«Qui in Sierra Leone noi cattolici viviamo in armonia con i musulmani, ci vogliamo bene e ci rispettiamo: siamo uniti nella diversità. Insieme ne abbiamo passate tante, persino una spaventosa epidemia di ebola due anni fa». Sono parole di padre Vittorio Bongiovanni, missionario saveriano, 76 anni di cui 40 trascorsi nel paese africano dove si è molto speso per salvare i bambini-soldato e dar loro un futuro. Rapito dai ribelli del Ruf (Fronte rivoluzionario unito) durante la guerra civile, da qualche anno risiede a Kabala, popoloso centro situato nel nord: insieme a due confratelli guida l’unica parrocchia presente che – vasta quanto una diocesi italiana – è la più estesa della Sierra Leone e comprende centinaia di villaggi sparsi sulle colline. Nel 2014 padre Vittorio, che è responsabile delle scuole cattoliche della parrocchia, ha ricevuto un prestigioso riconoscimento nazionale: l’università di Makeni lo ha premiato come “persona speciale che si è distinta nella nazione per la promozione dell’istruzione scolastica per moltissimi giovani”.
Insieme contro l’ebola
Le persone di fede islamica in questa zona del paese costituiscono circa l’80-90% della popolazione mentre i cattolici il 2-3%. «I rapporti sono sereni, c’è grande collaborazione tra noi», prosegue padre Vittorio: «Ad esempio, quando il paese è stato colpito dall’epidemia di ebola – una tragedia peggiore della guerra civile – abbiamo pregato tutti insieme e ci siamo coordinati, attraverso un comitato istituito ad hoc, per cercare di contrastare il diffondersi del contagio. I musulmani, in Sierra Leone, sono moderati, aperti, tolleranti. Nei villaggi vi è una bella consuetudine: quando noi cattolici decidiamo di costruire una chiesetta i musulmani contribuiscono alle spese con una donazione e, viceversa, quando loro vogliono costruire una piccola moschea la comunità cristiana fa una colletta e offre la somma raccolta. Non è insolito vedere persone di fede islamica che vengono in chiesa: alla messa di Natale ce n’erano molte. Inoltre, a differenza di quanto accade in altri paesi, qui le conversioni al cristianesimo non sono ostacolate: lo scorso anno 70 musulmani si sono convertiti e hanno chiesto di essere battezzati».
La regola per vivere in pace
Padre Vittorio si dice convinto che per vivere nella concordia si debba seguire una regola: «Bisogna aprire il cuore, cercare di vedere gli aspetti positivi presenti negli altri e costruire le relazioni a partire da questi aspetti. È attraverso il sostegno e il perdono reciproci che gli esseri umani possono edificare comunità coese e pacifiche. A mio giudizio, distinguere e discriminare le persone in base alla fede professata significa ridurre la religione a una cosa meschina».
Sconfiggere la povertà, fermare i barconi
La Sierra Leone sino a pochi anni fa deteneva il triste primato di paese più povero del mondo; adesso non è più all’ultimo posto in questa classifica, ma la situazione resta purtroppo drammatica, sottolinea padre Vittorio. «Per tutti, cristiani e musulmani, sono la miseria, la mancanza di lavoro e di futuro, il nemico da sconfiggere. In questa battaglia, l’educazione è indispensabile, decisiva. Dico spesso che un bambino senza testi scolastici diventerà un adulto senza pane. Nelle nostre scuole ci impegniamo per far emergere e crescere tutto il buono che c’è in ogni scolaro: non stiamo riempiendo bottiglie vuote, le stiamo stappando! Il mio lavoro è aiutare le giovani generazioni ad amare il loro paese, a far fruttare i talenti ricevuti e acquisire conoscenze che possano garantire loro un futuro dignitoso in Sierra Leone. Con la nostra attività educativa lottiamo indirettamente contro i barconi che continuano a giungere in Italia colmi di disperati».
L’insegnante musulmana
Gli istituti scolastici costruiti negli anni dai padri saveriani e di cui padre Vittorio è responsabile sono 49 (43 elementari e 6 medie). Frequentati da migliaia di bambini, hanno classi che, mediamente, sono composte da 70-80 alunni. Nella scuola elementare di Kabala insegna M’balu S. Bangura, musulmana, sposata, madre di due figli, che afferma: «Mi piace molto lavorare in questo istituto, punto di riferimento per oltre mille bambini di fede cristiana e islamica. Fra gli insegnanti, che appartengono a entrambe le religioni, vi è grande concordia e lavoriamo insieme senza difficoltà o attriti. Noi docenti musulmani andiamo in chiesa quando siamo invitati insieme agli allievi e, allo stesso modo, alcuni insegnanti cristiani sono disponibili ad essere presenti quando vi sono programmi nella moschea. Più in generale, posso dire che sia a Kabala sia nei villaggi viviamo in un clima di mutuo rispetto e ammirazione; siamo abituati a stare insieme, a sostenerci gli uni gli altri. E i matrimoni fra cristiani e musulmani non sono rari».
I comandamenti validi per tutti
A proposito dell’attività didattica, padre Vittorio racconta: «Abbiamo rispetto della fede islamica professata dalla maggioranza dei nostri allievi e non facciamo proselitismo, d’altra parte le nostre sono scuole cattoliche: perciò abbiamo deciso che a tutti gli scolari fossero proposti i comandamenti di Dio, che sono validi per ogni essere umano. A questo scopo ho preparato alcuni libretti molto semplici per i bambini, calibrati sulle diverse età, che vengono illustrati e spiegati dagli insegnanti durante le lezioni. Insegniamo anche la preghiera dell’Ave Maria e quella del Padre nostro spiegando che siamo tutti fratelli, e i musulmani, sia gli alunni sia i docenti, le imparano volentieri».
Dignità e lavoretti in parrocchia
La quotidianità di queste scuole racconta il lavoro bello del sapere insegnato e condiviso e la dimensione che le governa: la qualità dell’educazione, non soltanto l’efficienza dell’istruzione. Una dimensione irrinunciabile per i bambini e i ragazzi: «Purtroppo, a causa della povertà, vi sono famiglie che non riescono a mandare i figli (specie le femmine) a scuola né a farli proseguire negli studi sino al liceo», dice padre Vittorio: «Così interveniamo noi garantendo un sostegno economico. Ma non diamo niente per niente: offriamo ai ragazzi e alle ragazze alcuni lavoretti in parrocchia e li ricompensiamo. Quando saranno grandi e avranno una famiglia potranno raccontare con orgoglio ai loro figli che, rimboccandosi le maniche, si sono mantenuti agli studi. È anche così che si prende consapevolezza della propria dignità».
Pregare con il cuore e con la mente
La vita nei villaggi, dove cristiani e musulmani vivono e lavorano fianco a fianco, può essere molto dura: la preghiera sostiene tutti. «Cerchiamo sempre di pregare con il cuore e con la mente», conclude padre Vittorio. «Porto un solo esempio per chiarire cosa intendo: in un villaggio un gruppetto di contadini era in gravi difficoltà economiche perché non riusciva a vendere le arance, che finivano per marcire nei campi: noi abbiamo pregato con il cuore affinché Dio aiutasse queste persone. Poi abbiamo pregato con la testa e ci siamo domandati: perché accade? Abbiamo scoperto che la ragione era la presenza di un torrente, invalicabile per i carretti carichi di frutta. Pregare con la testa, in questo caso, significa dunque costruire un ponte. Ed è ciò che abbiamo fatto».