Takayama Ukon, il «samurai di Dio» che nel XVI secolo abbandonò ricchezze e status sociale per farsi povero come Cristo, sarà proclamato beato il 7 febbraio a Osaka. La Santa Sede ha accolto la richiesta della Chiesa nipponica di svolgere il rito sul territorio nazionale. Sarà il cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione vaticana per le Cause dei Santi, a presiedere la Celebrazione che avrà ampia risonanza: è stata annunciata, infatti, anche la diretta tv per un evento che, si spera, rappresenta un’opportunità per parlare di temi come fede, spiritualità, rapporto con Dio nella società giapponese. Per cattolici e non.
Uomo di spada e battezzato, Ukon (1552 – 1615) morì nelle Filippine dopo un esilio forzato. Nel periodo in cui ebbe il potere – nella zona di Takatsuki, tra Osaka e Kyoto – Ukon protesse l’attività missionaria dei Gesuiti, impedita verso la fine del 1500 dal reggente imperiale Hideyoshi e sottoposta poi a violente persecuzioni dal regime shogunale dei Tokugawa, fino al bando totale del 1614.
Fase storica, questa, che oggi i battezzati del Sol Levante (500mila giapponesi, altri 600mila immigrati, su 128 milioni di abitanti) ricordano anche grazie all’ultima opera cinematografica di Martin Scorsese, «Silence», tratto dall’omonimo romanzo dello scrittore Shusaku Endo. Il film insegna che «la misericordia di Dio non abbandona mai noi uomini, che siamo davvero fragili e deboli», osserva il vescovo Isao Kikuchi, missionario verbita alla guida della diocesi di Niigata e presidente della Caritas nipponica. Kikuchi nota la felice coincidenza tra la beatificazione e l’uscita del film.
Vatican Insider gli ha rivolto alcune domande.
Monsignor Kikuchi, la beatificazione di Ukon e il film di Scorsese: una possibile «scossa» per la fede cristiana in Giappone?
«È certo un’opportunità importante per indurre una riflessione. Si potrebbe guardare la realtà da due lati: da una parte la prospettiva di Ukon, che lascia tutto per la fede, riconoscendola come la parte più preziosa della sua esistenza; dall’altra quella di “Silence”, dove i protagonisti soffrono il dolore del tradimento, che diventa però luogo dove si manifestano la misericordia e il perdono di Dio. Credo che il romanzo di Shusaku Endo abbia fatto centro nell’evidenziare un lato dimenticato della natura umana, che è la debolezza, indagandola nella prospettiva cristiana. Come dice san Paolo, è proprio sperimentando la debolezza e la fragilità umana che possiamo avvertire l’esistenza della misericordia di Dio. La grazia di Dio non abbandona l’uomo nella sua profonda debolezza, nel peccato. Se la comunità dei battezzati giapponesi oggi riparte da qui è sicuramente un buon passo».
Qual è la situazione della fede cattolica in Giappone oggi?
«Il romanzo di Endo ricorda i tempi eroici della missione. Tanti missionari hanno lavorato in Giappone e oggi abbiamo circa 500 preti giapponesi e oltre 900 tra religiosi e missionari impegnati nell’apostolato. A centocinquant’anni dalla conclusione delle persecuzioni, i battezzati giapponesi sono 500mila e vivono in un contesto in cui la gente comune è piuttosto lontana dai valori cristiani. La Chiesa oggi incontra difficoltà a evangelizzare nella società giapponese moderna, anche se non esiste più persecuzione. Un esempio: a luglio scorso la nazione è stata scossa dall’eccidio di 19 disabili a Sagamihara, caso tipico per mostrare la percezione comune della vita umana: persone inservibili, da sopprimere. Spesso ci si arroga il diritto di giudicare il valore della vita umana, ponendosi al posto di Dio. La Chiesa cattolica in Giappone, soprattutto a partire dal 2011, dopo gli eventi tragici del terremoto e dello tsunami, si è messa in gioco, testimoniando l’amore e la misericordia di Dio attraverso le attività caritative. Con la grazia di Dio, cerchiamo di vivere il Vangelo, nella nostra condizione».
Ha avuto modo di vedere il film «Silence»? Cosa ne pensa?
«Non l’ho ancora visto, ma posso constatare che la critica cinematografica in Giappone è positiva, come sembra buona la risposta del pubblico, che apprezza il coinvolgimento di alcuni attori giapponesi. In linea di massima sono felice che un film sulla fede cattolica e sul senso della missione, tratto poi dalla letteratura nipponica, circoli in Giappone, suscitando interesse anche dei non cristiani».
Cosa può trarne, secondo lei, la comunità cattolica in Giappone?
«Quando il romanzo di Shusaku Endo è stato pubblicato, nel 1966, ci furono pareri contrastanti tra i cattolici giapponesi. Alcuni ne criticavano la storia, vedendola come un tentativo di umiliare e screditare il coraggio dei martiri. Altri apprezzavano il modo in cui si racconta la lotta, tutta interiore, dei battezzati e la coraggiosa decisione di salvare delle vite umane. È vero che sacrificare la propria vita per la fede è un’azione sacra, ma credo “Silence” sia lodevole perché mette al centro la misericordia di Cristo, che ha sperimentato il tradimento e il rinnegamento dal suo discepolo Pietro, ma non ha smesso di amarlo e di credere in lui. Il cuore della storia è l’azione della grazia e la misericordia di Dio. Per questo è prezioso per noi in Giappone e per tutti i credenti del mondo».