Ecco cosa ho imparato da loro dopo aver subito degli abusi sessualidi Margarita García
Qual è lo scopo delle nostre ferite (non solo quelle fisiche)? La scrittrice Alba Eden, che ha subito abusi sessuali durante l’infanzia, ha trovato la risposta a questa domanda nell’esempio di alcuni santi, che hanno contribuito a sanare le crepe della sua anima.
“Il perdono testimonia che l’amore è più forte del peccato”, sostiene la scrittrice Alba Eden, autrice di Mi paz os doy (Diana, 2014), che, nel processo di guarigione dagli abusi sessuali subiti durante la sua infanzia, si rese conto che doveva chiedere la grazia di perdonare sua madre, con la quale aveva un rapporto molto difficile.
In questo percorso di perdono e di guarigione, Eden si è sempre sentita accompagnata dai santi. Ma per trarre beneficio dalle grazie che riceviamo attraverso la loro intercessione, sostiene l’autrice, abbiamo bisogno, in primo luogo, di “riconoscere le nostre crepe”.
I santi, che tendiamo a immaginare come perfetti, lo sono davvero, perché “nella loro vita hanno permesso a Dio di perfezionarli e di purificarli”. Ed è questo che i santi hanno insegnato ad Eden: “Che ogni sofferenza ci permette di arrivare ad essere come Colui che ha sofferto sulla croce”.
Le vite di questi “amici di Dio” mostrano – come ha sperimentato l’autrice stessa – che il Signore vuole guarire le nostre ferite. E, cosa ancora più importante, vuole guarirci attraverso di esse, in modo che tutto ciò che abbiamo subito possa servire ad avvicinarci di più a Lui”.
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Non solo nel dolore questi santi si sono uniti ancora di più a Cristo, dando un senso alle loro ferite, ma hanno dimostrato che è possibile perdonare chi ci ha ferito. Anche se, come dice Benedetto XVI, per fare questo “serve dunque una trasformazione dall’interno, un qualche appiglio di bene, un inizio da cui partire per tramutare il male in bene, l’odio in amore, la vendetta in perdono”.
San Sebastiano: Unire le nostre ferite a quelle di Cristo
C’è un amore che soffre, sostiene Eden, che ha portato alcuni santi a identificarsi così tanto in Cristo e nella Sua passione, al punto da mostrare nel proprio corpo ferite e stigmi, come le sante Caterina da Siena, Margherita da Cortona o Gemma Galgani. Tutte loro sperimentarono una “grande gioia per le loro sofferenze, in unione con Cristo”.
Perché Dio ha permesso che alcuni santi partecipassero così strettamente alla Passione di Gesù?
Da un lato, tutti i cristiani sono chiamati a “completare” con le proprie sofferenze, per la loro redenzione, la Passione di Cristo. E a dichiarare, come San Paolo, “sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi e completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa”.
Ne è un esempio San Sebastiano. Solitamente rappresentato trafitto da frecce, la cosa più interessante di questo santo non è che subì torture terribili, ma che poté sopravvivere ad esse. Santa Irene si prese cura di lui e ne guarì le ferite. “Sebastiano deve aver capito che Dio lo aveva curato per compiere una missione”, spiega Eden.
E questa missione fu incontrare Diocleziano, l’imperatore che ordinò il martirio suo e di migliaia di cristiani, per avvertirlo che la sua anima era in pericolo.
Diocleziano, vedendolo vivo, ordinò che fosse flagellato a morte. Per Eden Sebastiano rappresenta “un’allegoria di ciò che accade a chi ha subito abusi sessuali: di tanto in tanto rivive le proprie sofferenze, traumi e ferite come un ‘secondo martirio’, come è successo a San Sebastiano”.
Tuttavia, rivivere periodicamente il proprio dolore “permette alla persona di avere un’idea migliore di chi essa sia e di cosa gli sia successo. In questo modo la sofferenza si avvicina ancora di più alla redenzione e ci guarisce”.
