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Cristiani coraggiosi, insieme per una pace sociale   

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Vatican Insider - pubblicato il 13/02/17
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Da quale realtà parte il discernimento sui modi con cui la Chiesa può essere ministra di riconciliazione nel- la nostra società? Quali sono le principali situazioni di non riconciliazione nel nostro Paese? Le risposte pos- sono essere tante; l’importante sarà poi ricomporle in unità alla luce del ministero della riconciliazione cri- stiana e non semplicemente alla luce di considerazioni di consenso sociale e di unità operativa.  

Ne suggerisco tre:  

a) la tensione, la diffidenza, la sottile inimicizia tra cittadino e Stato. Noi abbiamo su questo punto una tradizione purtroppo faticosa, per la nostra storia particolare. Lo Stato è ritenuto in qualche modo un nemico esoso, da cui ci si difende, e non un servitore comune, creato da noi stessi per nostro vantaggio. È un problema cronico, che si evidenzia poi in fenomeni diversi, come quello della partitocrazia.  

b) La non completa riconciliazione e fusione tra vecchi e nuovi strati sociali (intendendo gli strati di antica residenza confrontati con quelli di recente im- migrazione, e gli strati successivi di immigrazione tra loro). Questo fatto, anche se non è più problematico come 10 o 20 anni fa, costituisce sempre un sottofondo che determina le aggregazioni, le simpatie, le antipatie, le difese istintive, le forme di razzismo rinascente che talora diventano clamorose. È un fenomeno che può esistere anche nell’ambito ecclesiastico: è interessan- te notare in certi luoghi la composizione sociologica e di provenienza dei membri del Consiglio pastorale in relazione a quella della parrocchia, per vedere come ta- lora si tratta di gruppi particolari, più fedeli alla Chiesa, rispetto ad altri che si sentono estranei e magari non ben accolti.  

c) Un terzo elemento di non riconciliazione, anche se si è molto attenuato, è la distanza tra buona parte della società italiana e la Chiesa come istituzione. Cre- do che ciò possa valere per un buon 60% della comuni- tà civile italiana, e per due motivi antitetici: o perché si ritiene la Chiesa una realtà superata, e non incidente, o perché la si vede come un potere di parte, da accettare con cautela o da cui difendersi. È un reale fossato o almeno una disarticolazione nel tessuto della società italiana.  

d) C’è infine un ultimo elemento che mi sembra determinante, anche se si colloca a un diverso livello, riferendosi intimamente alla vita della famiglia media italiana. Si tratta dell’assai scarso livello di comunica- zione e di dialogo tra l’uomo e la donna nell’ambito della struttura ordinaria della vita familiare. Questo genera forme più o meno esplicite di maschilismo o di femminismo esasperato.  

Siamo dunque di fronte a relitti storici ben determi- nati, che hanno ragioni sociologiche, strutturali, cultu- rali precise. Da qui occorre che parta il lavoro di discernimento, superando per quanto possibile le trite opposizioni laici-chierici, gruppi-movimenti-parrocchie.  

Occorre scavare molto più a fondo, cioè in quelle costanti più generali che determinano l’agire reale delle persone e si coagulano in diversità, in divisioni, in opposizioni categoriali. Occorre uscire dai soliti schematismi, se vogliamo toccare la coscienza della gente così com’è.  

Un profondo disagio sociale  

Il lavoro di definizione della situazione richiede al- lora un passo ulteriore, cioè la ricerca di radici ancora più profonde e comuni al disagio generale, che molti individuano in una crescente allargata carenza di evi- denze etiche comuni alla nostra società.  

Non si intende qui la carenza di desiderio etico o di moralità nei singoli (non si tratta di definire la moralità pubblica secondo statistiche dei reati o delle trasgres- sioni). Ci si riferisce a quella mancanza di evidenze eti- che globali, riferimento indiscutibile per tutti, che for- mano il sostrato di una società e assumono anche nomi diversi. È quello che nel mondo inglese è chiamato la loyalety, la fedeltà ad alcuni principi di fondo del vivere comune.  

La nostra società fa fatica a darsi un’immagine etica unitaria, a riconoscersi nell’appello ad alcuni valori che non siano velleitari o puramente storici (quello del- la Resistenza, per esempio). Quando si vuol definire un contenuto che appelli alla coscienza del singolo in modo da farlo sentire identico nella coscienza a tanti altri, la cosa risulta estremamente difficile.  

Il discernimento deve andare a questi punti se vuole avere apertura e respiro e non soltanto riproporre moralismi o esortazioni generiche. Andando ancora più a fondo, ci si può chiedere quanto la carenza di evidenze morali comuni ha cause o mancati rimedi nella indeterminatezza etica e, per così dire, sociale della Chiesa in Italia.  

Sembra che proprio questa indeterminatezza sia la radice di una inincidenza della Chiesa anche nel suo predicare morale e la ragione, quindi, del suo frammen- tarsi in esperienze almeno apparentemente più coagulanti e più forti. La piena solidità di cui danno l’impressione è tuttavia limitata all’ambito di gruppo; quando vogliono proporsi al di fuori, esse non riescono a farlo con forza, proprio perché sono diventate il surrogato di una esperienza globale di Chiesa che non ha saputo darsi determinatezza complessiva.  

Questa determinatezza non è certamente il frutto di ragionamenti a tavolino o di slogan ben coniati; è un insieme di vita di Chiesa, di rapporti, di situazioni, di gesti, che si pone dunque come problema ad una Chiesa che voglia fare un reale discernimento su di sé.  

