Le celebrità non vengono? Meglio così. Sarà una Inauguration plebea, come vogliono i suoi elettori. L’era di Donald Trump comincia oggi a mezzogiorno con questo slogan, coniato dai portavoce un po’ per difenderlo dalla sua impopolarità, e un po’ per riaffermare la sua differenza.
La giornata inizierà con una preghiera, e poi un tè alla Casa Bianca con la First Lady Melania, Barack e Michelle Obama. Insieme andranno a Capitol Hill per il giuramento, che Donald farà posando la mano su due bibbie: quella di Lincoln, e quella che sua madre gli aveva regalato il 12 giugno del 1955, quando si era diplomato alla Sunday Church Primary School della First Presbyterian Church, nel quartiere Jamaica del Queens. Poi il discorso, che secondo il nuovo portavoce della Casa Bianca Sean Spicer durerà circa 20 minuti, meno del solito, e rappresenterà «un documento filosofico. Non un elenco dei suoi programmi, ma un richiamo ai valori che ci uniscono». Libertà, economia di mercato, anche la fede. Secondo il presidente del comitato organizzatore, Tom Barrack, si vedrà «il passaggio da candidato a presidente».
L’inno nazionale lo canterà l’adolescente Jackie Evancho, mentre fra i leader religiosi ci saranno il cardinale cattolico di New York Dolan, Marvin Hier del Wiesenthal Center, e Franklin Graham. Proprio lui, figlio del reverendo dei presidenti Billy, ha cercato di aiutarlo così: «Non è stato Trump a dividere questo paese, lo era già da molto tempo». Vero, ma il problema ora è capire se lui saprà curare questa ferita, oppure la manderà in cancrena.
È un presidente di minoranza, che ha perso il voto popolare con 3 milioni di consensi in meno rispetto a Hillary, ed entra alla Casa Bianca con un indice di impopolarità del 48%, il più alto degli ultimi 40 anni. Iniziare così forse aiuta, perché partendo da aspettative tanto basse è più facile risalire. Però confondere la vittoria nel collegio elettorale con l’investitura per un mandato rivoluzionario potrebbe demolire la costruzione sociale americana.
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Circa 800mila persone sono attese ad applaudirlo. Due concerti al Lincoln Memorial, «Voices of the People» e «Make America Great Again! Welcome celebration», lo hanno festeggiato già ieri, tra le note dei pompieri di Washington, e le partecipazioni di Toby Keith, Jon Voight, Piano Guys e 3 Doors Down. Jennifer Holliday invece è stata l’ultima celebrità a ritirarsi, per le proteste dei fan, mentre alla parata di oggi ci saranno solo bande militari come la 1st Cavalry Division, scolastiche come quella del Talladega College, venuta tra le polemiche perché rappresenta un’università storica afro americana, e poliziotti come la Cleveland Police Mounted Unit. Nei tre balli di stasera, due al Convention center e uno al National building museum, c’è il rischio che l’unica celebrità disposta a ballare con Donald sia l’ex campione olimpionico e trans Caitlyn Jenner, patrigno della regina dei reality Kim Kardashian, cioè la cultura che ha costruito la popolarità dello stesso presidente. Fuori dal perimetro, Disrupt J20 coordinerà 60 gruppi di protesta, e domani almeno 200.000 persone sono attese alla Women’s March per contestarlo.
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Nessuno dei suoi ministri sarà stato confermato dal Senato nel momento in cui Trump giurerà, e ieri i parlamentari democratici hanno massacrato il candidato al Tesoro Mnuchin, perché aveva «dimenticato» di denunciare proprietà per circa 100 milioni di dollari e guidava un hedge fund che aveva speculato sulla crisi. Nel governo non ci sono ispanici, pochi neri e donne. Domani poi il presidente farà la sua prima visita alla Cia, per riparare le relazioni con l’intelligence dopo la crisi degli hacker russi. Oggi emetterà comunque 4 o 5 ordini esecutivi, agendo in fretta per cancellare Obamacare, combattere l’Isis e fermare gli immigrati illegali. L’America è divisa, ma lui è convinto di riunirla prendendola di petto.