Il piccolo libro del cardinale Francesco Coccopalmerio dedicato al capitolo VIII dell’esortazione Amoris laetitia e alla sua interpretazione in merito alla possibilità, in alcuni casi, di amministrare il sacramento dell’eucaristia a divorziati risposati, s’inserisce in una via che ha visto due teologi domenicani intervenire nello stesso senso.
Il primo di questi è padre Giovanni Cavalcoli, filosofo metafisico e teologo dogmatico, docente emerito di Teologia Dogmatica, membro ordinario della Pontifica Accademia di Teologia e condirettore della rivista telematica l’Isola di Patmos (isoladipatmos.com). In un’intervista con Vatican Insider dell’ottobre 2015, durante il secondo dei sue Sinodi convocati da Papa Francesco per discutere di matrimonio e famiglia, il teologo affermava: «La disciplina dei sacramenti è un potere legislativo che Cristo ha affidato alla Chiesa, affinché essa, nel corso della storia e nel variare delle circostanze, sappia amministrare i sacramenti nel modo più conveniente e più proficuo alle anime e nel contempo nel rispetto assoluto alla sostanza immutabile del sacramento, così come Cristo l’ha voluta. L’attuale disciplina che regola la pastorale e la condotta dei divorziati risposati è una legge ecclesiastica… La Chiesa non può mutare la legge divina che istituisce e regola la sostanza dei sacramenti, ma può mutare le leggi da lei emanate, che riguardano la disciplina e la pastorale dei sacramenti. Dobbiamo quindi pensare che un eventuale mutamento dell’attuale regolamento sui divorziati risposati, non intaccherà affatto la dignità del sacramento del matrimonio, ma anzi sarà un provvedimento più adatto, per affrontare e risolvere le situazioni di oggi».
Padre Cavalcoli spiegava anche che «non esistono “condizioni peccaminose”, perché il peccato è un atto, non è una condizione, né è uno stato permanente… Il problema dei divorziati risposati è che l’adulterio, con l’aggravante del concubinato, è peccato mortale. Per cui è molto facile che la coppia, unendosi, cada in peccato mortale. Tuttavia è possibile il caso di una coppia, che si trovi in una situazione oggettiva e insuperabile, dalla quale, per vari motivi, non possa uscire per tornare allo stato precedente: per esempio, il coniuge precedente ha figli con un altro, o la nuova coppia ha figli. Certo, dopo l’atto del peccato, se non interviene il rimprovero della coscienza e il pentimento, anche cessato l’atto, resta uno stato di colpa. In questo caso la volontà resta deviata ed ha bisogno di essere raddrizzata, cosa che può e deve fare la stessa volontà, sotto l’impulso della grazia. E questo può essere ottenuto grazie al perdono divino, quale che sia la situazione oggettiva, nella quale si trova il peccatore, fosse pure quella del divorziato risposato. Esistono a volte condizioni nelle quali è facile peccare, perché costituiscono forti spinte od occasioni praticamente inevitabili di peccato».
Dopo la pubblicazione del documento, un altro teologo domenicano, il cardinale Christoph Schönborn, ricordava, in un’intervista con «La Civiltà Cattolica», che Amoris Laetitia, non si limita a ribadire una legge ma scende «a livello molto concreto della vita di ognuno». Perché «un soggetto, pur conoscendo bene la norma può avere grande difficoltà nel comprendere valori insiti nella norma morale o si può trovare in condizioni concrete che non gli permettano di agire diversamente». Questo è il legame, spiegava l’arcivescovo di Vienna, con Familiaris Consortio, in cui Wojtyla «distingueva alcune situazioni» e «apriva la porta a una comprensione più ampia passando per il discernimento delle differenti situazioni che non sono oggettivamente identiche, e grazie alla considerazione del foro interno».
Per Giovanni Paolo II, sottolineava Schönborn, «c’è differenza tra quanti sinceramente si sono sforzati di salvare il primo matrimonio e sono stati abbandonati ingiustamente, e coloro che invece hanno distrutto con colpa grave un matrimonio canonicamente valido. Poi c’è chi ha «contratto una seconda unione in vista dell’educazione dei figli», e talvolta è soggettivamente certo «in coscienza» che «il precedente matrimonio, irreparabilmente distrutto, non era mai stato valido».
Dunque se già Papa Wojtyla presupponeva «in modo implicito che non si possa dire semplicemente che ogni situazione di un divorziato risposato sia l’equivalente di una vita nel peccato mortale separata dalla comunione d’amore tra Cristo e la Chiesa», Francesco fa un ulteriore passo in avanti senza però cadere «nella casistica astratta», come invece auspicato da alcuni che avrebbero preferito che il Papa redigesse una sorta di “inventario”. In quel modo, infatti, ammoniva il cardinale, si creerebbe «un diritto a ricevere l’eucaristia in situazione oggettiva di peccato». Papa Bergoglio, invece, ci mette «di fronte all’obbligo per amore della verità, di discernere i casi singoli in foro interno come in foro esterno».