Come posso godere della bellezza se la mia unica preoccupazione è proteggermi?Sto dando tutto ciò che posso dare? O posso dare di più? Guardo Gesù. Guardo il suo volto che mi guarda tranquillo. La sua voce messa a tacere. Con quel silenzio che mi turba. Lo guardo e temo di rimanere vuoto. Temo di dimenticare il suo passaggio. La sua presenza. La sua voce.
Viene per rimanere con me. E io non lo prendo sul serio. Resto lontano. O torno a sentirmi come quel figlio maggiore che giudica tutto.
Una persona pregava: “Sai che non sono stata tanto generosa nella mia donazione, che anche lì ho cercato me stessa. Ammiro e invidio Sant’Agostino, San Francesco, Santa Maria Maddalena, San Paolo. Non solo perché si sapevano così amati e per la loro grande santità, ma perché una volta riscattati non hanno più guardo indietro, sono sempre andati avanti. Una vita prima, un’altra dopo. Ma io una volta salvata torno sempre a fare le stesse cose. Per questo mi identifico sempre con il peccatore. Ho scoperto un nuovo peccato, mi sono scoperta come il fratello maggiore. Oltre a sentirmi male per questo, vorrei ringraziarti, Gesù, per avermi fatta crescere. Mi hai salvata di nuovo. So che lo dimenticherò, che tornerò a cadere. Ma almeno ora ti rendo grazie”.
Vorrei avere questa onestà per guardare così la mia vita. È la tentazione di sentirmi come quel fratello maggiore che giudica, che non è mai contento, che si aspetta sempre più riconoscimento, più premi, più successi. Come se la vita consistesse in un’infinità di applausi. In una cascata di complimenti.
Mi fa paura cercarmi ogni giorno. Sentire che qualcuno mi deve qualcosa. E che molte delle cose che mi accadono non sono giuste.
Diceva papa Francesco: “Come posso accostarmi a Cristo se penso solo a me stesso? Come posso godere della bellezza della Chiesa se la mia unica preoccupazione è salvarmi, proteggermi e uscire indenne da ogni circostanza? Come posso entusiasmarmi con l’avventura della costruzione del Regno di Dio se ogni entusiasmo viene frenato per la paura di perdere qualcosa di mio?”
Paura di perdere. Paura di non ricevere. Il desiderio che tutto vada sempre bene. L’anelito a non subire mai alcun danno.
Gesù soffre mancanza di difesa, solitudine, oblio, abbandono. E io voglio essere curato, ricordato, salvato. E sento come quel fratello maggiore tanto dimenticato che non vengo preso sul serio.
Penso allora che Gesù non nasce per me. Nasce per altri. Per quelli che trionfano e spiccano. Per quelli che avanzano nella vita. E ho nuovamente bisogno di conversione. Per non pensare tanto a me, alla mia sicurezza.
Mi proteggo e fuggo. Fuggo dai problemi, dal lavoro, dalla vita. Fuggo dal pericolo. Dall’incomprensione. Dal disamore. Cerco la sicurezza e la protezione. Dove non possano danneggiarmi. A volte il mio cristianesimo ha perso forza. Col passare del tempo si è annacquato.
Dimentico che Gesù ha preso la mia anima tra le mani per renderla nuova, per rendermi bambino. E non ricordo più quello che può fare con me se glielo permetto. Non credo più nella sua protezione. Non mi fido delle sue parole e delle sue promesse. Come se dubitassi di tutto.
E ricordo le parole che leggevo: “Il nostro passaggio per la vita, con la sua sofferenza e la morte, non è altro che un cammino di ritorno a Dio. Nel più profondo dell’anima sentiamo di non essere altro che pellegrini. Qualcosa dentro di noi ci dice che Dio stesso è la nostra casa. Ci assicura che Dio ci attende come il padre aspetta il figliol prodigo” [1].
Sono di passaggio. Non ho bisogno che sia tutto sicuro in questa vita tanto fragile. Non conosco il mio ultimo giorno. Ma devo vivere senza paura ogni giorno. Senza giudicare nessuno. Dando con gioia quello che mi è stato dato gratuitamente. Aprendo le mani senza paura. Sostenendo molte persone.
Dio viene a tirarmi fuori dalla mia comodità, dal mio mondo, per rendermi cibo per gli altri, casa per molti. Quel Dio onnipotente si è reso povero e impotente come me. Si è messo al mio posto, nei miei panni. Ha sentito le mie paure, ha sofferto i miei vuoti, ha amato la mia vita, ha accarezzato i miei desideri.
Gesù mi fa provare empatia nei confronti degli altri. Solo Lui mi rende capace di un amore impossibile che dà la vita per gli altri senza paura, senza cercare se stesso. Voglio vivere così. Con questa generosità impossibile. Senza temere la perdita, senza soffrire per i vuoti.
[1] Francisco Jalics, El camino de la contemplación
[Traduzione dallo spagnolo a cura di Roberta Sciamplicotti]