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La croce nel ghetto

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Vatican Insider - pubblicato il 11/02/17
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Un lacrima riga il volto di Regina, 40enne nigeriana. Per l’ennesima volta, nei giorni scorsi, la sua baracca è stata devastata da un incendio e ora non ha nemmeno più quel riparo di lamiera e cartoni che conteneva un giaciglio di fortuna, vestiti e scarpe rimediati dalla Caritas, qualche oggetto personale. Siamo nel Grande ghetto di Rignano Garganico, in provincia di Foggia, l’esteso insediamento di baracche abitate da immigrati che si trova in una desolata campagna dell’estesa pianura pugliese. Il campo accoglie oltre duemila stagionali che migrano nel Tavoliere per il lavoro agricolo, spesso restando vittima del racket dello sfruttamento, se non della vera e propria criminalità organizzata

Proprio in questa «periferia delle periferie», comunità multietnica e multireligiosa (vi sono cristiani e musulmani) creatasi spontaneamente, è nata un’esperienza di prossimità evangelica che coinvolge, in un gemellaggio di amicizia e di fede, la comunità dei battezzati di una chiesa parrocchiale del vicino capoluogo. La comunità parrocchiale di Gesù e Maria a Foggia, guidata dai frati francescani, è da sempre molto attiva in iniziative di solidarietà e nella vicinanza ai poveri. Frutto di questa sensibilità evangelica è il Centro di prima accoglienza “Sant’Elisabetta d’Ungheria”, struttura caritativa che da trent’anni è un punto di riferimento per l’intero territorio. Frati e laici francescani vivevano quella che Ignazio di Loyola definisce «santa inquietudine» nel sapere che, a pochi chilometri dalle loro case, vi fosse quell’esteso accampamento di immigrati, lavoratori stagionali, famiglie, giunto alla ribalta delle cronache nazionali come esempio di degrado della vita dei residenti o citato per raccontare la piaga del caporalato.  

Per questo, nell’Anno della misericordia, hanno iniziato a visitare il campo, spinti dall’emergenza dichiarata dopo la devastazione seguita ai periodici incendi di tende e baracche. Si è così stabilita una relazione di amicizia con la comunità locale e, grazie alla presenza di sacerdoti francescani, ben presto la fede e la preghiera sono divenuti un terreno comune che ha generato un circolo virtuoso di aiuto, solidarietà, reciprocità di relazioni umane.  

Quel movimento di «Chiesa in uscita», che risponde all’invito di Papa Francesco «non è stato e non vuol essere un andare a far del bene ai poveri», spiega a Vatican Insider Roberto Ginese, laico francescano e responsabile della Caritas parrocchiale. «È piuttosto frutto del desiderio di essere a loro fianco come fratelli e di imparare da loro. I poveri sono nostri maestri, diceva san Vincenzo de Paoli e ripeteva spesso don Tonino Bello, vescovo e francescano secolare pugliese. C’è uno scambio alla pari di esperienze, valori e capacità di vivere la fede in situazioni tanto differenti», racconta. 

Questo rapporto non è più episodico ma si è ora consolidato con un vero e proprio gemellaggio, siglato come degna conclusione dell’Anno giubilare: «Dopo i momenti di incontro, preghiera e solidarietà – recita la solenne dichiarazione congiunta firmata dai volontari e da Gerard, il rappresentante del ghetto – che ci hanno permesso di entrare in contatto con la piccola comunità cristiana presente nel territorio definito Gran ghetto di Rignano, la comunità parrocchiale di Gesù e Maria stringe un patto di amicizia e gemellaggio e si impegna a promuovere un reciproco scambio di esperienze, per favorire una cultura di accoglienza, rispetto e pace tra i popoli». 

Oltre a far conoscere meglio la realtà del ghetto alle altre comunità ecclesiali del territorio di Foggia, il patto intende contribuire ad allargare le basi della solidarietà, necessaria non solo per gli aiuti economici, ma anche e soprattutto per promuovere un sostegno umano e spirituale agli abitanti del ghetto. In particolare si cura e si accompagna la vita di fede dei battezzati che vivono nel ghetto, assicurando la celebrazione dei sacramenti, accanto a una serie di interventi che mirano a migliorare le condizioni di vita dei residenti. 

La messa celebrata nel ghetto dopo l’incendio che ha devastato l’intero campo, in una surreale chiesa coperta solo da uno scheletro di travi assemblate alla meglio, è stata il momento-clou che dà la cifra di una presenza che si può riassumere solo con una parola: fratelli. Un altro segno visibile dello spirito di prossimità è stata la Croce di Lampedusa, costruita con i resti dei barconi e benedetta da Papa Francesco, giunta in visita all’interno del ghetto durante il Giubileo. «Quella croce vuole ricordare che Cristo viene ad abitare tra i poveri. La croce è stata portata a spalla dai volontari, in una speciale via crucis, per tutto il ghetto, sotto gli occhi dei migranti per la maggior parte musulmani, che hanno l’hanno accolta con devozione», osserva Ginese.  

La visita è stata ben presto ricambiata: la sera della vigilia di Natale gli immigrati del ghetto hanno partecipato, in un clima di fraterna e generale commozione, alla solenne celebrazione eucaristica nella chiesa di Gesù e Maria. Il movimento «in uscita» ha generato uno speculare moto «in entrata» che caratterizza l’oggi e sarà coltivato in vista della Pasqua e in futuro. 

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