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Colombia, un processo di pace con aumento dei crimini politici

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Vatican Insider - pubblicato il 09/02/17
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In Colombia, dal 1° dicembre scorso, giorno in cui il Parlamento ha sancito gli «Accordi di pace» tra il governo del presidente Manuel Santos e l’ex guerriglia delle Farc, sino a oggi, sono stati assassinati 17 leader sociali, politici, sindacali e difensori dei diritti umani, tutte vittime della violenza della criminalità organizzata e dalle rappresaglie paramilitari. La conferma di tale tragica notizia che adombra il difficile processo di pace in corso è stata confermata dalle autorità tramite l’unità statale per le vittime e da Peter Maurer, presidente del comitato internazionale della Croce rossa. La preoccupazione nel Paese è in crescita anche perché la stampa locale sottolinea che a queste 17 vittime si devono sommare almeno altri 100/120 omicidi quasi identici nel corso nel 2016, realtà denunciata dall’Alto Commissario Onu per i Diritti umani. 

Il fantasma della storia che si ripete  

L’aumento di questi omicidi è stata una delle questione discusse nel «XVI Vertice dei Premi Nobel» e in particolare da due di loro, Jody Williams e Leymah Gbowee, che si sono espressi con duri richiami al governo: «Non è possibile costruire la pace vera se nel frattempo si permette di uccidere esponenti del popolo». A molti, fuori e dentro della Colombia, in questi giorni sono venuti in mente i 3mila omicidi di membri della Unión Patriótica (Up) dopo il fallito processo di pace ai tempi del presidente Belisario Betancur. L’ondata di crimini si prolungò dal 1984 al 2002, tra le vittime si contarono due politici che preparavano le loro candidature alla presidenza. Nel 2013 il Consiglio di Stato della Colombia ha sentenziato che quello che accadde in quegli anni fu un vero e proprio «genocidio politico». 

Un fenomeno simile, seppure di dimensioni più contenute, si registrò per alcuni mesi dopo il 1990 con il M-19, in seguito al processo di smobilitazione per farlo diventare un partito politico costituzionale, con il nome di Alianza Democrática, dopo il suo passato di gruppo guerrigliero di sinistra. 

Denunce e proteste  

Intanto crescono le polemiche perché, da più parti, si assicura che alle denunce non fanno seguito azioni governative di indagini o inchiesta, oppure la ex guerriglia punta il dito contro i paramilitari mentre questi a loro volta accusano le bande della narco-guerriglia non ancora smobilitate.  

La Chiesa colombiana è vivamente preoccupata per quanto sta accadendo nel paese e tra i molti vescovi che si sono pronunciati sulla questione c’è monsignor Hugo Alberto Torres Marín, vescovo di Apartado. In una dichiarazione il Presule denuncia sostanzialmente due fenomeni gravissimi: da un lato l’esistenza di ampi territori del Paese fuori dal controllo dello Stato e il fatto che gruppi di paramilitari e di narcotrafficanti stiano subentrando nei territori dove la guerriglia si è ritirata. 

Il governo di Santos, che in un primo momento sembrava aver sottovalutato il fenomeno, negli ultimi giorni ha reagito alzando il livello dell’allerta e delle indagini. 

Alle spalle un passato difficile  

Sebbene da anni i media del mondo sottolineino le molteplice forme della violenza in Colombia, in particolare dei gruppi armati di sinistra e di destra nonché dei cartelli del narcotraffico, non sempre si ricorda che questa nazione sudamericana ha alle spalle una storia violenta molto radicata. Tutto cominciò quasi 70 anni fa, quando un esaltato imbevuto di una certa retorica anti-politica, Juan Roa Sierra, uccise un prestigioso e amato uomo politico cattolico: Jorge Eliecer Gaitán, leader del Partito liberale.  

Era il 9 aprile 1948. La reazione della folla fu terribile: l’autore del crimine venne linciato e crocifisso alle porte del palazzo. Quel giorno cominciò un’ondata di violenza inaudita, da allora conosciuta con il nome di «Bogotazo», che non si è mai fermata.  

Per molti anni, fra liberali e conservatori (accusati di essere dietro all’omicidio di Gaitán) fu guerra civile e la storia ufficiale ricorda questo periodo con una dicitura semplice ma significativa: «La violenza». Questa guerra civile non dichiarata si prolungò fino al 1957 quando i due partiti si accordarono per formare un «Frente Nacional» che stabiliva un’alternanza nel potere. Intanto i morti, secondo i calcoli ufficiali, furono quasi 300mila. A questi si devono aggiungere oltre 220mila vittime del periodo successivo, quando entrarono in gioco gli attori di oggi: gruppi armati marxisti-leninisti, paramilitari di estrema destra e signori del narcotraffico. 

In Colombia la pace è due volte più difficile  

Si sa, la pace è difficile, anzi è più difficile che fare la guerra, ma in Colombia, considerata la sua storia degli ultimi settant’anni, questa pace è ancora più difficile perché diverse generazioni hanno conosciuto sempre la guerra, nelle sue molteplici forme: piccole e grandi, nel Paese e nei quartieri, nelle città e nelle campagne, nei media e nelle istituzioni, in pratica ovunque.  

È questa la motivazione di fondo che troviamo nel magistero dei vescovi colombiani quando, con insistenza, chiamano alla conversione dei cuori e al cambiamento di mentalità. In altre parole, seppure importanti e necessari, non bastano gli accordi, i negoziati e i trattati. Occorre andare in profondità, al cuore, l’unico luogo dove, direbbe papa Francesco, la pace è veramente «blindata». 

Ad Assisi, l’anno scorso, papa Francesco disse: «Pace, un filo di speranza che collega la terra al cielo, una parola tanto semplice e difficile al tempo stesso. Pace vuol dire Perdono che, frutto della conversione e della preghiera, nasce dal di dentro e, in nome di Dio, rende possibile sanare le ferite del passato. Pace significa Accoglienza, disponibilità al dialogo, superamento delle chiusure, che non sono strategie di sicurezza, ma ponti sul vuoto. Pace vuol dire Collaborazione, scambio vivo e concreto con l’altro, che costituisce un dono e non un problema, un fratello con cui provare a costruire un mondo migliore. Pace significa Educazione: una chiamata ad imparare ogni giorno la difficile arte della comunione, ad acquisire la cultura dell’incontro, purificando la coscienza da ogni tentazione di violenza e di irrigidimento, contrarie al nome di Dio e alla dignità dell’uomo». 

È questa la vera sfida che il popolo colombiano deve vincere. 

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