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La storia pro-vita più felice e ispiratrice che sentirete oggi

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Sherry Antonetti - pubblicato il 26/01/17
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A volte la cosa migliore che puoi fare per la causa pro-life è semplicemente “sorridere ed andare nel mondo là fuori”.Ho partecipato a marce, ho pregato nelle cliniche. Ho scritto articoli e lettere al direttore. E ho 10 bambini. Ma la testimonianza più efficace che io abbia mai dato alla causa pro-life è stata quando non ho fatto nient’altro che provare a non sentirmi sola.

Quando nel 1993 sono diventata madre, ho sentito il mondo chiudersi attorno a me. Così sono andata alla ricerca di connessioni, conversazioni da adulti e di quant’altro potesse aiutarmi a distinguere un giorno da quello seguente, nel tentativo di riprendermi dalla gravidanza e di riuscire a vivere da mamma a tempo pieno.

Un giorno vidi la portinaia del nostro condominio, sembrava che avesse appena pianto. Le chiesi quale fosse il problema. Lei mi rispose: “Tu”.

Non capii, ma lei mi invitò a sedermi accanto a lei e parlare un po’. Scoprii che si era appena lasciata con il fidanzato e aveva scoperto, in seguito, di essere incinta. Due amiche già si erano proposte di accompagnarla ad abortire, ma lei disse che vedere mio figlio tutti i giorni, con quel sorriso e quella vitalità, le impediva di farlo. Non ci riusciva.

La reazione che ebbe nei miei confronti mi fece pensare alla reazione che ebbi io nei confronti di qualcun altro: avevo deciso di essere una mamma a tempo pieno perché, all’asilo nido, avevo visto un bambino e ammirato i suoi sorrisi. Non potevo non stare con mio figlio, non ci riuscivo proprio. I sorrisi di quel bambino sconosciuto mi hanno portata a stare a casa, e quindi all’essere disperatamente sola… e questo a sua volta mi ha portata a condividere i sorrisi di mio figlio con quella portinaia incinta. L’ho abbracciata e abbiamo pianto insieme.


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Abbiamo parlato di cosa avrebbe potuto fare. Non avevo mai dato prima questo genere di consigli, a nessuno. Ma io e lei, quel giorno, stabilimmo un piano. Avrebbe dovuto chiamare un medico per farsi controllare, chiamare i suoi e chiedere il loro sostegno, e infine chiamare il suo ragazzo per fargli conoscere la situazione. Non sapevo cosa sarebbe successo, ma le ho detto che saremmo stati lì per lei, a prescindere. Diede un bacio a mio figlio e si asciugò gli occhi.

Me ne andai pensando che la solitudine di una neo-mamma a tempo pieno era niente, in confronto alla sua. Nella settimana seguente piovve molto, quindi non mi feci la mia passeggiata quotidiana. Le poche volte che l’andai a cercare in ufficio, lei non era lì. Ero preoccupata.

Ma quando la vidi la volta seguente, aprì la porta e mi abbracciò. Erano tutti lì, per lei: il suo ragazzo e i suoi genitori. Ora, al posto della solitudine, c’era una famiglia pienamente coinvolta e attiva, che aspettava con impazienza la nascita del bambino. I due si sposarono e, prima che mi trasferii lontano, ebbero un figlio e una figlia. I sorrisi di mio figlio permisero ai sorrisi di altri due bambini di conoscere il mondo. Il che significa tutta una serie di sorrisi per la mamma, per il papà e per i nonni.

Non fu una marcia, una protesta o la pressione mediatica a vincere il cuore di una donna con una gravidanza combattuta. È stata la semplice presenza. Dunque, mentre marciamo per tutti coloro che non hanno avuto la possibilità di vivere, o che sono stati feriti dall’aborto (i padri, le madri, i fratelli e tutti gli altri), e mentre speriamo che vengano tolti i fondi a Planned Parenthood, dovremmo riconoscere l’altro lato dell’essere a favore della vita. Dobbiamo essere più pro-vita nella quotidianità, e non limitarci a protestare.

Sorridi ed esci, va nel mondo. E sappi che Dio ti metterà dove potrai essere più efficace.

[Traduzione dall’inglese a cura di Valerio Evangelista]

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