È solo mediante la determinatezza di una figura etica di Chiesa, conscia dei suoi compiti e del suo modo di essere in una società, che essa può diventare ministra di evidenze etiche incidenti e quindi di riconciliazione. Per evitare dunque il rischio del corto circuito, di essere immediatamente annunciatrice di evidenze morali che, non avendo riscontro in un tessuto etico comune non sono accolte, la Chiesa, divenendo conscia della sua responsabilità, viene richiamata alle radici che la determinano come figura.  

Queste radici sono radici sacramentali e di grazia (battesimo, eucaristia e, tra battesimo ed eucaristia, penitenza). Soltanto in esse, che sono frutto della morte di Cristo che riconcilia a sé questa porzione di umani- tà, la Chiesa può ritrovare ed esprimere una sua piena concretezza.  

Il discernimento non deve dunque essere una statistica o un’indagine sociologica sulla società, e nean- che semplicemente un’analisi delle proprie colpe, ma un cammino di riflessione sul proprio essere di Chiesa nella sua origine sacramentale.  Occorre riflettere su come la forza riconciliativa del battesimo, ripresa nel sacramento della penitenza, e la grazia di koinonía dell’eucaristia, sono fonte di determinatezza nel modo dell’essere e dell’agire ecclesiale. La Chiesa viene allora richiamata a se stessa, ma non per prepararsi a partire per la guerra, piuttosto in virtù di una logica che è frutto del suo servizio missionario e che è tutta tesa verso questo identico servizio missionario.  

Esperienze di riconciliazione  

Va evitato in questo il pericolo di estrinsecismo, di nozionismo (riprendiamo a capire che cosa sono il battesimo, l’eucaristia, la penitenza). Si tratta invece di partire dal discernimento di quel- le esperienze di riconciliazione che la Chiesa già vive come frutto del suo essere sacramentale per ripensare, a partire da esse, quali sono le figure maggiormente determinate che essa può assumere nella società, in vista del servizio di cui si è parlato.  

Occorre cioè che avvenga un discernimento, che si compie nell’ambito della Chiesa stessa, secondo tre strati:
  

– i cammini di riconciliazione battesimale, catecume- nale, sacramentale che la Chiesa già vive al suo interno e sono oggi ricchissimi. È la riassunzione della deter- minatezza precisa di una figura di Chiesa che si sa salvata dal peccato per opera di Cristo morto e risorto;  

– i cammini di servizio alla riconciliazione che, nell’am- bito della vita della Chiesa italiana, già esistono (impegni di comunità di base, di parrocchie, gruppi, movi- menti, associazioni, volontariato). Se ne devono notare le positività, in termini di ricchezza, di entusiasmo, di impegno, e le carenze, in termini di incapacità a colle- garsi con l’insieme del cammino e dell’organismo ecclesiale. Occorre trarre spunto da questa indicazione per conoscere la verità dei cammini dello Spirito nella Chiesa italiana oggi;  

– gli impegni di riconciliazione (movimenti per la pace, situazioni di interesse ai diversi problemi, dal carcere alla sanità, agli emarginati) che largamente percorrono la vita italiana, anche al di là delle formazioni puramente confessionali, e che costituiscono anch’essi cammini di riconciliazione in atto.  

In altre parole, potremo tenere presenti quei tre «gemiti» di cui parla san Paolo in Romani 8: il gemito della creazione, cioè di tutte le forze che, anche se in maniera indistinta, anelano verso il perfetto shalòm e vogliono riparare le ferite che il cosmo ha ricevuto dal peccato e dalle divisioni; il gemito di noi redenti, che aspiriamo alla liberazione totale e ci esprimiamo quindi con cammini penitenziali, con cammini di volontaria- to, di impegno specifico; il gemito dello Spirito, cioè propriamente ciò che lo Spirito stesso, in virtù della sua presenza indiscutibile nell’opera di grazia e nell’o- pera sacramentale, compie.  

L’analisi di questi tre gemiti e della loro conver- genza è un campo di discernimento da cui partire. La riflessione può avvenire nei due sensi: o a partire dal gemito della creazione, cioè dall’analisi della società, verso il gemito del redento e il gemito dello Spirito; o, viceversa, a partire dalla forza dello Spirito verso l’azione del credente e l’azione della società. Le due vie sono complementari e la Chiesa italiana non deve discutere se percorrere l’una o l’altra: entrambe costi- tuiscono l’unica scala di Giacobbe (gli angeli vi sal- gono e scendono ma essa è una sola) che unisce cielo e terra, cioè lo shalòm, la pace messianica con la pace civile e sociale.  

Il discernimento sembra molto complesso ma è in realtà estremamente semplice. Si tratta di rispondere alla domanda che ho posto all’inizio: in che maniera la Chiesa può oggi, a partire dalle sue esperienze di riconciliazione (se ne ha almeno qualcuna, se ha qual- che gemito dello Spirito, perché se non ne ha è inutile che parli), essere ministra di riconciliazione per que- sta società?  

Questo è il punto focale: si tratta di domandarsi in che maniera le singole preoccupazioni che la Chiesa porta al Convegno (quella sui catechismi, quella sulla scuola di religione, sulla sanità, sull’aborto, sulla pace e il disarmo, sui problemi dei lavoratori) possono essere lette nell’ottica di un discernimento di Chiesa, in che maniera vi contribuiscono o vi convergono.  

Allora, dicevamo, sarà possibile conservare un’unità e dare un senso anche ai diversi discernimenti, riportarli all’insieme e farli ripartire concordemente. Sarà possibile compiere un cammino corale di riflessione, e anche di preghiera. Perché è evidentemente indispensabile fondarsi nella contemplazione del disegno di Dio nella storia, per continuamente riformarsi alla sua luce.  

* Cardinale e Arcivescovo di Milano. Torino, 15 febbraio 1927 – Gallarate, 31 agosto 2012 

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