S. Giuseppina Bakhita: Recuperare in Dio la nostra identità
Questa santa africana ricorda nei suoi scritti come, con una pistola e un coltello puntati verso di lei, non fu in grado di gridare né di dire il suo nome. Racconta Eden che la paura estrema portò S. Giuseppina Bakhita a dimenticare il nome le misero i suoi genitori e a ricordarsi solo Bakhita, come la chiamavano i suoi rapitori. Ebbe una perdita di identità, cosa condivisa da molte vittime di traumi infantili.
Bakhita fu trattata come una merce: in sei anni, fu venduta più volte. Questo comportava venire esposta nuda davanti agli acquirenti, esperienza che, indubbiamente, rese più profonde le sue ferite interiori.
Ma ciò che ha permesso a Bakhita di raggiungere la santità non è stata l’esperienza della schiavitù, ma la consapevolezza di essere redenta, sostiene Eden. Ebbe una gioventù fatta di abusi e sofferenze, ma la sua vita adulta è un grande esempio di guarigione e di perdono.
Ricevette la fede durante una di queste vendite, quando alcune suore si presero cura di lei su ordine dei padroni. Da quel momento imparò, poco a poco, l’amore del Padre, che gli permise di “trovare la propria identità all’interno della famiglia di Dio“, scrive Eden. Fu proprio in questa famiglia che poté incontrare un Padre che l’amava e una fede che le permise di perdonare i propri aguzzini.
Sant’Ignazio di Loyola: Affidiamo i nostri ricordi a Dio
I ricordi (tutti, che siano ben impressi nella nostra memoria o meno) sono il fondamento della nostra identità. E di fronte ad eventi traumatici come la perdita di una madre in giovane età o a una ferita di guerra (come accadde a S. Ignazio di Loyola), la nostra mente cerca di nascondere la memoria degli eventi più dolorosi; ma che li ricordiamo o meno, questi “rimangono in noi”, continua Eden.
Sant’Ignazio decise dunque di affidare a Dio la sua memoria, la sua libertà, la sua mente e tutto il suo essere… Tutto ciò che del passato non si poteva cambiare, che sarebbe rimasto lì e che comunque lo rese ciò che era. Sant’Ignazio si abbandonò alla provvidenza di Dio e riconobbe che, nella sua vita, ci furono dei momenti bui.
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Pertanto, per fare un primo passo nel perdonare noi stessi, chi ci ha fatto del male o addirittura Dio (perché a volte non capiamo che Egli permetta il dolore), possiamo seguire l’esempio del santo, che “ha scoperto che lo Spirito Santo è riuscito ad utilizzare tutte le esperienze che lo avevano formato per condurlo all’amore di Cristo”. I ricordi non sono dei nemici ma, come ha spiegato Benedetto XVI, “la memoria e la speranza sono inseparabili” e, di conseguenza, “prendersela con il proprio passato non dà alcuna speranza, anzi, distrugge le nostre fondamenta emotive”.
Santa Maria Goretti: Il perdono è più forte di qualsiasi peccato
Il Catechismo dice: “Non è in nostro potere non sentire più e dimenticare l’offesa; ma il cuore che si offre allo Spirito Santo tramuta la ferita in compassione e purifica la memoria trasformando l’offesa in intercessione”. Secondo Eden, questo non significa che il perdono non comporti sofferenza, ma che l’unione con Cristo esige un martirio interiore. Uno di quei martiri che testimonia che il perdono è possibile è Santa Maria Goretti, “martire della castità”.
Goretti resistette più volte ai tentativi di abuso da parte di Alessandro, il giovane vicino di casa della famiglia Goretti. Un giorno, con in mano un punteruolo, la costrinse ad arrendersi per salvarsi la vita; la Goretti rispose che lui sarebbe andato all’inferno se l’avesse violata. Si preoccupò dunque per l’anima di Alessandro. Il giorno successivo la Goretti morì per le ferite ricevute, perdonando il suo assassino ed esprimendo il desiderio di vederlo in Cielo insieme a lei.
La castità trova la sua massima espressione nella misericordia: il perdono esercitato da un cuore ferito fa sì che il corpo assomigli sempre più al Cristo risorto.
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[Traduzione dallo spagnolo a cura di Valerio Evangelista]