Se la maternità è legata alla natura, essere padri è un atto di volontà. La riedizione di un saggio di Luigi Zoja lo spiegaCosa ci distingue dagli animali? Anche dalle grandi scimmie antropomorfe? In natura la femmina si occupa istintivamente della prole, non così il maschio praticamente sempre assente, ma non nella specie umana. Anzi la “scoperta”, l’invenzione della “paternità” è la grande molla che fa scattare il progresso dell’intera specie. E’ passando da questa splendida e suggestiva ipotesi che Luigi Zoja, psichiatra, ricostruisce la parabola del “padre” nella storia sociale e psichica dell’umanità in un saggio, molto denso ma appassionante, dal titolo “Il gesto di Ettore. Preistoria, storia, attualità e scomparsa del padre“, edito da Bollati Boringhieri nel 2016 dopo una prima edizione (ora riveduta e ampliata) agli albori del XXI secolo.
Zoja indaga la figura del padre attraverso quattro fasi. Gli albori nella preistoria e protostoria, dove l’umanità si scopre come non solo parte della natura, ma anche come essere culturale, in cui il genitore maschio scopre e interiorizza il suo ruolo come atto di volontà, e dunque intellettuale, esce così dal mero istinto riproduttivo e assurge a figura di riferimento per la prole. Mentre per le femmine il legame tra loro e i figli è fisico, sanno bene da dove essi vengono come parte del proprio corpo, il maschio deve accettare l’incontro con questa nuova vita quando accetta che il suo seme e quel bimbo sono legati in maniera indissolubile. In un certo senso ogni padre, è un padre adottivo come capiranno a Roma.
C’è poi – appunto – la fase dell’antichità, dove la Grecia e la romanità svolgono un ruolo di stabilizzazione fortissima del ruolo del padre, instaurando la cosiddetta società patriarcale. I primi imponendo il dominio del maschio sulla femmina, e la sua “superiorità”, i secondi definendo che i figli appartengono al padre e dunque stabilendo la superiorità di esso sulla prole. Sono modelli che trovano nella virilità e nella forza la loro stabilità e – per molti aspetti – hanno ancora una attrattiva per l’essere padre oggi, l’insicurezza sull’identità del padre tipica del periodo preistorico viene qui superata e cantanta nei poemi e nelle tragedie. Il padre assume la statura dell’autorità per eccellenza.
Col cristianesimo e poi con l’età moderna, il ruolo del padre nell’immaginario collettivo inizia una lenta ma progressiva contrazione. L’uguaglianza stessa, predicata dalla Chiesa, tra il Padre e il Figlio nel Concilio di Nicea, dice qualcosa di innovativo, il figlio è come il padre, il Figlio è il centro del Creato (tutto è stato creato per Lui e per mezzo di Lui ci dice Col 1, 16). Non è una mancanza di rispetto, ma una rinegoziazione di una simbologia che fino ad allora – e ancora per molto tempo – aveva dominato l’area del Mediterraneo. La crisi della figura paterna, quella vera e propria, arriverà solo tra XIX e XX secolo, ma l’età delle Rivoluzioni contro il Sovrano nel XVIII secolo sono le prime avvisaglie.
Ma oggi? Alla crisi del matrimonio corrisponde una crisi della figura del padre, che spesso viene come “reciso” dalle vite dei figli, condannandoli a poche ore a una presenza vaga. Cosa accade all’uomo d’oggi senza più un ruolo e sempre più relegato a fare il “mammo”, piuttosto che il “padre”? Certamente egli deve trovare un modo nuovo per porsi in questo nuovo tempo, scoprendo in se stesso un modello e un interlocutore di nuovo tipo con il figlio. Non vuol dire togliersi il privilegio della tenerezza, così come non deve più tornare a porsi con il distacco “dell’armatura di Ettore”, che Omero vagheggia in quel canto dell’Iliade in cui il principe troiano prende il proprio figlioletto appena nato e chiede per lui la benedizione degli dèi, ancora vestito per la battaglia, quella che infuria fuori dalla porta di casa. Metafora potente per quella “doppia morale” che spesso esigiamo dai padri: mite con noi, forte, quasi violento, nella vita, nella carriera, negli affari. Metafora introiettata a tal punto nella psiche, che ancora oggi ci attira e tutti vogliamo un “padre-eroe”, specie nella fanciullezza.
Capire da dove viene la paternità, quanto sia importante, quanto sia diversa perché complementare alla maternità è uno straordinario viaggio indietro nel tempo fino all’infanzia, tanto dell’umanità quanto di ciascuno di noi. Una lettura che può stimolare molte riflessioni, ricordando al credente, però, quanto non emerge nel libro di Zoja: Cristo dice “chi vede me, vede il Padre“, e l’amore, la compassione, la misericordia, ma anche la perfetta postura morale, senza doppiezza, di Gesù ci dice qualcosa su come deve essere questo “Padre” che è nei cieli. E come dovremmo esserlo tutti noi…