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Il Papa su Trump: bisogna essere concreti, vedremo ciò che farà

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Andrea Tornielli - Vatican Insider - pubblicato il 22/01/17
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L’intervista di Francesco con «El País». Sui populismi cita l’esempio della Germania nel 1933: «Il pericolo in tempo di crisi è cercare un salvatore che ci restituisca l’identità e ci difenda con muri»Nessun commento preventivo, nessun giudizio positivo o negativo in astratto su Donald Trump. Ma il richiamo al realismo e a quella concretezza che dovrebbe sempre guidare il cristiano: vedremo ciò che farà. Sul neo-presidente americano Papa Francesco si attesta sulla linea già espressa all’indomani dell’elezione dal Segretario di Stato Pietro Parolin. È quanto emerge dalla lunga intervista pubblicata domenica 22 gennaio sul quotidiano spagnolo «El Pais». Intervistato a Casa Santa Marta nel pomeriggio del 20 gennaio da Pablo Ordaz e Antonio Caño, proprio mentre Trump si apprestava, giurando sulla Bibbia, a diventare il quarantacinquesimo presidente degli Stati Uniti, Francesco ha parlato a lungo di populismi, migranti, riforme nella Chiesa, di un possibile viaggio in Cina e ha risposto anche a una domanda sul futuro conclave.

Realismo su Trump
«Vedremo che succede. Ma spaventarsi o gioire per ciò che potrebbe succedere credo che significherebbe cadere in una grande imprudenza. Nell’essere profeti o di calamità o di benessere che poi non si verificano, né l’una né l’altro. Si vedrà. Vedremo che fa e allora si valuterà. Sempre il concreto. Il cristianesimo o è concreto, o non è cristianesimo… Cose concrete. E dal concreto tiriamo le conseguenze. Noi perdiamo molto il senso della concretezza. L’altro giorno un pensatore mi diceva che questo mondo è così disordinato perché manca di un punto fisso. Ed è proprio il concreto che ti dà i punti fisi. Che cosa hai fatto, che cosa hai deciso, come ti muovi. Per questo di fronte a ciò io aspetto e vedo».

I populismi e la Germania nel 1933
«Tanto in Europa come in America, le conseguenze di una crisi che non finisce mai, l’aumento della disuguaglianza, l’assenza di leadership solide stanno dando spazio a formazioni politiche che raccolgono il malessere dei cittadini. Alcune di quelle – che vengono chiamate antisistema o populiste – approfittano della paura della cittadinanza di fronte a un futuro incerto per costruire un messaggio xenofobo, di odio verso lo straniero… Le crisi provocano paura, apprensioni. Per me l’esempio più tipico dei populismi nel senso europeo della parola è l’anno 1933 tedesco. Dopo Hindenburg, la crisi del ’30, la Germania strozzata cerca di risollevarsi, cerca la sua identià, cerca un leader, qualcuno che le restituisca l’identità e c’è un ragazzotto che si chiama Adolf Hitler che dice: “Io posso, io posso”. E tutta la Germania vota Hitler. Hitler non ha rubato il potere, è stato votato dal suo popolo, e dopo ha distrutto il suo popolo. Questo è il pericolo. Nei momenti di crisi non funziona il discernimento… Cerchiamo un salvatore che ci restituisca l’identità e ci difendiamo con muri, con fili di ferro, con qualunque cosa, dagli altri popoli che ci potrebbero togliere l’identità. Questo è molto grave. Perciò io sempre cerco di dire: dialogate tra voi, dialogate tra voi. Il caso della Germania nel 1933 è tipico, un popolo che era in crisi, che ha cercato la sua identità, ed è apparso questo leader carismatico che ha promesso di dargli un’identità, e gli ha dato un’identità distorta e sappiamo che cosa è accaduto. Le frontiere possono essere controllate? Sì, ogni Paese ha il diritto a controllare le proprie frontiere, chi arriva e chi esce, e i Paesi che sono in pericolo – per il terrorismo o cose del genere – hanno maggiore diritto a controllarle di più, ma nessun Paese ha il diritto di privare i suoi cittadini del dialogo con i propri vicini».

La Chiesa e le risposte sui migranti
«Grazie a Dio la risposta in generale è buona. È molto buona. Ad esempio, quando ho chiesto alle parrocchie di Roma e agli istituti, c’è stato chi ha detto: “questo è stato un fallimento”. Bugia! Non c’è stato alcun fallimento! In un’alta percentuale delle parrocchie di Roma, quando non c’è una casa grande a disposizione o la canonica è piccola, i fedeli affittano un appartamento per una famiglia di migranti. Negli istituti di suore, quando avanza spazio, hanno preparato un luogo per famiglie di migranti… La risposta è maggiore di quanto si crede, e non viene data pubblicità. Il Vaticano ha due parrocchie e ogni parrocchia ha una famiglia di migranti. Un appartamento per ognuna. Si è risposto in continuazione. Il 100 per cento no. Quale percentuale non lo so, però direi il cinquanta per cento. Poi c’è il problema dell’integrazione. Ogni migrante rappresenta un problema molto serio. Loro fuggono dai loro Paesi, per la fame o la guerra. Allora la soluzione bisogna trovarla là. Sono sfruttati per fame o per la guerra. Penso all’Africa: l’Africa è il simbolo dello sfruttamento. Nel dare l’indipendenza qualche Paese si è riservato il sottosuolo. Cioè sono sempre usati e schiavizzati… Allora la politica di accoglienza ha varie tappe. C’è un’accoglienza di emergenza: bisogna accoglierlo e bisogna farlo perché sennò annega. In questo l’Italia e la Grecia hanno dato un esempio molto grande. L’Italia, anche ora, con i problemi che sta avendo con il terremoto continua a preoccuparsi di loro. Li riceve».

