolti in questo», ammonisce il Papa. E la preghiera per la pace non è una «formalità, il lavoro per la pace non è una formalità».
E non si può far finta di niente sul concepimento della violenza umana: «La guerra incomincia nel cuore dell’uomo, incomincia a casa, nelle famiglie, fra amici e poi va oltre, a tutto il mondo». Da ciò, altra riflessione da compiere: come ci si comporta «quando sento che viene nel mio cuore qualcosa» che punta a «distruggere la pace?».
La guerra «incomincia qui e finisce là – prosegue – Le notizie le guardiamo sui giornali o sui telegiornali… Oggi tanta gente muore e quel seme di guerra che fa l’invidia, la gelosia, la cupidigia nel mio cuore, è lo stesso – cresciuto, fatto albero – della bomba che cade su un ospedale, su una scuola e uccide i bambini. È lo stesso – ripete con amarezza – La dichiarazione di guerra incomincia qui, in ognuno di noi».
Ecco perché la domanda «come custodisco io la pace nel mio cuore, nel mio intimo, nella mia famiglia?». È necessario custodire la pace, anzi, «non solo custodire: farla con le mani, artigianalmente, tutti i giorni. E così riusciremo a farla nel mondo intero». Francesco precisa che «il sangue di Cristo è quello che fa la pace ma non quel sangue che io faccio col mio fratello» oppure «che fanno i trafficanti delle armi o i potenti della terra nelle grandi guerre».
Il Papa rivela poi un aneddoto personale accaduto nella sua infanzia: «Cominciò a suonare l’allarme dei Vigili del Fuoco, poi dei giornali e nella città… Questo si faceva per attirare l’attenzione su un fatto o una tragedia o un’altra cosa. E subito sentii la vicina di casa che chiamava la mia mamma: “Signora Regina, venga, venga, venga!”. E mia mamma è uscita un po’ spaventata: “Cosa è successo?”. E quella donna dall’altra parte del giardino le diceva: “È finita la guerra!” e piangeva».
Il Papa ricorda e riporta l’abbraccio di gioia e liberazione delle due donne. E infine invoca con speranza: «Che il Signore ci dia la grazia di poter dire: “È finita la guerra” e piangendo. “È finita la guerra nel mio cuore, è finita la guerra nella mia famiglia, è finita la guerra nel mio quartiere, è finita la guerra nel posto di lavoro, è finita la guerra nel mondo”. Così ci sarà più forte la colomba, l’arcobaleno e l’alleanza».