Intervista a monsignor Fiorenzo Facchini, emerito di Antropologia all’Università di BolognaSi può essere evoluzionisti e credenti? Una domanda così superficiale è ancora presente nel dibattito pubblico anche a causa di gruppi atei, da una parte, e del movimento creazionista dall’altra, i quali rispondono all’unisono di “no”.
Eppure un cattolico non dovrebbe avere più dubbi nel rispondere, già nel lontano 1969 il teologo Joseph Ratzinger concludeva una sua famosa trattazione sul tema scrivendo: «La teoria dell’evoluzione non annulla la fede, e nemmeno la conferma. Ma la sfida a comprendere meglio se stessa e ad aiutare in questo modo l’uomo a capire sé e a diventare sempre più quello che deve essere: l’essere che può dire tu a Dio per l’eternità» (J. Ratzinger, Wer ist das eigentlich – Gott?, 1969).
D’altra parte, sono tanti i cattolici (e i credenti, in generale) che hanno fatto dello studio dell’evoluzione biologica il loro oggetto di ricerca professionale, dagli americani Kenneth R. Miller, Martin A. Nowak e Joan Roughgarden, ai premi Nobel cristiani Peter Agre e Werner Arber, quest’ultimo attuale presidente della Pontifica Accademia delle Scienze.
In Italia uno tra i più noti cattolici che si occupano dell’evoluzione è il prof. Fiorenzo Facchini, sacerdote bolognese, professore emerito di Antropologia all’Università di Bologna, autore di circa 400 pubblicazioni su riviste nazionali e internazionali e membro di importanti società scientifiche (tra cui l’Istituto Italiano di Antropologia e la New York Academy of Sciences). E’ anche conosciuto al grande pubblico per i suoi libri divulgativi sul rapporto tra evoluzione e fede (consigliamo in particolare Le sfide dell’evoluzione. In armonia tra scienza e fede, Jaca Book 2008, Evoluzione. Cinque questioni nell’attuale dibattito, Jaca Book 2012).
Recentemente è stato oggetto di critica su un sito web cattolico di stampo sedevacantista-creazionista, dove si è sostenuto che la sua posizione sarebbe complice del tentativo di chi usa l’evoluzione della specie per «uccidere Dio», per questo «cercare di mettere assieme una visione evoluzionista con una in cui vi è l’esigenza di Dio è un errore sia a livello scientifico sia a livello di credente».
Non essendo d’accordo con questa obiezione, abbiamo voluto dare l’opportunità a mons. Facchini di replicare: ecco la nostra intervista.
Prof. Facchini, il tema evolutivo rimane al centro del dibattito tra scienza e fede: da un lato gli “anti-teisti” e dall’altro i creazionisti e gli esponenti del Progetto Intelligente. Ci sono posizioni intermedie? Qual è l’errore dei primi e quale quello dei secondi?
Nel dibattito sulla evoluzione le difficoltà e gli equivoci nascono dalla pretesa di escludere altri approcci di conoscenza che non siano quelli della scienza empirica, prima ancora che dalla utilizzazione del concetto di evoluzione in senso antireligioso in contrapposizione a creazione. E’ la posizione dello scientismo. Anche rimanendo sul piano puramente scientifico, l’evoluzione è un fatto su cui è difficile dissentire, ma le modalità con cui si è svolto il processo evolutivo non sono ancora tutte chiarite. Tenendo conto degli sviluppi della biologia evolutiva dello sviluppo e della paleontologia sono tanti i punti ancora oscuri. Ma le oscurità non possono mettere in dubbio il fatto, e cioè che l’universo, le forme viventi hanno avuto una propria storia evolutiva. Non si sono formati dal nulla, quasi per magia.
Qui entra il concetto di creazione, che fa chiaramente difficoltà agli atei, una creazione di realtà che cambiano nel tempo e manifestano un disegno superiore. Ma anche quello di disegno è un concetto filosofico, su cui la scienza non può dire nulla. Argomentare dalla sintonia delle forze e del sistema della natura per un disegno superiore è plausibile, ma siamo in un campo filosofico. Introdurre la causalità divina nel corso della evoluzione per realizzare direttamente strutture complesse (come si afferma nell’Intelligent design) non è corretto. Per un credente è meglio non esprimersi, se non siamo in grado di spiegare tutto, attendere nuovi studi, senza ricorrere a interventi esterni diretti, pur riconoscendo un universo ordinato e ben funzionante, voluto da Dio con proprietà e leggi che stiamo ancora esplorando.
Recentemente lei è stato oggetto di una piccola critica da parte di un saggista antievoluzionista cattolico, per il quale è impossibile credere in Dio ed essere evoluzionisti, che è più o meno lo stesso giudizio che hanno Richard Dawkins e i famosi “new atheist”.
Si può credere in Dio ed essere evoluzionisti. Basta ammettere che la realtà dell’universo è stata voluta da Dio. Come? Quando? Sta alla scienza ricercarlo. Ma sul significato di tutto, sul perché delle cose, è la parola di Dio che ci può guidare. Questi non sono problemi affrontabili con i metodi della scienza empirica. Nessuna opposizione tra creazione ed evoluzione. Se in passato vi sono stati contrasti è perché si voleva ricavare dalla scienza quello che essa non può dire o trarre dal testo biblico quello che non vuole dirci. Da Pio XII a Benedetto XVI, a Papa Francesco non ci sono dubbi su questa impostazione.
Entrando più nel tecnico, il suo critico sembra ammettere una selezione naturale intraspecie ma si oppone alla macroevoluzione, rigettando però l’origine comune e tutta la spiegazione evoluzionistica. Cosa vorrebbe rispondere, a lui e ai tanti credenti che la pensano in questo modo?
Alcuni ammettono una microevoluzione a livello di popolazioni e non una macroevoluzione. E’ vero. Il modello darwiniano, suffragato dalla genetica delle popolazioni, viene esteso a tutto lo sviluppo della vita. E questo è discutibile. Forse bisogna ammettere meccanismi e modalità diverse per la formazione (e il ripetersi) nel tempo, in linee anche diverse, di nuove strutture. Il paradigma evolutivo in gran parte potrebbe essere lo stesso nel senso che si realizza una congruenza fra le novità evolutive che si formano (ma come? Non solo le variazioni spontanee della specie come intendeva Darwin) e la selezione operata dall’ambiente. Meglio ammettere che vi sono cose che non conosciamo ancora, piuttosto che negare tutto a priori.
Nel suo ultimo libro, “Sessualità e genere. Si può scegliere?” ha trattato per la prima volta un nuovo argomento, affrontando dal punto di vista antropologico e biologico la questione del “gender”, un ottimo e documentato strumento per genitori ed educatori. Cosa l’ha portata ad occuparsene e qual è il messaggio che vorrebbe trasmettere?
Alla questione del genere ho dedicato la mia attenzione in questi ultimi tempi perché mi sono sentito interpellato in quanto antropologo. La sessualità in natura non è un optional, è fondamentale nella vita e nella evoluzione della specie. Fa parte della struttura biopsichica dell’uomo. La sessualità nella specie umana diventa relazione simbolica e fonda la società. E’ una mistificazione ideologica negarla o ricondurla a scelte soggettive. Il fatto che socialmente si siano creati stereotipi che portano a discriminazioni fra i sessi va superato. L’omofobia va contrastata, le persone vanno sempre rispettate, ma sarebbe deviante e diseducativo ricondurre la sessualità a un scelta soggettiva di genere o per rispettare varianti individuali negare o mistificare la realtà naturale. Al fondo c’è una ideologia individualista e libertaria che disintegra la famiglia e la società umana.