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“Sono bambini! non schiavi”. Un grido contro la tratta

Le immagini riproducono i quadri realizzati nelle attività di arte-terapia di bambine e adolescenti filippine, ospiti del Visayan Forum, un centro di accoglienza protetto per sopravvissute alla tratta

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Marinella Bandini - Aleteia - pubblicato il 06/02/17
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Bambini sfruttati per lavoro e prostituzione. La rete delle religiose “Talìtha Kum” alza il veloVenduti, maltrattati, sfruttati per lavorare o per il sesso. Sono bambini e adolescenti pieni di sogni ma poverissimi, sottratti alle loro famiglie con la promessa di facili guadagni e usati come schiavi sulle piazze del lavoro nero o del sesso. Ogni due minuti, nel mondo, una bambina o bambino è vittima dello sfruttamento sessuale; più di 200 milioni di minori lavorano e uno su tre ha meno di 10 anni. Sono le cifre della “tratta”, che molto spesso riguarda proprio i più piccoli. Per questo, la terza “Giornata mondiale di preghiera e riflessione contro la tratta di persone”, che quest’anno si celebra l’8 febbraio, è dedicata proprio a loro: “Sono bambini! non schiavi”. Per iniziativa di Talìtha Kum – Rete internazionale della Vita consacrata contro la tratta di persone, alcune storie sono state raccolte in un piccolo opuscolo. Raccontano di povertà e desolazione, un cappio che si stringe intorno alle famiglie, spingendo a svendere l’unico tesoro che hanno, i loro figli.

Sono storie che alzano il velo su questo mondo: mostrano il dolore di bambini e famiglie, la crudeltà di chi si approfitta di loro, ma anche l’opera di quanti si impegnano a contrastare questo fenomeno. Racconti, più che cronache, che hanno la capacità di creare empatia e togliere ogni traccia di morbosità. Storie vere, rielaborate dalla penna di un poliziotto italiano, Gianpaolo Trevisi, che sul lavoro ha conosciuto casi simili.

Le immagini riproducono i quadri realizzati nelle attività di arte-terapia di bambine e adolescenti filippine, ospiti del Visayan Forum, un centro di accoglienza protetto per sopravvissute alla tratta

Joyce è orfana e vive in Nigeria con la nonna. A 16 anni segue una donna che le promette lavoro in un ristorante che le lascerebbe il tempo di studiare, il suo sogno. L’illusione dura poco e si ritrova per strada, venduta ogni notte a uomini che si avventano su di lei senza scrupoli. Solo la disperazione le dà la forza per scappare. Affidata ai servizi sociali, le sue ferite vengono alleviate da sorrisi e abbracci e quando è pronta torna nella sua terra, dove oggi lavora… ed è innamorata.

Vittime della prostituzione anche tre cuginette filippine, cedute dalle famiglie a un uomo senza scrupoli: “Probabilmente sia Kaye, Irene e Liza, sia le loro mamme sapevano che avrebbero dovuto mostrare tutto e non solo i loro volti, ma spesso la povertà e la fame sono occhiali scuri in una notte buia (…)”. Ben presto della loro fanciullezza non rimane niente. A liberarle è un’indagine internazionale che porta all’arresto dei loro sfruttatori. Dopo diversi anni, non gli incubi non sono passati, ma le tre cugine aiutano le bambine che rischiano o sono già cadute nella stessa trappola. Lalani frequenta il liceo a Melbourne (Australia), ed è innamorata, quando la sua famiglia, in estate la porta in visita nel paese di origine, in Africa. In realtà qui l’attende un matrimonio con un uomo più grande di lei. Come hanno potuto farle questo? Oggi Lalani è impegnata a far conoscere la realtà delle “spose-bambine”: “Ci sono bambine, ragazze, donne che gli incubi li sognano solo di notte e altre che, invece, li vivono davvero”.

Le immagini riproducono i quadri realizzati nelle attività di arte-terapia di bambine e adolescenti filippine, ospiti del Visayan Forum, un centro di accoglienza protetto per sopravvissute alla tratta

Marcelo è un bambino colombiano. Rimane presto orfano di madre e il padre viene ucciso dalle FARC quando lui ha 4 anni. Viene rimbalzato tra i parenti, finché uno zio lo prende con sé e comincia a portarlo da una fattoria all’altra per lavorare come schiavo nei campi. Quando è più grande lo fa prostituire con altri uomini, finché un giorno lui riesce a liberarsi. Oggi lavora a Bogotà e finalmente può studiare. Viene dalla Romania la storia di Radu. Ha 13 quando una mattina “insieme a un soffio di vento freddo, alla porta di quella casa si avvicinò un uomo”. Tra le lacrime, i genitori gli lasciano Radu, ben sapendo che la promessa di lavoro onesto e guadagni assicurati nascondeva ben altro. Giovanissimo, Radu finisce ai lavori forzati, spesso picchiato e con il cibo appena sufficiente a reggersi in piedi. Fino all’ultimo colpo di piccone, quando ormai sfinito riesce a ritrovare la libertà. Oggi grida a tutti che “i bambini in qualunque angolo della Terra e di chiunque siano figli, devono solo poter studiare, giocare e vivere”.

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