«Non sto facendo alcuna rivoluzione»
«Io ci provo, non so se ci riesco, di fare quello che comanda il Vangelo. Sono un peccatore e non sempre ci riesco, però è quello che cerco. È curioso: la storia della Chiesa non l’hanno portata avanti i teologi, o i preti, o le suore, o i vescovi… sì, in parte sì, ma i veri protagonisti della storia della Chiesa sono i santi. Cioè quegli uomini e donne che hanno consumato la loro vita perché il Vangelo fosse concreto. E questi ci hanno salvato: i santi… I santi sono i concreti del Vangelo nella vita quotidiana! E la teologia che uno trae dalla vita di un santo è molto grande. Evidentemente i teologi e i pastori sono necessari. Sono parte della Chiesa. Ma bisogna andare a questo: al Vangelo. E chi sono i migliori portatori del Vangelo? I santi. Lei ha utilizzato la parola “rivoluzione”. Questa è rivoluzione! Io non sono santo. Non sto facendo alcuna rivoluzione. Sto cercando che il Vangelo vada avanti, ma in modo imperfetto, perché a volte faccio scivoloni».

«Non mi sento incompreso»
«Credo che per i miei peccati dovrei essere più incompreso. Il martire dell’incomprensione è stato Paolo VI. Evangelii gaudium, che è nel segno della pastoralità che vorrei dare alla Chiesa oggi, è un’attualizzazione di Evangelii nuntiandi di Paolo VI. È un uomo che ha anticipato la storia. E ha sofferto, ha sofferto molto. È stato un martire. Molte cose non le ha potute fare, perché siccome era realista sapeva che non poteva e soffriva, ma offriva questa sua sofferenza. Quello che ha potuto fare lo ha fatto. E ciò che di meglio ha fatto Paolo VI è stato seminare. Ha seminato cose che poi la storia è andata raccogliendo. Evangelii gaudium è una mescolanza di Evangelii nuntiandi e del documento di Aparecida. Cose che sono state lavorate dal basso. Evangelii nuntiandi è il miglior documento pastorale postconciliare e non ha perso attualità. E io non mi sento incompreso. Mi sento accompagnato, e accompagnato da ogni tipo di gente, giovani, vecchi… Se qualcuno non è d’accordo, ne ha il diritto, perché se io mi sentissi male a motivo del disaccordo di qualcuno avrei in me il germe del dittatore. Hanno il diritto di non essere d’accordo. Hanno il diritto di pensare che il cammino sia pericoloso, che possono esserci cattivi risultati… Hanno diritto. Ma sempre nel dialogo, senza tirare la pietra e nascondere la mano, questo no. A questo non ha diritto alcuna persona umana. Tirare pietre e nascondere la mano non è umano, è delinquenza. Tutti hanno il diritto a discutere, e magari discutessimo di più, perché questo ci accomuna, ci affratella. La discussione affratella molto. La discussione con buon sangue, non con la calunnia e cose simili».

«Pronto ad andare in Cina quando mi invitano»
«C’è una commissione che sta lavorando con la Cina e che si riunisce ogni tre mesi, una volta qui e un’altra a Pechino. C’è molto dialogo con la Cina. La Cina ha sempre un alone di mistero che è affascinante. Due o tre mesi fa, con la mostra dei musei vaticani a Pechino, erano contenti. E loro verranno l’anno prossimo qui in Vaticano con i loro musei… Andare in Cina? Quando mi inviteranno. Lo sanno loro. Comunque in Cina le chiese sono piene. Si può praticare la religione in Cina».

La Teologia della Liberazione
«La Teologia della Liberazione è stata positiva in America Latina. È stata condannata dal Vaticano la parte che ha optato per l’analisi marxista della realtà. Il cardinale Ratzinger ha fatto due istruzioni quando era Prefetto della Dottrina della fede. Una molto chiara sull’analisi marxista dela realtà. E la seconda riprendendo aspetti positivi. La Teologia della Liberazione ha avuto aspetti positivi come pure deviazioni, soprattutto nella parte di analisi marxista della realtà».

Il Papa si sente «usato» da alcuni argentini
«Alcuni mi dicono: “facciamo una foto ricordo, e le prometto che è solo per me, non la pubblico”. E prima di uscire dalla porta l’hanno già pubblicata. Bene, se li fa contenti, il problema è loro. Si sminuisce la qualità di questa persona. Chi usa ha poca statura. Che posso farci, il problema è suo, non mio. Vengono molti argentini all’udienza generale. In Argentina sempre c’è stato molto turismo ma ora passare all’udienza generale del Papa è quasi obbligatorio. Vengono qui miei amici – ho vissuto 76 anni in Argentina – a volte la mia famiglia, alcuni nipoti. Però vengo usato, sì, c’è gente che mi ha usato, ha usato foto, come se io avessi detto certe cose e quanto mi domandano sempre rispondo: non è un problema io, non ho fatto dichiarazioni, questo lo ha detto lui, è un problema suo. Ma non entro nel gioco dell’usare».

Un conclave cattolico
I giornalisti del «Pais» ricordano al Papa che ha creato cardinali dei cinque Continenti e gli chiedono come vorrebbe che fosse il conclave che eleggerà il suo successore. «Che sia un conclave cattolico», risponde Francesco. E alla domanda: “lei lo vedrà?”, il Papa replica: «Questo non lo so. Che lo decida Dio. Quando sentirò di non essere più in grado, il mio grande maestro Benedetto mi ha insegnato come bisogna fare. E se Dio mi solleva prima, lo vedrò dall’altro lato. Spero non dall’inferno… Ma che sia un conclave cattolico».

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