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Papa Francesco: “L’antisemitismo è ancora diffuso, dobbiamo combatterlo insieme”

JERUSALEM : Pope Francis prays at the Western Wall, Judaism's holiest site, in Jerusalem's Old City on May 26, 2014. The 77-year-old pontiff faces a diplomatic high-wire act as he visits sacred Muslim and Jewish sites in Jerusalem on the final day of his Middle East tour. AFP PHOTO/POOL/ANDREW MEDICHINI

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Vatican Insider - pubblicato il 09/02/17
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Udienza di Francesco all’Anti-Defamation League: «Favorire ovunque la libertà di culto e proteggere credenti e religioni da violenze e strumentalizzazioni». Il rabbino Sandmel: «Cristiani ed ebrei insieme per portare la pace e la sicurezza»di Salvatore Cernuzio

Contro «l’insorgere dell’odio» e contro un antisemitismo ancora oggi diffuso, Papa Francesco propone due «antidoti»: informazione e formazione, in modo da costruire «un futuro di autentico rispetto per la vita e per la dignità di ogni popolo e di ogni essere umano». Un futuro «nel quale l’indicibile iniquità della Shoah non sia mai più possibile».

Incontrando i membri dell’Anti-Defamation League, gruppo fondato negli Stati Uniti nel 1913 da B’nai Brith che intrattiene rapporti con la Santa Sede dai tempi del Concilio, Bergoglio ribadisce che «la Chiesa Cattolica si sente particolarmente in dovere di fare quanto è in suo potere, insieme ai nostri amici ebrei, per respingere le tendenze antisemite». Il rischio non è del tutto astratto, considerando che «l’atteggiamento antisemitico, che nuovamente deploro, in ogni sua forma, come contrario in tutto ai principi cristiani e ad ogni visione che sia degna dell’uomo, è purtroppo, tutt’oggi ancora diffuso», osserva il Pontefice.

Tuttavia, al contrario del passato, la lotta all’antisemitismo si avvale adesso di «strumenti efficaci» come l’informazione e la formazione, utili ad «abilitare la memoria». Il contrasto della diffamazione va di pari passo infatti con «l’impegno ad educare, a promuovere il rispetto di tutti e a proteggere i più deboli», afferma il Papa. Che chiede di «custodire il sacro tesoro di ogni vita umana, dal concepimento sino alla fine, tutelandone la dignità». Questa «è la via migliore per prevenire ogni forma violenta».

Bisogna «mettere a disposizione i mezzi per una vita degna, promuovere la cultura e favorire dovunque la libertà di culto, anche proteggendo i credenti e le religioni da ogni manifestazione di violenza e strumentalizzazione», sottolinea Papa Francesco. Ricorda quindi la sua visita svolta “in silenzio” nel campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau, nell’ambito del viaggio in Polonia del luglio scorso. «Non ci sono parole e pensieri adeguati di fronte a simili orrori della crudeltà e del peccato; c’è la preghiera, perché Dio abbia pietà e perché tali tragedie non si ripetano», commenta il Pontefice.

Citando Giovanni Paolo II, esorta dunque a continuare ad «aiutarci gli uni gli altri». «Se la cultura dell’incontro e della riconciliazione genera vita e produce speranza, la non-cultura dell’odio semina morte e miete disperazione», rimarca. «Di fronte alla troppa violenza che dilaga nel mondo, siamo chiamati a un di più di nonviolenza, che non significa passività, ma promozione attiva del bene». Infatti, «se è necessario estirpare l’erba del male, è ancora più urgente seminare il bene: coltivare la giustizia, accrescere la concordia, sostenere l’integrazione, senza mai stancarsi». Solo così «si potranno raccogliere frutti di pace».

Il viaggio della delegazione dell’Anti-Defamation League – che incontrerà oggi i membri del Pontificio Consiglio per il Dialogo interreligioso, i rappresentanti del governo italiano e della millenaria Comunità ebraica di Roma – era stato anticipato ieri da un commento del rabbino David Sandmel, alla vigilia del viaggio a Roma, pubblicato su Time of Israel. «Andiamo a Roma per mantenere in vita la nostra relazione», scrive nel testo il rabbino per motivare il viaggio del gruppo in Italia. Una relazione, quella tra il popolo ebraico e la Chiesa cattolica romana – afferma – che «è una delle storie più ricche di speranza dell’era post Seconda guerra mondiale». «Dopo secoli di ostilità, a partire dalla promulgazione della Nostra Aetate nel 1965 come parte del Concilio Vaticano II, ebrei e cattolici hanno forgiato un nuovo rapporto di comprensione e di fiducia. È qualcosa che si deve festeggiare, e può rappresentare un modello in questi tempi in cui la divisione sembra essere all’ordine del giorno», scrive Sandmel.

Ricorda poi che ci sono ancora «punti di disaccordo» e «questioni irrisolte» tra la Chiesa cattolica e gli ebrei, come i negoziati per l’accordo formale tra i due Stati e la mancata apertura degli archivi vaticani sull’opera di Pio XII durante l’Olocausto. Tuttavia, afferma il rabbino, ci sono «problemi importanti su cui siamo d’accordo» e sui quali è urgente agire insieme. Ad esempio, scrive, «siamo profondamente preoccupati per la persecuzione dei cristiani in tutto il mondo, il dramma dei rifugiati, e l’ascesa del nazionalismo reazionario in Europa e negli Stati Uniti».

«Sia la comunità ebraica e la Chiesa sono allarmati per l’aumento dell’antisemitismo, dell’islamofobia, dell’estremismo di matrice religiosa e della violenza. Vogliamo che il mondo sappia che la Chiesa e la comunità ebraica sono insieme e lavoreranno insieme per portare la pace e la sicurezza a tutti coloro che hanno paura e le cui vite sono minacciate». Insomma, annunciava rabbi Sandmel, «andiamo a Roma per costruire ponti, per il nostro impegno a collaborare con i leader religiosi e nazionali sui temi più urgenti del nostro tempo, e per far brillare una luce nel buio che ci minaccia in patria e all’estero».

 

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