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Come un bambino affamato mi ha insegnato la brutta verità su me stessa

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Simone Lorenzo - pubblicato il 30/01/17
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…e mi ha dato qualcosa di più prezioso di quello che gli ho dato ioNon è forse così normale, in città come New York, Washington, o Houston, vedere bambini senzatetto. Me nelle città del terzo mondo sono ovunque. Purtroppo, molti di essi vengono sfruttati da gruppi criminali come quelli che si leggono nei romanzi di Dickens, che utilizzano l’apparente vulnerabilità dei bambini per portare a pietà i passanti. A Manila ho incontrato molti di questi bambini, ma ce n’è uno che mi ha toccata particolarmente per ciò che mi ha insegnato sul cuore dell’uomo.

Era una notte piovosa. Mi trovavo nella mia macchina, a un incrocio, in attesa che il semaforo diventasse verde. Tutto ad un tratto, ho sentito un colpetto sul finestrino. Era un bambino di nove o dieci anni, che chiedeva l’elemosina.

I suoi vestiti erano a brandelli, ed era praticamente scalzo. Vederlo così mi lacerava il cuore, mi faceva male vederlo soffrire; eppure, avevo paura di rivolgermi a lui.

E se poi dovesse chiedere di più? E se dovesse spendere in droga il denaro che gli do, oppure se dovesse darlo a sua volta a un adulto senza cuore che lo ha messo lì? E se l’adulto in questione lo stesse usando per commuovere delle persone ignare come me?

Non volevo dargli dei soldi. Mi venne in mente che sul sedile posteriore c’era un hamburger che non avevo ancora mangiato. Dare del cibo sarebbe stato un dono migliore e più sicuro del denaro, pensai.

Abbassai il finestrino, gli diedi l’hamburger e sorrisi. Anche lui sorrise, sotto la pioggia battente.

Il mio cuore riprese a battere all’impazzata. “Come può sorridere per un dono così piccolo?”

Improvvisamente sentii che stavo facendo qualcosa di sbagliato. Mi sono sentita insensibile, impotente e inutile. Avrei dovuto fare di più per lui, mi sono detta. Fece eco un’altra voce: “Se facessi di più per lui, dovrei farlo anche per le migliaia, se non milioni, di bambini di strada come lui. Questo è un problema troppo grande, non posso risolverlo io”.

Con un po’ di senso di colpa, sperai che almeno il mio sorriso gli potesse trasmettere che mi importava di lui. Eppure, quel mio interesse mi sembrava ingiusto, paternalistico, finto. Il mio sorriso sembrava più una maschera per nascondere la mia colpa e la mia paura, piuttosto che l’espressione di solidarietà.

Se fossi stata nei suoi panni, probabilmente mi sarei offesa per tutti coloro che, dentro un’auto con quella pioggia battente, si sarebbero limitati a darmi un misero panino freddo. Ma lui stava contraccambiato al sorriso, e i suoi occhi brillavano di gratitudine e sincerità.

Il semaforo diventò verde, segnalando la fine del nostro scomodo incontro. Guardando indietro verso di lui, lo vidi fare cenno a qualcuno in lontananza. Che fosse il suo padrone?

No. Un altro ragazzo di strada, più piccolo di lui, arrivò di corsa. Appena lo raggiunse, il primo ragazzo scartò l’hamburger, lo divise a metà, e ne diede una parte al suo giovane amico. Per la terza volta, ebbi un sussulto.

Mi chiesi: “Come può una persona che non ha nulla… un bambino con niente per sé… come può condividere quel poco che aveva? E io, dalla mia comoda macchina, mi preoccupavo che lui avrebbe potuto approfittarsi di me?”

In quel momento compresi una brutta verità su me stessa. Ho capito quanto la paura e il sospetto si fossero infiltrati nel mio cuore. Ho visto quanto facilmente avessi permesso che gli stereotipi della società ferissero la mia capacità di dare. Ho visto la mia piccolezza e la vuotezza nella mia anima. Sotto il mio sorriso si nascondeva una persona povera, ancor più a brandelli del ragazzo che mi sorrise per ringraziarmi di quel piccolo panino.


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Ma quell’incontro è diventato anche un’icona, per me. Mi ha mostrato tutto ciò di bello e pieno di speranza nel cuore dell’uomo. E mi ha mostrato che c’è ricchezza anche in coloro che sembrano non avere nulla.

Quell’anonimo ragazzo mi ha dato qualcosa di molto più prezioso di quello che ho potuto dargli io. Mi ha offerto uno scorcio dell’impulso più profondo dell’umanità. Un impulso più profondo della fame: l’impulso di amare.

[Traduzione dall’inglese a cura di Valerio Evangelista]

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