Nessun individuo o gruppo umano si può considerare onnipotente, tantomeno autorizzato a calpestare la dignità e i diritti delle altre persone o comunità. Monsignor Paul Richard Gallagher, il segretario vaticano per i Rapporti con gli Stati, insiste sulla «promozione di una cultura della pace» nella sua lectio di oggi alla Sophia University di Tokyo. Pace che, secondo il ‘ministro degli Esteri’ della Santa Sede, va inquadrata non come «ordinata convivenza fra popoli», bensì come «prevenzione delle cause che possono scatenare una guerra». Un obiettivo, questo, primario per l’ateneo nipponico guidato dalla Compagnia di Gesù che mira alla formazione globale dell’uomo, non trascurando i temi relativi alla vita delle persone e dei popoli.
L’intervento all’Università cattolica è stato uno degli appuntamenti più importanti del viaggio del prelato in Giappone iniziato lo scorso 27 gennaio, che si conclude domani, in occasione del 75esimo anniversario dell’avvio dei rapporti diplomatici tra la Santa Sede e Tokyo (marzo 1942). L’arcivescovo è stato ricevuto nei giorni scorsi dal primo ministro Shinzo Abe e si è recato anche nella Cattedrale di Nostra Signora Assunta (Noboricho); accompagnato dal governatore della regione Hidehiko Yuzaki, ha poi visitato il Memoriale della Pace di Hiroshima – cupola di Genbaku – che commemora il bombardamento atomico del 1945. Anche in quell’occasione, il presule britannico ha lanciato un forte appello alla pace, rimarcando l’urgenza di un impegno mondiale per il disarmo nucleare.
Lo stesso impegno lo ha chiesto questa mattina nella Sophia Universiy, sottolineando che il tema della pace, oltre ad essere uno dei capitoli centrali della dottrina della Chiesa, dovrebbe rappresentare una sorta di agenda per le relazioni tra gli Stati. Una «virtù attiva», ha detto, che chiama in causa ogni singola persona e l’intero corpo sociale soprattutto nell’attuale contesto mondiale dove si combatte una «terza guerra mondiale a pezzi», come la definisce il Papa.
Sono tanti i possibili «perché» di questo conflitto globale. Monsignor Gallagher ne ha elencati alcuni: interessi egoistici, povertà, mancato sviluppo, dominio territoriale, sfere di influenza. «La ricerca della pace – ha affermato – domanda di ritornare alle basi fondamentali delle relazioni umane e quindi recuperare le basi sia dell’ordine interno alle nazioni sia di quello internazionale».
Alla radice della pace c’è la giustizia, ha spiegato il presule. Ognuno ne ha diritto. Come ha diritto a vivere nel rispetto delle relazioni umane e in una cultura di pace, intesa come «rifiuto della guerra». Per questo il modello Onu, pur stabilendo norme e divieti, è testimone di continue violazioni alla pace. Cultura della pace – ha evidenziato Gallagher – deve significare almeno regolamentare l’uso della forza secondo le norme dello ius in bello che proibiscono crimini o atti contro i civili o i feriti e i prigionieri di guerra. Così come il ricorso al negoziato e all’arbitrato.
«La cultura di pace può offrire soluzioni di fronte ad altri problemi o all’attività terroristica che destabilizza la vita interna e internazionale attraverso il timore, la diffidenza e la mancanza di coesione tra i Paesi», ha affermato il prelato. E ha citato la “Dichiarazione sul diritto alla pace” all’esame dell’Assemblea generale dell’Onu che vorrebbe sancire la pace quale aspirazione dei singoli e dei popoli facendo riferimento alla prevenzione della guerra. Si tratta perciò di una concezione positiva della pace legata a presupposti come formazione, educazione, studio, libertà intellettuali e di religione, obiezione di coscienza.
È necessario «educare e investire nei processi educativi, favorendo un’idea di interconnessione dei diversi ambiti del sapere, una rinnovata solidarietà e un maggiore rispetto dei diritti fondamentali», ha sottolineato infatti l’arcivescovo. Qui si inserisce anche l’appello del Papa a «ricollocare le risorse dai conflitti e dagli armamenti verso programmi di sviluppo che possano garantire la piena realizzazione e la crescita di persone e popoli».
«Non si avrà una vera pace senza il riconoscimento di alcuni limiti etici naturali insormontabili e senza l’immediata attuazione di quei pilastri dello sviluppo umano integrale», ha poi chiosato il segretario per i Rapporti con gli Stati. E ha aggiunto: «Cultura di pace significa anche diritto alla restituzione delle case e dei beni a rifugiati e sfollati a causa delle guerre o affrontare la questione delle sparizioni delle persone durante i conflitti». In caso di emergenze umanitarie alimentari o di mobilità, bisogna superare i singoli interessi per guardare alla promozione dei diritti umani e delle condizioni necessarie all’esistenza di tutti. Nessuno escluso.
Tutto ciò si traduce in una «teoria della sicurezza» che – ha concluso Gallagher – richiede quella «audacia creativa» a cui incita costantemente Papa Francesco e alla quale, prima di lui, aspirava Giovanni XXIII scrivendo nella Pacem in terris: «Si affratellino tutti i popoli della terra e fiorisca in essi e sempre regni la desideratissima pace». Senza di questo, la cultura di pace rimane lettera morta.