Condanna di Paolo Cipriani, ex direttore generale dello Ior, a un anno di reclusione, e del suo vice, Massimo Tulli, a dieci mesi. È quanto chiesto oggi dal pm della procura di Roma Stefano Rocco Fava al processo sulle presunte omissioni (violazione delle norme antiriciclaggio) legate a operazioni ritenute sospette e culminate, nel 2010, nel sequestro di 23 milioni di euro, poi restituiti alla banca della Santa Sede.
«Lo Ior – ha detto il pm Fava durante la requisitoria – è luogo dove nascondere danaro di provenienza illecita. L’istituto di credito si è sempre relazionato con le banche italiane senza fornire alcun tipo di informazione».
Il processo ha preso spunto dall’inchiesta che ha riguardato la violazione, da parte della banca vaticana, degli obblighi previsti dalle norme antiriciclaggio con particolare riferimento alla richiesta al Credito Artigiano di trasferimento di 23 milioni di euro alla tedesca J.P. Morgan Frankfurt (20 milioni) e alla Banca del Fucino (tre milioni).
«Cipriani e Tulli – ha aggiunto il rappresentante dell’accusa – avevano detto che quelli erano soldi di proprietà dello Ior e non di soggetti terzi. Ma non era vero e nel 2014 i successori indicarono i nomi dei proprietari di quelle somme, e tra questi non figurava lo Ior». Non solo per il pm Fava gli imputati hanno mentito anche quando «hanno escluso che presso lo Ior ci fossero conti intestati a laici e depositati soldi di provenienza illecita». «Invece – ha sottolineato – allo Ior c’erano non solo posizioni riferite a soggetti che nulla avevano a che fare con lo Stato Città del Vaticano o con strutture ecclesiastiche, ma addirittura ancora oggi risultano aperti conti dell’imprenditore Angelo Proietti, il quale ha patteggiato una bancarotta per il fallimento di una sua società e che ha ancora conti presso il Vaticano». Il processo proseguirà il 23 febbraio con le arringhe dei difensori.